Essendo il dentro un fuori infinito #3
di Mariasole Ariot
In una casa hanno tutti la febbre. “Ici c’est les malades
qui soignent les malades”, mi disse una donna.
Vincent Van Gogh
Lei cura la febbre da venti giorni, è morta da sette, spreme le limacce coi canini, le cola sul mento una bava.
Lei non è mai nata, lei ha l’azzurro negli occhi, lei mangia le sigarette che non fuma. Era la coricata delle fiale e delle provette : reparto superiore, angolo a destra, Genetica Molecolare.
Ero una di loro
Con l’indice indica il quarto: le vetrate aperte s’intravedono dalla prima scogliera. Noi siamo qui e remiamo : tutto è un sottofondo, un brusio, un deserto senza bocca. Era una di loro, l’hanno resa pietra per non fuggire, per rinunciare ai corpi e all’essenziale dei riflessi, per fare del custodito una riscossa.
In francese si chiamerebbe Florence.
****
L’unica stanza libera è un corridoio : Fiore sfonda le lettere alfabetiche, si accascia origliando nella catena della notte. Poi dicono il si dice : dicono distrugga le porte, dicono strappi i capelli, dicono che i deboli non hanno disgrazie ma rogne, dicono i deboli non sono deboli ma fingono, dicono che il padre a cui scrive è un amico morto. Dicono : lei ha le molecole nel culo.
Ma non è qui di passaggio. E’ un passaggio e la conoscono bene, è un lamento che richiama all’ordine, un intreccio di braccia come serpi fuoriuscite dalla teca : ci disordina la vista, è un passaggio e noi passiamo.
Fiorenza lava i denti col sapone e rifiuta le carezze : non è un cagnolino : ha i seni i fianchi i seni, il latte amaro del dopoguerra, Fiorenza proietta un lungometraggio alla parete del fondo, Fiorenza parla tre lingue ma esige silenzio. Il lungometraggio non conosce la parola fine:
mortuaria sale e scende, attraversa i confini che sconfina. E’ una veste, una camicia bianca, una contenzione.
Testa Sognante Ostinata. Le alghe s’intrecciano al cordone, tolgono ossigeno. Fiore
se non silenzia grida.
***
Siamo qui da tre giorni e sono passati decenni. Saliamo al secondo piano nel luogo delle lucertole dove il sole scalda e ci brucia, e lei sbatte le ali, e le sacche di pelle traboccano dalla cinta. L’edera ci avvolge, strangola i colli, ci prende per amanti e si sbaglia.
Mineraria sogno l’aperto:
questo inverno
dove sono immobile.
I salici
smettono di cadere : è l’estate chiara,
un chiaro d’uovo scende.
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E’ la malattia giovane dei millenni. Un carico di crepuscolo e lamento tocca il naso con la lingua. Fiore sfiora le soppraciglia e le pulisce come i gatti : un animale tra le gabbie, infila un braccio tra la prima e la seconda, tocca e non toccare – dice il cartello che porta al collo : tocca e non toccare.
Fiore mastica i pezzi di guscio incastrati nei denti, Fiore sanguina parole che non ha ferito.
Ma i veleni sono queste bevute, l’orgiastico dei monili che titinnano ancora, e di nuovo, e quasi accadono, e dove non cade, il vento muore : ascolta : senti questo dondolìo. Non sono scheletri, sono campane – sembrano scheletri e sono campane.
***
Poi decide per il silenzio. Nella stanza del fumo muove le mani nell’aria e disegna una lingua.
= tu, se precipiti, è una casa?
Precipitiamo nel fondo : il prosciugato è una madre che origlia dal buco e s’incupisce.
Dove un’orma ha ormai trovato tempo, da tempo
anch’io ho un centro vuoto, da tempo non ho un tempo. I nostri passati si accumulano sulla schiena e non è un coprispalla e non è un ventaglio e non è acqua che rinfresca e non è calda e non è roccia e non è vile e non dispèra. E’ questa massa molle, questo cielo nero che non ruota, che delira l’incubo delle montagne – ci sono i vitelli, gli appena nati e i minatori. Fiorenza ha occhi blu che precipitano fiori : dove, madre, dov’è questo fuori di scena? Questo fuori di :
niente.
Lei si siede, stanno arrivando, l’allarme non è musicale.
E’ la pratica delle sanguisughe, mi dice.
Si distende in fretta. Gli animaletti corrono sul profilo, le tappano la bocca, si dimena, le sanguisughe si aggrappano a ogni ovunque, suggono dalle mammelle, prelevano la linfa : bradicardica, datele del detersivo. Calcolatela.
Poi cadiamo nel sogno e ti accompagno.
Tu hai uno strumento ed io le corde: ci accordiamo. E’ lo sciopero della misura, dell’ossessione, del ripetere il focolaio delle ombre. Trovi una nota e poi la perdi. Eppure, Fiore, noi ridiamo : tu porti il nome delle luminose, porti l’impertinenza, tu porti l’aleph che credevano di averti sottratto.
Tu scrivi, Fiorenza , tu scrivi a un padre che non è mai esistito.
Ma tu : scrivi
****
Caro Noah,
ti ho conosciuta da bambina quando vivevo nell’uovo. Ricordi i ricordi della mamma? Ricordi
la lettera arrivata oggi?
Papa Noah io non conosco gli alfabeti, non conosco la posizione dell’h e non ho accenti: sono aspirata, qui dentro tutti inspirano e io mi dissolvo.
Hai visto le campanelle del giardino? Le ho piantate ieri per le piccole casse dei morti : prima stava la frutta, poi è marcita. E’ il mio lavoro: sono qui per ritrovare la carne che ho lasciato l’ultima volta, sono qui per un errore collettivo.
Mi hanno detto che era Natale, che i legacci erano nastri, ho bevuto la cioccolata calda. Dicono che non esisti, che sono figlia di nn. Io sono nessuno, papà. Ma io conosco i miei diritti. Trattamento sanitario obbligatorio, non rattristarti.
Milly ieri mi ha portato un anello : le ho sputato in viso. Gli altri credono sia per vendetta. Non è così, papà : Milly soffre di ragni. Theraposidae. Ho soffiato perché fuggissero.
Tra poco arriverà il carrello della cena ma io ho fatto sciopero di parole e non le mangio.
Io sono un pesce, Noah. Io ti sto nuotando all’infinito per tutte le vasche che non mi hai mai dato. Ti sto cercando ovunque. Ti ho inventato perché tu potessi venire a prendermi.
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chiusa a doppia mandata, e libera come i sogni
https://www.youtube.com/watch?v=IaWIlzoZdH0
Caro Diamonds : grazie davvero. Jeff Buckley è tutta la mia adolescenza. E ancora riecheggia.
un vero labirinto emotivo in cui la ragione si decostruisce e reimpasta fino a perdere il senso della logica ‘siddetta normale; dovresti lanciarmi un filo, o resterò dentro a perdermi ancora.
Vorrei ci fosse questo filo, Natalia. Un filo che facesse legame e riaccatenasse ciò che si scatena. C’è, da qualche parte c’è, ma forse è fuori scrittura.
è fuori nella misura in cui si resta paralizzati dentro, ma qui scatena e non c’è immobilità, ma slancio = —–> ; precipitando si entra in movimento nel dentro più dentro, credo quindi che tu abbia già trovato en abîme il bandolo per venir(n)e fuori.
Un passo alla volta la narrazione va avanti.
Il finale apre i muri.
“Essendo il dentro un fuori infinito”, terza tappa di un viaggio.
Il titolo potrebbe evocare anche la caserma e il reparto piantonato in cui al termine del suo si è trovato Stefano Cucchi. Ogni dentro per cui il fuori è infinito e attualmente irragiungibile.
Come se ne può parlare? Per esempio così, ricorrendo a un misto di linguaggi e di immagini che dicono assieme (anche) la difficoltà di esprimere.
Ma dicono anche – in particolare in questo testo – che l'”essere fuori” è anche una questione di immaginario che non si lascia né quietare né comprimere.
Questo almeno è ciò che penso io.
Grazie, Helena, che cogli la vicinanza con altri dentro che mi stanno a cuore, con tutti i dentro in cui il fuori è infinito e sembra (o a volte è davvero) irragiungibile. E poi quell’impossibile quietare. Quello che spero è che la parola – e l’immagine che è a sua volta lettera, facendo di questi termini dei corpi, possa stampellare quei dentro. Non per solidificarli, non per fortificarli : al contrario. Per proteggerli facendoli uscire da piccole porticine. Anche quando zoppicano, o quando senza femori cercano di uscire ( e se davvero, come scrive n.a. il finale apre i muri – io davvero tifo per l’apertura. Almeno alcune crepe, almeno alcune buche : che frani un po’ la trincea, che frani un po’ il non detto )
Sono affascinato dal (e affratellato al) ritmo della tua prosa. Il resto (il senso, lo scavo) si sta depositando; ma ti seguo :-)
affratellati al (come ai multilinguaggi, agli scavi). Grazie per aver letto, Davide
Ma tu : scrivi
(e liberamente come adesso)
Lo prendo come se tu fossi Yoda e io un padawan, Marilena
Le profondità successive, concentriche e involute, di questi testi sono un labirinto semantico ogni volta misterioso e luminoso.
Curioso il percorso della sonante parola crepare, scricchioli e aperture, verso il volgare e duro sinonimo di morire, verso il riflessivo fendere se stessi, sbriciolarsi.
,\\’
Curioso e belissimo. L’etimo a volte è oracolare : questo fare strepito, rumore, oppure, appunto – invece – morire. E’ un labirinto illuminante. Forse si tratta appunto di mantenersi saldi in quella linea, al di là del confine. Sporgersi, ma restare dalla parte del rumore, a a cagione di rottura.
(fratellanza nell’amore per http://www.etimo.it!)
cra/crap=cla/clap=clapclap quasi a sentire l’applauso ad una mano sola
Ed è bella questa immagine zen. Graziegraz per la lettura, teqnochiocciola.
Molto bello, forse il capitolo migliore della trilogia. Aggiungo una canzone che potrebbe fare da colonna sonora
http://m.youtube.com/watch?v=DQBDsNiCCNM
Grazie A.
And this just feels like spinning plates
I’m living in cloud cuckoo land
And this just feels like spinning plates
Our bodies floating down the muddy rive
E’ così. Specialmente queste due ultime righe.