Luca – poesia come espressione ieratica, narratio apparente, paradossale quindi più prossima al Vero.
di Carlo Carlucci
Micheline Catti pittrice e compagna di Luca ha fornito a Andrè Velter, prefatore dell’edizione Gallimard di tre testi fondamentali del poeta, una inedita, illuminante confessione del marito il quale affermò che se si infrange la forma in cui è prigioniera la parola nuove relazioni si manifestano: la sonorità si esalta, emergono segreti addormentati, l’ascoltatore è introdotto in un mondo di vibrazioni che presuppone una partecipazione fisica, simultanea all’adesione mentale. Al liberarsi di questo soffio, ogni parola diventa un segnale.
La chiave, la breve mappa che Luca ha dato per interpretare o meglio per essere guidati nel suo cammino verso l’assoluto absconditus evoca insospettati parallelismi con lo Sri Aurobindo che parlando del potere evocativo della poesia ha scritto di quell’ispirazione nella scelta e nell’accostamento inconsueto delle parole che ha il potere di aprire la mente a un senso più profondo: così il sunt lacrimae rerum (letteralm. “ci sono lacrime sugli eventi”) di Virgilio, che pure tradotto de verbo ad verbum potrebbe suonare goffo o rozzo, e lo stesso potrebbe dirsi di un verso di Shakespeare come and in this harsh world draw thy breath in pain (“e in questo aspro mondo trascini il tuo destino con dolore”) oppure il Leopardi che protesta “l’acerbo indegno/mistero delle cose” -una costellazione di riferimenti che sfociano fin nell’Indegno mistero delle cose di un Tommaso Boni Menato- o che conclude Alla sua donna con la franta traiectio latineggiante “questo d’ignoto amante inno ricevi”, intraducibile in lingue strutturalmente più rigide nel loro ordine sintattico (l’inglese e le lingue germaniche in genere, per esempio). Così, afferma Gherasim Luca, ogni parola può divenire un segnale. Di che cosa?
La fine del mondo
Il suo corpo leggero
È la fine del mondo?
è un errore
è una delizia che scivola
fra le mie labbra
vicino al ghiaccio
ma l’altro pensava:
non è che una colomba che respira
comunque sia
là dove mi trovo
accade qualcosa
in una posizione delimitata dalla tempesta
Vicino al ghiaccio è un errore
Là dove mi trovo non è che una colomba
ma l’altro pensava:
succede qualcosa
in una posizione delimitata
e scivola fra le mie labbra
è la fine del mondo?
è una delizia comunque sia
il su corpo leggero respira nella tempesta
In una posizione delimitata
vicino al ghiaccio che respira
il suo corpo leggero che scivola fra le mia labbra
è la fine del mondo?
ma l’altro pensava: è una delizia
accade qualcosa comunque sia
nella tempesta non è che una colomba
là dove mi trovo è un errore
E’ la fine del mondo che respira
il suo corpo leggero? ma l’altro pensava:
là dove mi trovo vicino al ghiaccio
è una delizia in una posizione delimitata
comunque sia è un errore
accade qualcosa nella tempesta
non è che una colomba
che scivola fra le mie labbra
Non è che una colomba
in una posizione delimitata
là dove mi trovo per la tempesta
ma l’altro pensava:
chi respira vicino al ghiaccio
è la fine del mondo?
comunque sia è una delizia
accade qualcosa
è un errore
che scivola fra le mie labbra
il suo corpo leggero
Le grida vane*
Nessuno a cui poter dire
che non abbiamo niente da dire
e che il niente che ci diciamo
continuamente
ce lo diciamo
come se non ci dicessimo niente
come se nessuno ci dicesse
nemmeno noi stessi
che non abbiamo niente da dire
nessuno
a cui poterlo dire
nemmeno a noi stessi
Nessuno a cui poter dire
che non abbiamo niente da fare
che non facciamo nient’altro
continuamente
che è un modo di dire
che non facciamo niente
un modo di non far niente
che non facciamo
se non quel che diciamo
cioè niente
(* Les cris vain è derivato, jeu de mots, da Les écrivains, “gli scrittori” appunto)
Questa ontofonia, concrezione ontica e materica del suono, che la poesia di Luca rappresenta, è ben più dell’ossessione reiterata del nulla verbale. Il suo nulla non è solo il néant sartriano: meglio si apparenta con il nulla solido del Leopardi dello Zibaldone, a patto di elevare all’ennesima potenza il portato logico della teoria delle illusioni del poeta di Recanati, col risultato di vanificare e chenotizzare la stessa radice segnica delle illusioni, il linguaggio. Così Luca raggiunge il non-dire, l’azzeramento della parola. Il poeta che scomparve nella Senna, indotto al suicidi dall’intimazione di scegliere la nazionalità francese in cambio di un tetto in periferia, una volta garantito questo tetto alla sua compagna Micheline, abbandonandosi allo scorrere eterno del tutto, abbracciava così la sua personale fin du monde. Si librava come les oiseaux di Rimbaud: “Quanto sono lontani gli uccelli e le fonti! Non può esservi che la fine del mondo andando avanti”.
Verso il non-mentale.
Verme di terra sotto un tacco alto
il pensiero gira
intorno a se stesso
con una frenesia statica
paragonabile al verme di terra
sotto un tacco alto
paragonabile a sua volta al pensiero
che proprio girando intorno a se stesso
ritorna su se stesso
con una frenesia statica
paragonabile
[…]
Ma piuttosto alla frenesia statica
dell’ombra di un dubbio
che gira ancora nella sua testa
e che gira male
come tutto ciò che gira
intorno al bene e al male
con un mal di testa paragonabile
alla frenesia statica di un pensiero
paragonabile all’incomparabile
Riportiamo qui unicamente la prima e l’ultima lassa di questo caleidoscopio trasmutante. Il non mentale è la premessa della psicologia della conoscenza ( indù) e la descrizione ( con metafora) del pensiero (mentale) che finalmente, in un’ ultima contorsione giunge stremato all’incomparabile. In tale dimensione, sciolti tutti gli ormeggi, galleggiava, bateau ivre, Ghérasim, segnando con la dissoluzione della sua esistenza fisica, l’inizio di un altro viaggio,quello veritiero e definitivo, della poesia di Luca