Parabol(ich)e dell’ultimo giorno – Per Emilio Villa

di Enzo Campi

(Una cop-indserata di Tu se sai dire dillo  2014 è stata dedicata ad Emilio Villa, qui l’intervento di Enzo Campi che ne è stato curatore.B.C.)

Emilio Villa è nato nel 1914 ed è venuto a mancare nel 2003. Approfittando del decennale della scomparsa (2013) e del centenario della nascita (2014) ho inteso rilanciare la complessa e articolata figura artistica di Villa con un progetto ad ampio respiro. Per quanto fosse considerato, dagli addetti ai lavori, come una figura determinante e anche come una sorta di precursore di alcune modalità di veicolazione della cosa letteraria e artistica, Villa ancora oggi risulta sconosciuto ai più.

Porsi all’ascolto di Villa è stata la nostra prima preoccupazione. Bisognava trasmettere questa necessità. Ed è anche per questo che il nostro progetto si è caratterizzato fin dall’inizio, nella sua fase di preparazione, come un gesto per così dire tripartito. In primis la realizzazione del libro, l’oggetto/soggetto da disseminare, poi una serie consistente di eventi per veicolare dal vivo pensieri, parole, opere, per permettere cioè di creare una linea d’ascolto, e infine la creazione di un sito, per documentare non solo la nostra attività, ma anche per riproporre opere di Villa già pubblicate su altri siti e quindi per creare nuove situazioni di interazione e diffusione. Ecco, semplificando e riducendo, questo è stato il nostro gesto. Riunire sotto l’egida di una progettualità una serie di autori più o meno legati a Villa e realizzare un’antologia di contributi critici e creativi da affiancare a una selezione di testi di Villa. Certo, sarebbe stato più semplice creare una situazione per soli addetti ai lavori. Si coinvolgono alcuni autori, si fa il libro e la cosa si chiude lì. Ma ricordare Villa a chi lo ricordava già e cioè agli estimatori non avrebbe avuto senso, o meglio non avrebbe aggiunto nulla. La sfida era quella di portare Villa tra le gente, di cercare cioè di farlo conoscere al di fuori dell’ambiente degli addetti ai lavori, di creare quelle linee d’ascolto di cui si parlava prima. Ragionando in tal senso bisognava trovare e individuare figure che, al di là della collaborazione alla realizzazione del libro, potessero rendersi partecipi fattivamente e praticamente del progetto. Vorrei ricordare, tra gli altri, Martina Campi, Mario Sboarina, Francesca Del Moro che, pur non facendo parte della scuderia di autori, hanno collaborato fattivamente alla realizzazione di quasi tutti gli eventi, Jacopo Ninni che ha collaborato alla realizzazione di diversi eventi, Ivan Fassio e Fabrizio Bonci che ci hanno ospitato per ben due volte a Torino nell’ambito delle manifestazioni di Oblom Poesia, Julian Zhara e Gerardo De Stefano per l’evento organizzato a Venezia, Laura Liberale e Giovanna Frene per l’evento organizzato a Padova, Flavio Ermini che ha voluto riservarci uno spazio nell’ambito delle manifestazioni del Premio Montano a Verona, Anna Maria Curci per l’evento organizzato a Roma, Carmine De Falco e Bruno Galluccio per l’evento organizzato a Napoli, Rolando Gualerzi per l’evento organizzato a Reggio Emilia. Poi, come talvolta accade, si possono sviluppare anche linee d’ascolto e d’intercomunicazione interne. È il caso di Dome Bulfaro e Biagio Cepollaro che si sono resi complici della disseminazione del progetto. Bulfaro realizzando un video, partecipando a diversi eventi e organizzandone uno a Monza, Cepollaro ospitando il progetto per ben due volte all’interno delle due ultime edizioni di “Tu se sai dire dillo” a Milano.  Nel corso di un anno abbiamo realizzato 19 eventi. Non sono pochi, anzi credo che si tratti della massima diffusione che Villa abbia mai avuto.

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E veniamo propriamente all’ascolto.

Partiamo da un imperativo, non un imperativo categorico, perché in Villa nulla è categorico; è anzi l’esatto e perfetto contrario: in Villa tutto è aperto, tutto rinvia ad altro e all’altro a quell’alterità che, come diceva giustamente Zanzotto,  è caratteristica peculiare sia dell’uomo-Villa che dell’artista-VIlla; dicevo partiamo con un imperativo, quasi un’esortazione: “che l’ascolto si apra”.

E correggiamo il tiro dicendo molto semplicemente: “All’ascolto!”. Adesso smembriamo quest’ultima affermazione nella sua dualità di fondo. Da un lato: farsi ascolto di sé; e questo naturalmente non può bastare, quindi dall’altro lato avremo la possibilità di innestare nell’auditore la voglia e per così dire l’urgenza di porsi all’ascolto.

La soluzione più semplice sarebbe quella di abolire la linearità del dettato sonoro. Ma in Villa non si dà semplicità. Il dettato è complesso, sovrastrutturato. La trasmissione di dati sensibili avviene attraverso diverse lingue. E per di più queste lingue non vengono usate, come dire, nella loro dignità sintattica e grammaticale, ma vengono abusate, manipolate, trattate, sezionate e reinventate. Ne converrete, risulta pressoché inevitabile tentare una sorta di ulteriore manipolazione, un’estensione, tentare un gesto – allo stesso modo sovrastrutturato – che possa rendere giustizia al dettato originario e creare una linea d’ascolto.

Ho detto linea, perché nella letteratura villiana si è spesso in presenza di un campo di forze, non solo linguistico e contenutistico, ma anche propriamente grafico. Le linee sono spesso vettoriali. Si dipanano da un trou, da un buco, da un apsu (termine spesso usato ed abusato da Villa e con il quale i Sumeri indicavano l’abisso), da un abisso centrale mettendo al lavoro la loro carica voltaica, ma – beninteso – non per raggiungere un punto ma per esplorare quel punto, per far sì che quel punto possa divenire un nuovo trou da cui ripartire in quel gioco al massacro in cui non si dà una fine, ma solo ed unicamente l’impossibilità di finire.

Anche là dove Villa elabora i suoi scritti operando quasi esclusivamente da un punto di vista linguistico, la disposizione delle lettere, dei fonemi, delle parole sulla pagina, nella giustapposizione di pieni e vuoti, di spaziature e spaziamenti, crea comunque delle linee di forza.  Una scrittura spazializzata quindi. E se la scrittura è spazializzata, il suono o meglio la sonorità che fuoriesce da questa scrittura potrebbe essere definita in un doppio movimento, anche simultaneo,  di ripiegamento e di dispiegamento. L’abbiamo già accennato, ma articoliamo meglio il discorso. C’è il ripiegamento all’interno del trou , in questa sorta di fucina, anche alchemica se vogliamo (l’ovo villiano è anche metafora dell’atanor, del forno alchemico dove avveniva il solve e coagula), dove cuocere a fuoco lento tutte le lingue per decostruirle e ricostruirle. Dall’altro lato abbiamo invece il dispiegamento dei toni oracolari e vaticinanti delle sibille. Ma non sono due movimenti opposti, non sono l’uno il contrario dell’altro, anzi sono complementari. Potrebbero essere considerati come due tasselli o, se preferite, due colonne portanti della stessa struttura. Ma c’è anche una parte centrale che possiamo definire in vari modi: il supporto, oserei dire “soggettile”, ove imprimere, incidere i segni della propria alterità; la terra, che sarà anche madre e nutrice, ricettacolo e porta-impronte, ma che viene spesso oltraggiata, raffigurata o, se preferite, defigurata nella melma: la melma del naviglio dei tempi giovanili ma anche la melma del tevere a cui affidare la dissoluzione e la dissipazione dei suoi sassi scrittori; il labirinto, questo mitico e fatidico labirinto che induce un movimento circolare e circolante, dove risiedono in un certo senso la volontà di potenza, l’eterno ritorno o, per dirla con Carmelo Bene, il ritorno dell’eterno, quell’eternità che in Villa, beninteso, coincide sempre con l’origine, e quindi anche con il caos, con la disarticolazione verbale. E dunque tra i trous, i labirinti e le sibille si muovono queste linee ove Villa mette al lavoro le sue decostruzioni, le sue destabilizzazioni linguistiche, ove coltiva l’alterità, il sacrificio, il segno, ove ripropone pedissequamente da un lato la sua affezione morbosa per le origini e dall’altro lato le sue lamentazioni letaniche, ove invita gli altri a porsi in ascolto. Ecco: questo porsi all’ascolto è determinante in coloro i quali tentano un approccio a Villa.

Se poi volessimo aggiungere che il cosiddetto trou-generatif per Tagliaferri è per l’appunto la bocca, ovvero la cavità-madre di tutte le parole, ebbene: il nostro gioco sonoro e risonante sarebbe già giustificato. Ma, beninteso, non abbiamo bisogno di giustificazioni. Villa va interpretato, sia dal punto di vista linguistico che da quello propriamente verbale, sonoro. E le interpretazioni, così come le traduzioni, sono sempre un po’ dei tradimenti. Bisogna tradire Villa così come lui tradiva le lingue e i miti da cui attingeva a piene mani la linfa vitale. Questo è tutto, questo è il tutto che ci manca e in cui ci manchiamo. Questo è tutto, ma come sempre accade, c’è  e ci sarà sempre  dell’altro con cui misurarsi e fare i conti. Ci sarà sempre dell’altro da tradire e a cui rinviare – nel nostro eterno moto circolare e circolante – la serie sempre inesausta e sempre ricorrente degli ulteriori tradimenti. Ma tradire vuol dire anche “dire-tra”, cercare di entrare in questo mondo smisurato e coglierne l’intestinità. Un’altra utopia da mettere al lavoro e in cui mancarsi. Posto che nessuno possa tradurre e spiegare interamente Villa, non ci resta che l’interpretazione soggettiva. (Enzo Campi)

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Parabol(ich)e dell’ultimo giorno – Per Emilio Villa

a cura di Enzo Campi

2013, DotCom.Press – Le Voci della Luna edizioni (Milano-Sasso Marconi)

Il volume comprende una selezione di testi di Emilio Villa

Contributi critici e creativi di

Daniele Bellomi, Dome Bulfaro, Giovanni Campi, Biagio Cepollaro, Tiziana Cera Rosco, Andrea Cortellessa, Enrico De Lea, Gerardo De Stefano, Marco Ercolani, Flavio Ermini, Ivan Fassio, Rita R. Florit, Giovanna Frene, Gian Paolo Guerini, Gian Ruggero Manzoni, Francesco Marotta, Giorgio Moio, Silvia Molesini, Renata Morresi, Giulia Niccolai, Jacopo Ninni, Michele Ortore, Fabio Pedone, Daniele Poletti, Davide Racca, Daniele Ventre, Lello Voce, Giuseppe Zuccarino, Enzo Campi

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Il sito

http://parabolichedellultimogiorno.wordpress.com/

 

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Biagio Cepollaro, nato a Napoli nel 1959, vive a Milano. Esordisce come poeta nel 1984 con Le parole di Eliodora (Forum/Quinta generazione), nel 1993 pubblica Scribeide (Piero Manni ed.) con prefazione di Romano Luperini e Luna persciente (Carlo Mancosu ed.) con prefazione di Guido Guglielmi. Sono gli anni della poetica idiolettale e plurilinguista, del Gruppo 93 e della rivista Baldus . Con Fabrica (Zona ed., 2002), Versi nuovi (Oedipus ed., 2004) e Lavoro da fare (e-book del 2006) la lingua poetica diventa sempre più essenziale aprendosi a una dimensione meditativa della poesia. Questa seconda fase del suo percorso è caratterizzata da pionieristiche attività editoriali in rete che danno vita alle edizioni on line di ristampe di autori come Niccolai, Di Ruscio e di inediti di Amelia Rosselli, a cui si aggiungono le riviste-blog, come Poesia da fare (dal 2003) e Per una Critica futura (2007-2010). Nello stesso periodo si dedica intensamente alla pittura (La materia delle parole, a cura di Elisabetta Longari, Galleria Ostrakon, Milano, 2011), pubblicando libri che raccolgono versi e immagini, come Da strato a strato, prefato da Giovanni Anceschi, La Camera Verde, 2009. Il primo libro di una nuova trilogia poetica, Le qualità, esce presso La Camera Verde nel 2012. E' in corso di pubblicazione il secondo libro, La curva del giorno, presso L'arcolaio editrice. Sito-archivio: www.cepollaro.it Blog dedicato alla poesia dal 2003: www.poesiadafare.wordpress.com Blog dedicato all’arte: http://cepollaroarte.wordpress.com/
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