Quando “Charlie” era musulmano: “Mollah Nasreddin”, il castigatore dell’ipocrisia
di Giuseppe Cossuto
Fino agli inizi del XX secolo, un ipotetico e attento occidentale che si fosse messo in testa di viaggiare per buona parte delle terre dell’Islam approfittando delle regole dell’ospitalità familiare popolare, avrebbe fatto sicuramente caso alle storie riguardanti le arguzie di un arzillo vecchietto, diffuse un po’ dappertutto e raccontate da genti diversissime tra loro.
Le storielle, a volte astute, a volte argute, seguono generalmente uno schema preciso: qualcuno (spesso il “popolo”, o un potente) va dal vecchietto, o lo incontra casualmente. Dopo avergli domandato qualcosa, riceve una risposta caustica o che lascia inebetito l’interlocutore.
A volte l’interlocutore è un religioso, un teologo, un appartenente ad un ordine monastico che sorregge lo status quo dei potenti di turno ammantando il tutto di ritualismo e o di misticismo, il ché pone il vecchietto ai limiti dell’eterodossia.
Nasreddin, questo è il nome del vecchietto, un nome che subisce adattamenti fonetici in diverse lingue (e dunque viene trascritto in tanti modi diversi). È temuto e rispettato per la sua saggezza sintetica ed è, per il popolo, un fondamentale riferimento di giustizia pratica.
Il viaggiatore avrebbe potuto trovarlo in tutti i Balcani passando per la Bosnia, l’Albania e nella cristiano-ortodossa Romania (Nastratin Hogea) proseguendo verso la Turchia, l’Iran, l’Azerbaigian, l’Uzbeskistan, l’India, la Cina, solo per non affaticarsi troppo a cercarlo altrove.
Un personaggio talmente comune che molti gruppi umani se ne contendono l’appartenenza: gli Uzbeki lo vogliono di Samarcanda, altri lo ritengono di Kufa, nell’Iraq meridionale. Un’altra tradizione, che narra le gesta di Sari Saltuk Dede, il santo selgiuchide che portò per primo (sempre secondo tradizione) in Europa (Dobrugia, tra Romania e Bulgaria attuali) dei musulmani turchi anatolici, lo lega a questi ultimi.
Secondo questa tradizione, che ha molto di storico, Nasreddin Hoca (Hoca = Maestro) sarebbe nato in un villaggio anatolico nei dintorni di Shivrihisar tra Eskishehir e Ankara, durante la prima metà del XIII secolo e morto ad Akshehir in tarda età.
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Naturalmente la forte valenza anti-autoritaria e tendente all’”ordine normalizzante” di questo personaggio, si è prestata ad usi politici nelle più diverse situazioni e nei luoghi e nei periodi più diversi: lo troviamo ad esempio come antagonista musulmano del “Prete” (in questo caso l’Arcivescovo Makarios) durante la crisi di Cipro, così come nel suo rapporto conflittuale con il grande Tamerlano.
Agli inizi del XX secolo, grazie all’iniziativa di un grande intellettuale satirico azero, Jalil Mammadguluzadeh, che visse a cavallo tra la seconda metà del XIX e il primo trentennio del XX secolo, il vecchietto diede il nome a una rivista politico-satirica illustrata, “Molla Nasreddin”, che aveva un obiettivo molto particolare: nelle intenzioni dei redattori sarebbe stata letta “in tutto il mondo islamico, dal Marocco all’Iran”.
La particolarità di questa rivista era soprattutto la satira feroce contro lo stile di vita dei fanatici religiosi, la corruzione, l’ineguaglianza sociale tra le classi e quella dei sessi, gli amministratori coloniali, oltre a un fortissimo carattere nazionalista (anti-colonialista?) verso le grandi potenze dell’area: gli ottomani, gli iraniani e i russi.
Mammadguluzadeh fu minacciato più volte di morte e varie volte fu aggredito, così come i membri della redazione, da parte di fanatici religiosi o da persone che si sentivano offese dalla pungente satira della rivista.
Fondato nel 1906 a Tblisi, “Molla Nasreddin” catalizzò le firme di vari esponenti dell’intellighentsia azera che sovente pubblicavano con pseudonimi. La sua diffusione fu enorme, per l’epoca, circolando veramente dall’Iran alla Russia, senza dimenticare l’Impero ottomano.
Il forte carattere eversivo e rivoluzionario portò a una stretta sorveglianza da parte delle autorità zariste e già dopo i primi numeri venne bandito dalle autorità ottomane e iraniane.
Ai bandi Mammadguluzadeh rispondeva con sferzante e non velata ironia, attaccando direttamente il sultano ottomano Abdulhamid, il quale non è certo passato alla storia per la sua indulgenza.
E infatti la prima reazione del governo ottomano fu quella di inviare, nel marzo del 1907, Fevzy Bey, console generale ottomano a Tbilisi, a presentare lamentele presso le autorità russe e a chiedere espressamente la chiusura della rivista, in quanto aveva pubblicato caricature offensive del Sultano e degli ottomani.
A questa motivazione si aggiunga che, in un numero specifico, Molla Nasreddin aveva apertamente dissacrato importanti autorità religiose della Transcaucasia e perorato la causa dell’uguaglianza tra uomo e donna.
La rivista fu bandita varie volte in Russia: nel 1912, nel 1914 e, definitivamente, nel 1917. In quello stesso anno riaprì a Tabriz, nell’Azerbaigian iraniano. La pungente satira da “non credenti” di Molla Nasreddin aveva già interessato il parlamento iraniano, nel 1910.
Nonostante il bando delle autorità di vari paesi, la richiesta della rivista da parte dei lettori era travolgente, così come il carattere di Mammadguluzadeh. Le copie che sfuggivano ai sequestri arrivavano anche in Gran Bretagna, Francia, Italia, Cina, India e persino negli Stati Uniti.
Il seme era gettato: in quasi tutto il mondo turco e tataro musulmano venivano edite riviste della stessa tipologia, tra le quali una rifacentisi allo stesso personaggio, “Hoca Nasreddin”, a Istanbul.
Con la salita al potere dei bolscevichi “Mollah Nasreddin” proseguì le sue pubblicazioni ma fu costretta ad adattarsi alle strette linee-guida di regime. Rimase in vita, nella sua ultima versione, dal 1922 al 1931. La redazione, che aveva sede a Baku, chiuse qualche mese prima della morte del suo ideatore.
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Vedi anche:
http://www.nybooks.com/blogs/nyrblog/2012/sep/18/when–satire–conquered–iran–molla–nasreddin/
http://www.visions.az/history,353/
http://www.jrp–ringier.com/pages/index.php?id_r=4&id_t=&id_p=7&id_b=2115
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Va bene. L’Islam è sopratutto questo. L’Islam, quando l’Europa cristiana (medioevale) era ancora semi barbarica, ha letteralmente illuminato la cultura Europea e quindi l’Islam (Mediterraneo!) era anche l’Europa. Non dimentichiamo la coinè mediterranea degli ultimi secoli di Roma. Non dimentichiamo la luce irradiata dalle città spagnole ‘mudejar’sulla Spagna ritornata a una semi barbarie. Salam/Shalom la dice lunga sulla comune origine dei due popoli i quali quando sapranno ‘riconoscersi’…..Grazie dunque per l’articolo che davvero, dati i tempi, ci voleva proprio. Grazie di nuovo.
concordo in tutto, anche per il ringraziamento, con Carlucci;
non potremmo trovare delle vignette, o insomma dei materiali illustrati, da pubblicare?
non avevo ancora visto i link, dove qualcosa si può vedere;
Anch’io ringrazio Giuseppe Cossuto, anche perché mette bene in evidenza come una componente importante della satira religiosa sia satira di uomini che si servono della religione, i rigoristi che ovunque e in tutti i tempi hanno avvelenato la vita, anche sotto regimi ateistici.
Una nota solamente per integrare i commenti di Carlucci. Tanta islamofobia ci sollecita ovviamente e giustamente a guardare la storia, la ricca storia della civiltà arabo-musulmana. Guardiamola però non solo per replicare agli islamofobi, ma per guardarla davvero, nella sua complessità.
Cito da Cornelius Castoriadis (filosofo) che scriveva nel lontano 1991:
“Gli Arabi si presentano ora come le eterne vittime dell’Occidente. E’ una mitologia grottesca. Gli Arabi sono sati, da Maometto in poi, una nazione conquistatrice, che si è estesa in Asia, in Africa, in Europa (…) arabizzando le popolazioni conquistate. Quanti “Arabi” esistevano in Egitto all’inizio del VII secolo? L’estensione attuale degli Arabi e dell’Islam è il prodotto della conquista e della conversione all’islam, più o meno forzata, delle popolazioni sottomesse. Poi sono stati a loro volta dominati dai Turchi per più di quattro secoli. La semi-colonizzazione occidentale non è durata, nel peggiore dei casi (Algeria) che centrotrent’anni (…) E coloro che hanno introdotto per primi la tratta dei Neri in Africa, tre secoli prima degli Europei, sono stati gli Arabi. Tutto ciò non diminuisce il peso dei crimini coloniali degli Occidentali…”
Lo sguardo sulla lunga durata è importanta da tutti i punti di vista: per ricordare l’egemonia culturale del mondo arabo musulmano rispetto all’Europa, ma anche per ricordare che gli la storia degli Arabi non è solo una storia di vittime del colonialismo occidentale, ma anche storia di colonizzatori, di un vastissimo impero plurisecolare.
L’altro giorno sono stato alla moschea di Roma, quella costruita dai sauditi, per una visita guidata con un’associazione che fa visite “recitate”. Al di là dei contenuti specifici che sono passati (c’erano molti errori, ma è inevitabile) il problema era il tono apologetico dell’intera operazione. D’accordo, il luogo faceva sì che si avesse quell’approccio, ma il problema rimane. L’apologetica – così come l’invettiva – non servono a capire “bene” le cose quanto a portare un uditorio dalla propria parte. C’è bisogno, invece, di un superamento di questo schema che riproduce sotto mentite spoglie una contrapposizione dannosa (in termini semplici “il conflitto di civiltà”). Il problema non è (tanto) capire quanto l’islam o parti di esso hanno dato alla cultura mondiale. Il problema è avvertire quanto a livello globale si riproducano, in forme spesso simili, schemi di oppressione/liberazione. L’islam non è diverso da altre religioni in questi termini: ha funzionato da “oppio dei popoli” come da dispositivo di controllo sociale etc. etc. Ha avuto dentro di sé anche “contenuti” rivoluzionari e liberatori (non mi riferisco alla rivoluzione khomeinista). E’ qui che trovo intelligente il pezzo di Cossuto. Ed è su questo punto che vale la pena di ragionare. Una cosa che spesso si dimentica è che nel gioco dell’islamofobia c’è chi si erge a vittima pur rappresentando un soggetto oppressore (i sauditi, per ritornare alla mia “visita”, ma gli esempi sono tanti, inclusi i gruppi terroristici).
Sono molto d’accordo con quanto scrive Lorenzo Declich, perché trovo che tracci l’unica strada percorribile oggi, per chi è legato ai valori e alle pratiche della sinistra, nell’attuale contesto storico. Ciò impone un difficile esercizio della critica e dell’attenzione, e il rifiuto di confortarsi con spiegazioni lineari e riduttive. E qui nominare la complessità non significa nominare un muro opaco e impenetrabile, ma lo sforzo appunto di non rimanere intrappolati in una serie di trappole ideologiche.
Siccome sono contro la politica israeliana, non devo dare il giusto peso ai veri atti di antisemitismo che riappaiono in posti come la Francia.
Siccome sono contro l’islamofobia e il razzismo anti-arabo, metto in sordina la critica sociale e democratica alle forme di oppressione che le religioni in vari modi e contesti esercitano.
Siccome sono contro il capitalismo, considero poco importante esprimersi contro il fascismo secolare o religioso, che è minoritario.
Siccome sono contro la criminale politica Usa in Medio Oriente, faccio finta che non vi siano anche responsabilità grandi negli stati della zona, come nel caso dell’Arabia Saudita.
E così via…
scusa Andrea, però a me il tuo commento, pure se concordo in sostanza, sembra surreale. La serie di siccome che proponi è propria della mente di un quindicenne che si fa le canne in un qualsiasi centro sociale scalcagnato, quindi se questo è lo stato di cose a sinistra, il problema è la totale idiozia prodotta in tutti questi anni. Non capisco inoltre che diamine c’entri la storia in tutto ciò o la complessità, parola usata un po’ a caso da tutti. Giorni fa tre persone hanno ammazzato un tale, forse per soldi, forse per conquistare una tipa. In altre parti del mondo ci sono persone che ammazzano altre persone, per potere, per fanatismo, quello che è. In tutto ciò, gusto della conoscenza a parte, cosa può mai importare che un secolo e più fa qualcuno ha fondato una rivista satirica, e cosa mai vuol dire che “Charlie” un musulmano? Chissenefrega. A me pare preoccupante, quasi da patologia, che per affrontare dei fatti concreti uno debba perdersi in mille rivoli inconcludenti. Cosa vuoi che importi che l’Islam sia stato questo o quest’altro. Il punto non è e non è mai stato l’Islam, il punto è cosa fanno certe persone oggi e come impedirlo. Le chiacchiere, la fuffa sinistroide, stanno a zero.
Grazie a tutti dei complimenti. Concordo pienamente, da storico, con quanto espresso da A. Inglese sulla “dimenticanza” occidentale riguardo l’espansione colonizzatrice di vari stati e dinastie arabe e islamiche, colonizzazione talmente profonda che ha avuto come risultato, in alcuni territori, una piena adesione identitaria degli antichi colonizzati (che tutt’altro erano) con i colonizzatori. Le casistiche in questo senso, sono innumerevoli e differenziate tra di loro. Anche se “noi occidentali” (e non solo noi)proprio non riusciamo a superare quel livello del “siamo i più” (più cattivi, più buoni, più industrializzati, più liberi, più oppressi, ecc.) ed il nostro sentirci “più” è percepito dagli “altri” nello stesso modo. Nasreddin Hoca “storico” è un avversario dei Mevlevi (i dervisci danzanti, tra i più noti dalle nostre parti) e del loro spiritualismo staccato dalla realtà (famoso il detto di Nasreddin: “Se tu fai il derviscio e io faccio il derviscio, l’asino muore di fame”). I Mevlevi furono la confraternita di corte degli ottomani, e come tale, espressione di garanzia del Potere, anche terreno-amministrativo, ottomano. Va da se che un personaggio come il Nasreddin “popolare” ebbe una fortuna così grande tra genti diverse (veicolata dai processi colonizzatori)proprio in relazione alla sua origine storica. Per essere ripreso poi, a secoli di distanza, come emblema del libero pensiero “nazionale” (tra diverse “nazioni”, e questo è grandioso: “Je suis Nasreddin”, agli inizi del XX secolo!) ed internazionale (e anche interreligioso) in luoghi profondamente musulmani, ma non certo colonizzati dagli “imperialisti occidentali” della retorica contemporanea.
L’Islam, i suoi processi di secolarizzazione c’entrano eccome. Come si fa a dire chissenefrega? Davvero fuori luogo l’intervento su Andrea. Oltretutto questo ultimo dibattito-contesto segue a ruota una fitta serie di interventi seguiti alla mattanza parigina. E non erano dei semplici pour-parler….Tuttaltro.