La politica del nostos
di Daniele Ventre
(traduzione dal francese della relazione
tenuta alla Maison de l’Europe-Paris,
per l’incontro culturale sull’Odissea
in occasione dell’inaugurazione
del semestre di presidenza italiana)
1. Il mito e l’ibridazione culturale.
L’Odissea, il poema del nostos, del ritorno, per eccellenza, è polimorfo tanto quanto il suo protagonista Odisseo. Il mito che ha trasmesso alle epoche successive, fino ai nostri tempi, ha avuto più d’una reviviscenza e più di una ridefinizione delle sue coordinate archetipiche e delle sue caratteristiche originarie, ed è in sé stesso il frutto di una pluralità di imprestiti culturali.
Questa dimensione di mescidanza è in verità un aspetto proprio di tutto il mito greco. In primo luogo, la comparazione mitografica ha già scoperto parecchie connessioni a distanza fra la Grecia e le varie civiltà antiche di lingua e cultura indoeuropea, dall’India ai Celti (1) . Inoltre, molti elementi del mito classico derivano da un lungo processo di osmosi fra l’eredità indoeuropea dei greci, gli elementi mediterranei di substrato, (soprattutto di origine minoica (2)), e le tradizioni afroasiatiche del vicino oriente (epica mesopotamica, attraverso la mediazione degli Ittiti e di Ugarit, tradizioni egizie), a partire dalla fine dell’età del bronzo fino all’età arcaica. Anche il nome del poeta leggendario che la mitopoiesi greca ha creduto essere la voce principale dell’epopea vivente, Omero, parrebbe offrire testimonianza di questa sistematica ibridazione (3). Perfino l’esametro, il verso che caratterizza l’epopea greca, potrebbe trovare spiegazione in un adattamento di funzioni e strutture indoeuropee a una modalità recitativa assimilata dai micenei nel loro contatto con l’epica del Medio Oriente (4). È un prodotto di interazioni interculturali perduranti nel tempo anche la lingua omerica, dialetto poetico generato da una continua dinamica di traduzione, ritraduzione e interpretazione, questa forma espressiva la cui evoluzione risale ai protogreci, ma al tempo stesso mostra elementi stilistici che si possono rinvenire altresì nelle testimonianze residuali della poesia degli ittiti o nelle più raffinate redazioni dei poemi mesopotamici (5). In questo prodigioso panorama generale di contaminazione e interconnessione culturale e poetica, che definisce il tessuto delle epopee del nostro mare, l’Odissea costituisce un esempio paradigmatico.
2. Le dimensioni dell’Odissea
A partire da considerazioni di natura squisitamente filologica, si potrebbero anzitutto identificare nel più recente dei poemi omerici tre sezioni narrative ben distinte, che qui ricorderemo solamente, a mo’ di premessa, per ragioni di comodità espositiva: esse sono, naturalmente: 1) la Telemachia, 2) le peregrinazioni di Odisseo con il lungo flash back (in prima persona) concernente le avventure che precedono l’approdo dell’eroe all’isola dei Feaci, 3) il ritorno, la vendetta e l’anagnòrisis fra Penelope e Odisseo. Non è importante qui stabilire se queste tre sezioni siano state assemblate tardi o se la loro unione sia l’effetto d’un’unica voce autoriale assai arcaica (6). Ciò che importa è piuttosto comprendere che ciascuno di questi tre momenti, con la sua tradizione originaria (protogreca o mediorientale che sia), definisce un aspetto dello spazio politico, una dimensione antropologica, uno specifico luogo della comunicazione. In ciascuna sezione narrativa, l’Odissea riflette anche il ruolo di un elemento sociale particolare: il canto degli aedi, dei poeti epici orali, che rappresentano i diffusori del kleos e i possessori delle risorse pubbliche non esclusive e immateriali che si definirebbero oggi beni cognitivi. Si potrebbero allora riassumere i termini del problema attorno a pochi snodi essenziali:
a) xenoi e convivium: il carattere distintivo della società omerica è rappresentato dall’ospitalità, che costituisce la forma primitiva di diplomazia e di integrazione trans-politica del mondo arcaico, e dal banchetto, che si vede più volte evocato dal poeta. Nella Telemachia, l’ospite (per esempio Mente-Atena) è oggetto quanto meno d’una curiosità maligna in ogni situazione politica di illegittimità o di caos istituzionale. Allo stesso tempo, il banchetto si tramuta in uno schiamazzo senza legge, o acquisisce l’ambiguità di un trappola: questo è precisamente il caso del banchetto nel mégaron di Odisseo, che i pretendenti di Penelope saccheggiano; è per motivi differenti anche il caso del palazzo di Agamennone, dove si consumano l’adulterio di Clitemnestra e la congiura di Egisto, in base al racconto di Nestore. Nella narrazione in prima persona di Odisseo, la dimensione extrasociale di un Polifemo, che cannibalizza i suoi ospiti, mostra in opposizione l’effetto aberrante dell’assenza di ogni usanze condivisa, di ogni nomos, in tutti i luoghi extra-politici. Quando la legittimità istituzionale è restaurata, dopo il ritorno del re, si ricostituiscono anche le normali relazioni sociali e politiche.
b) aoidé e basiléus: dove l’incontro simposiale è compromesso dalla hybris, dalla violenza eclatante, il canto del poeta orale è anch’esso in pericolo. Femio è soggetto a uno stato di necessità (ananke) a causa dei pretendenti. La prima traccia di normalità è l’atto di Telemaco che prende Femio sotto la propria egida e permette al cantore di cantare in libertà. Quando Odisseo compie la sua vendetta, Femio e l’araldo Medonte sono i soli che egli non ucciderà. La restituzione del legittimo potere politico del re, che l’agoré riconosce, comporta senza dubbio la restituzione al pubblico dei primitivi beni cognitivi che l’aedo in persona rappresenta; nella città ideale dei Feaci, l’aedo è oggetto di venerazione al pari d’un eroe: è il caso del Demodoco di Alcinoo; quando il re non è più in grado di ricostituire l’ordine sociale, l’aedo muore: è il caso del Demodoco di Egisto, nel racconto di Nestore, dove si evoca l’immagine di un banchetto deforme. Se è vero che la privatizzazione o l’obliterazione dei beni cognitivi è l’inizio di un nuovo totalitarismo, la condizione di Femio e del Demodoco di Egisto, nel mito, è tal proposito emblematica.
c) L’economia arcaica: conservazione da parte del re vs. sfruttamento da parte degli oligarchi: i due nodi tematici qui messi in evidenza mostrano una stretta connessione con l’economia del mégaron e della khora di Itaca. I pretendenti di Penelope hanno sostituito l’ordinario convivialismo aristocratico idealizzato con un regime di cieco sfruttamento delle risorse; i proci si troverebbero perfettamente a proprio agio con gli attuali sostenitori più fanatici del liberismo e dell’idea d’uno sviluppo senza fine e senza limite, in presenza d’una popolazione sottomessa, di organi assembleari esautorati, e al prezzo del depauperamento delle giovani generazioni.
Naturalmente ogni analogia fra il mito e la realtà odierna è a rischio di banalizzazione e alterazione allegorica della significanza specifica del poema antico, e il convivialismo di Odisseo non è quello di Alain Caillé. E tuttavia ne è l’antenato ideale.
3. Tradizione, spazio geografico, antropologia: l’Odissea e la civiltà dopo la crisi.
Nella sua natura d’ibrido culturale, L’Odissea, la storia di un re militare miceneo che nasconde sotto la sua maschera protogreca i tratti d’un re sacerdotale minoico, e che viaggia nel mare d’occidente come un Gilgamesh, ma è destinato a un ritorno e a una rivalsa del tutto degni d’un eroe del Mahabharata, con tanto di gara dell’arco per riconquistare la propria donna (7), per ciascuno dei suoi elementi folclorici tradizionali contribuisce a definire uno spazio geo-antropologico con una ben determinata assiologia. Questa grande via dei canti mediterranea descrive una Grecia dopo il collasso di Micene, dopo i grandi crimini della hybris degli eroi antichi, dopo la crisi che ha fermato l’espansione. Gli eroi del poema di Odisseo vivono in un sogno di misurato equilibrio dopo la catastrofe, un idealizzato sistema di integrazione tribale costituito dai legami di ospitalità e dalla pace della gioia simposiaca. Lontana, la memoria dei viaggi, delle ambigue presenze dei Fenici e delle divine imprese al di là del mare, in Egitto, in Asia, alla ricerca di ricchezza e gloria attraverso la guerra, il commercio o le razzie piratesche. Veramente si può riconoscere in questo antico ordine eroico velato dalla malinconia d’un crepuscolo tutti gli aspetti più caratteristici che per molti aspetti fanno dell’Europa e della sua civiltà una proiezione continentale della civiltà ellenica, con la sua espansione tumultuosa, la sua decadenza, il suo rinascimento, i suoi momenti di crisi e di implosione, i suoi ambigui rapporti con le culture esotiche, belle e terribili, degli altri continenti. Una verità storica che l’Europa attuale sembra aver dimenticato del tutto. A questa Europa senza memoria, il convivialismo dell’Odissea, l’integrazione omerica fra xenoi e xenodòkoi, l’ideale di restituzione dell’ordine politico legittimo riconosciuto dalle agorai, un ordine che l’eroe omerico difende contro gli oligarchi demοbòroi, ha parecchio da insegnare.
_____________________
1) Per le connessioni indoeuropee del mito greco, esempi limitati alla tradizione omerica, cf.. ALFRED NUTT, “Cuchulain, the Irish Achilles”, Popular Studies n. 8, London, 1899, et BERNARD SERGENT, Celtes et Grecs, I, Le livre des héros, Paris, Payot, 1999, ed. ital. Celti e Greci. Il libro degli eroi, ed. ital. Roma, Ed. Mediterranee, 2005, pp. 139-269; GEORGES DUMÉZIL, Heur et malheur du guerrier, Paris, Gallimard 19852, p. 74; ID., Romans de Scythie et d’alentour, Paris, Payot, 1978, p. 94 s., CHARLES VIEILLE, Le Mytho-cycle héroïque dans l’aire indo-européenne. Correspondences et trasformations hélleno-aryennes, Louvain-La Neuve, Peeteers, 1996, pp.167-181,
2) Sulla regalità minoica di Odisseus . JAHN PUHVEL, «Helladic Kingship and the gods», Minoica. Festschrift zum 80. Geburtstag von Johannes Sundwall, hrsg. ERNST GRUMACH, Berlin, Akad. Verlag, 1957, p. 327-333, e ADELE J. HAFT, «Odysseus, Idomeneus and Meríones: The Cretan Lies of Odyssey 13-19», Classical Journal, 79 (1984), pp. 289-306
3) Cf. MARTIN LITCHFIELD WEST, The East Face of Helikon, Oxford, Oxford Univ. Press, 1997, p. 622 (L’ipotesi dell’Omero semitico era già, in forma ascientifica, in GEORG KROESE OMHPOΣ EBPAIOΣ, Sive Historia Hebraeorum ab Homero Hebraeis nominibus ac sententiis conscripta in Odyssea et Iliade, Dodraci 1704, p. 59. Con una formulazione sistematica dei problemi linguistici realtivi all’origine semitica dei nomi di Omero e di Odisseo-Ulisse, cfr. MAURO AGOSTO «Homeros: il dicitore. Sull’etimologia del nome Omero», in AIΩN – Sezione Linguistica (Università degli Studi di Napoli L’Orientale), 32, 2012, pp. 77-128, e in particolare le pp. 79-88.
4) Sugli elementi di contatto fra tradizione aedica greca e poesia epica di Ugarit, cf. Agosto cit. p. 99. Sulla versificazione ugaritica in specie, cfr. JOHANNES C. DE MOOR, «The art of versification in Ugarit and Israel I: the rhythmical structure», in Y.Y. AVISHUR, J. BLAU (edd.), in Studies in the Bible and the ancient near East presented to S.E. Loewenstamm on his seventieth birthday, Jerusalem, Rubinstein 1978, 128 (119-39): «Ugarit and Hebrew poetry were based on a free rhythm similar to that of the Jewish cantillation.» e BARUCH MARGALIT, A Matter of Life and Death: A Study of the Baal-Mot Epic (CTA 4-5-6), AOA 206, Kevelaer, Butzon and Bercker, Neukirchener-Vluyn, Neukirchener 1980, 219-228. Sugli elementi indoeuropei originari dell’esametro, cf. MARTIN LITCHFIELD WEST, «Three Topics in Greek Metre», Classical Quarterly, 32 (1982), 281-297; «Greek Poetry 2000-700 B.C.», Classical Quarterly, 23 (1974), pp. 179-192; «Indo-European Metre», Glotta, 51 (1973), pp. 161-187; RÜDIGER SCHMITT, Dichtung und Dichtersprache in indogermanische Zeit, Wiesbaden, Harassowitz, 1967; cfr. anche gli studi in Indogermanische Dichtersprache. Wege der Forschung, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1968, hrsg. RÜDIGER SCHMITT; cf. ROMAN JAKOBSON, «Studies in Comparative Slavic Meter», Oxford Slavonic Papers, 3 (1952), pp. 21-66; CALVERT WATKINS, «Indo-European Metrics and Archaic Irish Verse», Celtica, 6 (1963), 194-249; BRUNO GENTILI, «Preistoria e formazione dell’esametro omerico», in I poemi epici rapsodici non omerici e la tradizione orale : atti del Convegno di Venezia, 28-30 settembre 1977, a cura di CARLO BRILLANTE, MARIO CANTILENA, CARLO ODO PAVESE, Padova, Antenore, 1981, pp.75-104 e ARIE H. HOEKSTRA, Epic Verse before Homer: Three studies, Amsterdam, North-Holland publ. company, 1981. Gregory NAGY, Comparative studies in Greek and Indic meters, Oxford, 1974, pp. 49 ss.
5) Qualche esempio: Il frammento di poesia anatolica noto come Canto di Istanuwa ci fornisce una testimonianza incerta d’un antica Wilusiade in dialetto luvio: cf. CALVERT WATKINS, «The Comparison of Formulaic Sequences», in «Trends in Linguistics», 58, Reconstructing Cultures and Languages. Abstracts and materials from the first International Interdisciplinary Symposium on Language and Prehistory, Ann Arbor, 8 – 12 November, 1988, edd. EDGAR C. POLOMÉ, WERNER WINTER, Bochum, Brockmeyer, 1989, pp. 391-418 (v. in particolare le pp. 395 ss.); inoltre, How to Kill a Dragon –Aspects of Indo-European Poetics, New York, Oxford Univ. Press, 1995, p. 144 ss. Per le somiglianze fra l’Odissea e la redazione del Gilgamesh a opera di Sin Leqi Unnini: cfr. Martin L. WEST, East side of Helikon, cit. p. 404, MASSIMO VETTA «La saga di Gilgamesh e l’epica greca fino all’arcaismo». Quaderni Urbinati, 47, 2, 1994 pp. 7-20 (in particolare le pp. 7 ss.).
6) Fra gli altri cf. PAUL VON DER MÜHLL, in RE, suppl. 7, 1940, «Odyssee», pp. 696-768; F. FOCKE, Die Odyssee, Stuttgart, Kohlhammer, 1943; posizioni unitarie antioralistiche in LUIGIA ACHILLEA STELLA, Il poema d’Ulisse, Roma Ed. dell’Ateneo, 1955; WOLFGANG SCHADEWALT, Von Homers Welt und Werk, Stuttgart, Koehler & Amelang 19654, pp. 375-412, immaginò che un nucleo originario dell’Odissea sia stato ampliato dal redattore della Telemachia Le teorie oralistiche proposte da MARCHINUS H.A.L.H. VAN DER VALK. «The Formulaic Character of Homeric Poetry.» Antiquité Classique 35, 1966, p. 28, et WALTER BURKERT, «Irrevocabile verbum: Spuren müdlichen Erzählens in der Odyssee», in Horen Sagen Lesen Lerner: Bausteine zu einer Geschichte der kommunikativen Kultur : Festschrift fur Rudolf Schenda zum 65. Geburtstag, hrsg. URSULA BRUNOLD-BIGLER & HERMANN BAUSINGER, Bern, Lang, 1995, pp. 147-158, hanno superato la vecchia formulazione della questione concernente l’Odissea.
7) Sulla gara dell’arco e lo Swayamvara dei poemi dell’india antica, cfr. WENDY DONIGER, Splitting the difference: gender and myth in ancient Greece and India. University of Chicago Press, 1999, pp. 15 s.; STEPHANIE JAMISON, «Penelope and the Pigs: Indic Perspectives on the Odyssey», Classical Antiquity, 18, 1999, pp. 227-272; JOSEPH RUSSO, «Odysseus’ Trial of the Bow as Symbolic Performance», in Antike Literatur in neuer Deutung –Festschfrift für J. Latacz anlässlich seines 70, hrsg. ANTON BIERL, ARBOGAST SCHMITT, ANDREAS WILLI, Leipzig, Saur, 2004, pp. 95-101: «contenders for the hand of the royal woman must compete in a near-impossible task requiring special skill or strength or both» (p. 95); W. G. THALMAN, The Swineherd and the Bow: Representation of Classic in the Odyssey, Ithaca 1998, ch. 4; JONATHAN L. READY, «Why Odysseus Strings his bow», Greek, Roman and Byzantine Studies, 50, 2010, pp. 133-157; HARRY FOKKENS, «Bracer or Bracelets? About the Functionality and Meaning of Bell Beaker Wrist-guards», Proceeding of the Prehistoric Society, 74, 2008, pp 109-140.