Per Rosaria e Roberto
Minacciosità mafiosa (quasi) accidentale di un avvocato
Un tempo ormai lontano ci fu una celebre sentenza che certificò un “malore attivo” quale causa del volo accidentale fuori dalla finestra di un ferroviere anarchico mentre lo stavano interrogando alla questura di Milano.
Pochi giorni orsono un’altra sentenza controversa non decretava – per fortuna – che il malcapitato Stefano Cucchi era deceduto per autolesionismo e proprio rifiuto a alimentarsi, bensì mandava tutti assolti perché non ci sarebbero state prove sufficienti per stabilire le responsabilità personali dei tanti coimputati nella sua morte.
La sentenza di ieri per certi versi forse somiglia più a quella sul caso Pinelli. Contiene aspetti così stridenti non solo con il temibile buonsenso ma anche con la logica più elementare da farla apparire molto meno tragica di quella ma imparentata da un sentore di assurdo.
Il tribunale di Napoli ha condannato “per minacce aggravate dalla finalità mafiosa” il difensore dei Casalesi Michele Santonastaso e al tempo stesso ha prosciolto “per non aver commesso il fatto” i boss Antonio Iovine e Francesco Bidognetti (il primo diventato collaboratore di giustizia).
Il verdetto, a prima vista, cozza contro l’uso comune dell’italiano e di tante altre lingue dove l’incarico a un avvocato si dice “mandato” e colui che glielo conferisce cade sotto la definizione di “mandante”: «Nel linguaggio giur., relativamente al contratto di mandato, il soggetto che dà all’altro (mandatario) l’incarico di compiere uno o più atti giuridici nel suo interesse.» (Treccani)
Insomma, la sentenza sembra affermare che nel 2008 durante l’appello dello Spartacus, quando fu letto il documento contenente minacce aggravate dalla finalità mafiosa contro Rosaria Capacchione e Roberto Saviano (i magistrati Federico Cafiero de Raho e Raffaele Cantone figurano come parti lese in un processo a Roma), l’avvocato Santonastaso abbia pensato tutto da solo: prima di includere quella lettera intimidatoria nell’istanza di remissione, poi farla firmare ai suoi mandanti e infine darne pubblica lettura in un’aula del tribunale di Napoli. L’aggravante della finalità mafiosa, confermata dalla sua condanna, scaturirebbe dunque dalla semplice circostanza che (vedi Treccani) il difensore abbia agito nell’interesse di soggetti che erano senz’altro all’apice di un’organizzazione criminale. Forse l’accaduto andrebbe quindi interpretato come un eccesso di zelo professionale nei confronti dei mandanti che abbia trascinato il legale in finalità mafiose. Perché secondo la sentenza di ieri è invece stabilito che i due boss Bidognetti e Iovine non hanno commesso il fatto. Non hanno preparato il testo dell’istanza di remissione (ossia la richiesta di spostare il processo a Roma), anche se includeva una lettera firmata da entrambi, e non l’hanno indubitabilmente letta in aula. Potrebbero, secondo il giudice, averla firmata come un qualsiasi documento burocratico, molto distratti, senza accorgersi che contenesse delle minacce o senza rendersi conto che, visto che risultavano pronunciate a nome di due capi camorra, potessero venire giudicate aggravate da finalità mafiose. Questo s’induce dal fatto che le loro firme autentiche siano state ritenute prova a tal punto insufficiente da non mandarli assolti per insufficienza di prove bensì con formula piena. Ieri due cittadini condannati all’ergastolo come mandanti di moltissimi omicidi e una strage sono stati dunque scagionati come mandanti di un loro rappresentante di fronte alla legge dello Stato. Ma forse supporre o pretendere che chi si assume la responsabilità di decidere chi bisogna ammazzare stia anche a controllare ogni mossa che s’inventa il suo avvocato, sembra davvero troppo.
Nazione Indiana è il luogo dove Roberto Saviano ha mosso i suoi primi passi e anche il luogo dove Rosaria Capacchione ha transitato con un’ospitalità assidua e familiare, spesso mediata dal suo amico e compaesano Francesco Forlani. Questo commento è quindi anche il nostro modo per dire che siamo vicini a Rosaria e Roberto che, tutti e due, avrebbero volentieri fatto a meno delle minacce aggravate da finalità mafiosa e degli anni di vita sotto scorta che gli sono valsi: purtroppo ragionevolmente, come in ogni caso stabilisce la sentenza emessa ieri a Napoli.
I commenti a questo post sono chiusi
Avere il coraggio di scrivere, di restare in piedi, grandi, davanti alla camorra.
Avere il coraggio e la speranza di chiedere giustizia.
Ma la giustizia non ha sentito questo grido.
Chi ha fatto della vita di Rosaria e di Roberto una prigione meritava una sentenza severa.
E’un segnale gravissimo.
Provocherà indignazione nel mondo.
Grazie per non avere dimenticato uno scrittore che ha abitato un tempo Nazione Indiana.
[…] comprenderla come esemplare per l’ascesa dei nuovi “professionisti della mafia”, Rosaria Capacchione l’ha scritto appositamente per Nazione Indiana. Ne siamo onorati e la ringraziamo con […]