Libia, tra tragedia e farsa
di Cristiano Tinazzi*
I media italiani sembrano completamente impazziti. Articoli che raccontando di tagliagole scatenati e terrore per le strade di Tripoli, ci rendono una versione terribilmente naif di quello che sta avvenendo in realtà in Libia. Un po’ come nel 2011, quando si era un pugno di inviati in Tripolitania e dall’Italia arrivavano notizie pazzesche che, però, non avevano nessun fondamento sul terreno.
La strada per la quale voglio accompagnarvi oggi non è un esercizio di dietrologia complottistica, ma una analisi fredda e (spero) logica dei fatti che ci hanno portato a ingigantire in maniera abnorme delle notizie reali. Ho una opinione che potrà essere o meno condivisa, ma che, per esperienza pregressa sulla Libia, trovo abbastanza aderente alla realtà. Premetto che non voglio assolutamente sottostimare la presenza dello Stato Islamico nel Paese. Ma andiamo per gradi.
Prova di analisi di lettura
13 febbraio
Il Ministro degli Esteri Gentiloni rilascia dichiarazioni allarmanti sulla situazione in Libia dopo che l’Ansa, dal Cairo, pubblica un lancio d’agenzia nel quale la Farnesina invita tutti gli italiani a lasciare il Paese.
La nota però è del 1 febbraio, come si può leggere sul sito della Ministero degli Affari Esteri ‘Viaggiare Sicuri’. Passano quindi dodici giorni senza che nessuno faccia notare l’avviso. Il 13 però avviene qualcosa: a Sirte appaiono uomini armati che occupano una stazione radio e lanciano proclami pro-Isis.
Sirte, ex città natale di Gheddafi, non è nuova a omicidi mirati e attentati da parte di gruppi radicali, per chi segue quasi quotidianamente le vicende libiche. È una delle roccaforti di Ansar al-Sharia, gruppo jihadista che rientra nell’orbita della coalizione ‘Alba Libica’, contrapposta alle milizie dell”Operazione dignità’ del generale Haftar.
È fatto anche abbastanza noto, che poco fuori Sirte si trovino suoi campi di addestramento. Nell’ottobre 2013, una esplosione elimina sette miliziani di Ansar. Non è chiaro il motivo ma molti siti che si occupano di intelligence parlano di un attacco Usa con un drone. A Sirte non ci sono solo gli uomini di Ansar, ma anche quelli di Misurata e di milizie loro alleate. Torniamo ad oggi: uomini armati, dicevamo, occupano alcuni edifici pubblici e una radio. La notizia che viene diffusa dai media italiani è che Sirte sarebbe completamente in mano allo Stato Islamico.
14 febbraio
L’ambasciata italiana si prepara a chiudere. La scena ricorda l’evacuazione della nostra ambasciata nel marzo 2011. Stesse modalità. Anche in quel caso era pronta a salpare una nave nel porto di Tripoli ma tutto il personale diplomatico, insieme a qualche giornalista, alla fine lasciò la capitale con un C-130 dell’Aeronautica militare italiana.
Il ministro della Difesa Pinotti rilascia una intervista dove si dice pronta ad inviare 5mila uomini in Libia, anche se poi corregge il tiro e ammette che «sono solo ipotesi».
Intanto Gentiloni fa sapere che il governo riferirà per il giorno 19 in aula sulla situazione libica. Tanti politici italiani chiedono un intervento militare. E il vicepresidente della commissione Difesa del Senato, il leghista Sergio Divina, si spinge fino a chiedere a Pantelleria «l’invio di battaglioni specializzati nella lotta al terrorismo e la Marina a schierare le fregate a protezione delle acque territoriali. Sirte e Derna in mano all’Isis vuol dire – ribadisce Divina – il Califfato a 200 km come la distanza tra Napoli e Roma».
Divina mescola il problema dei migranti con il possibile arrivo di terroristi via mare. Molti non aspettavano che questo momento per criminalizzare i disperati che arrivano via mare. La gara a chi rende più vicino l’Isis è partita. Sirte è a 600 chilometri circa da Lampedusa. Via mare, non terra. La stessa Pinotti riferisce nell’intervista sopra citata che lo Stato Islamico sarebbe a «350 chilometri dalle coste italiane». Gentiloni parla invece di «200 miglia marine», che sono 371 chilometri, riferendosi entrambi probabilmente alla distanza marittima tra Tripoli e Lampedusa. Ma Sirte è a circa 500 chilometri a est di Tripoli. E Tripoli è ad almeno 500 chilometri dalla Sicilia. Via mare.
15 febbraio
Le notizie che vengono dalla Libia, riportate dalla stampa italiana sono sempre più allarmanti. Si parla di Sirte in mano ai miliziani dell’Isis, di possibilità di colpire l’Italia con degli Scud, mentre arriva la notizia delle terribile esecuzione di 21 copti egiziani e delle minacce all’Italia: «Siamo a sud di Roma».
L’Ansa riferisce addirittura di volantini dell’Isis che annunciano la marcia su Misurata. La Stampa, in uno degli articoli più insensati e privi di fondamento intitolato Libia, gli italiani: “Tagliagole in strada, è il terrore”, raggiunge il suo apice, raccontando di fantomatiche presenze dell’Isis a Tripoli presto seguita da «bandiere nere dell’Isis a Tripoli» di altre testate radiotelevisive.
L’autore dell’articolo, che di Libia ha visto forse molto poco, intervista Bruno Dalmasso, il custode del cimitero italiano di Tripoli, che è un personaggio interessante per la sua storia personale ma non dal punto di vista politico su cosa succede o non succede in città. È anziano e non è un analista, ma va bene lo stesso se dice: “Chi comanda ormai a Tripoli – dice Dalmasso – sono le bandiere nere, quelli dell’Is. In città vedi molti stranieri, siriani o iracheni che magari si sono tagliati le barbe o i capelli ma poi quando si tratta di accoltellare o sparare sono in prima fila».
Sempre per l’autore dell’articolo Tripoli sarebbe «una città fantasma». A ruota le televisioni nazionali intervistano uno degli italiani rientrati dal Paese che afferma: »La situazione a Tripoli è critica…E l’Isis è già da un pezzo che è a Tripoli, lo ha detto anche la televisione».
Se lo dice la televisione…allora è tutto a posto. L’Huffington Post pubblica un discutibilissimo articolo sull’impiego dei nostri militari in Libia. Irreale. Chiunque sa benissimo che mandare truppe in un Paese con una guerra civile in atto e che tra l’altro non ha richiesto nessun intervento esterno, non ha nessun senso pratico ed è irrealizzabile dal punto di vista normativo internazionale.
È un solo mero esercizio di retorica, quello sfoggiato da Gentiloni e dalla Pinotti. Nei fatti non c’è nessun modo per mandare truppe straniere nel Paese. E di sicuro non basterebbero 5mila uomini. Quindi analisi su chi si sarebbe già scelto di mandare con corpi e supercorpi alla ‘marines’ fanno molto ridere. Gli italiani non metteranno mai piede in Libia.
In ultimo Wired ci regala una perla indimenticabile, paragonando Lampedusa a Kobane, articolo che vi consiglierei di leggere per farvi due grasse risate e capire cosa voglia dire non avere il minimo senso della geografia in questo mare di allucinazioni collettive: «La situazione è seria: l’Italia è vicinissima alla Libia, l’isola è l’avamposto nazionale, è esposta al mare e presidiata prevalentemente per accogliere migranti o disperati; certo non per fronteggiare l’eventuale attacco delle milizie nere. Inoltre in Libia ci sono gli SS-1 Scud, missili sovietici a corto raggio con una gittata che va dai 300 ai 450 chilometri»…
Quindi, dopo aver analizzato gli eventi e la copertura mediatica, ci rimane il motivo per il quale si è scatenato un tandem di illazioni sia da parte della comunicazione pubblica che dei media italiani. Se date un’occhiata alla stampa estera, non c’è nulla o quasi a parte la notizia della chiusura della nostra ambasciata.
Per la stragrande maggioranza dei media internazionali Sirte non è caduta in mano all’Isis, anche perché non ci sono stati combattimenti di rilievo. Non ci sono ‘marce’ su Misurata e a Tripoli a parte una lunga sparatoria a Fashloum tra una milizia e dei sostenitori di Haftar non è successo niente di diverso da quello che succede da mesi. D’altronde solo un cretino potrebbe pensare che una milizia, che sia l’Isis o altre, possa «marciare su Misurata» senza problemi, visto che si scontrerebbe con la formazione militare più potente e più agguerrita della Libia.
L’Italia ha sempre mantenuto una equidistanza tra le due fazioni principali in campo. L’ambasciatore Buccino è anche andato a Ginevra nelle scorse settimane per partecipare ai round negoziali per i colloqui di pacificazione nell’ambito della missione Onu Unsmil (United Nations Support Mission in Libya, richiesta nel 2011 dalle autorità libiche e più volte prorogata).
È ovvio che la comparsa di gruppi legati all’Isis, probabilmente fuoriusciti dall’ombrello di Ansar al Sharia, e le successive azioni su Sirte, seguite all’attentato a Tripoli contro l’Hotel Corinthia, hanno spostato il baricentro italiano verso il governo esiliato a Tobruk, da qui la partenza dell’ambasciatore e del corpo diplomatico.
Abbiamo preso posizione con Tobruk senza dirlo ufficialmente e utilizzando il problema (reale) della sicurezza per allontanarci in maniera plateale e senza dover fornire ulteriori giustificazioni. Il timore è che il nostro interesse non sia soltanto concentrato sul governo di Al Thani, ma, molto più probabilmente suo più potente alleato, ovvero il generale ribelle Khalifa Haftar. Haftar ha il supporto delle forze armate egiziane e probabilmente sta guadagnando credibilità presso le cancellerie occidentali. L’uomo sul quale giocare l’ultima carta.
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* L’autore è più volte stato in Libia, a partire dal 2011, come giornalista free lance. Questo articolo è stato pubblicato su Q Code Magazine.