Non perdiamo la testa. Il doveroso e vano tentativo di difendervi da Allam e le firme de Il Giornale

di Lorenzo Declich

E’ venerdì 24 ottobre, ho fatto una ricerchina su “Non perdiamo la testa” partendo dalla copertina, su cui si trova scritto “Controcorrente.it”.

Trattasi di un editore che promuove in questi giorni “Eurasia, Vladimir Putin e la Grande Politica” di Alain de Benoist e Aleksandr Dugin.

L’ultimo evento promosso da Controcorrente.it è il “XXII Convegno Tradizionalista della Fedelissima Città di Gaeta”.

Com’è di moda presso una certa qual destra, questo editore millanta un’operazione culturale “contro” il pensiero dominante.

Invece, come vedremo nel libro curato da Marco Zucchetti, mira alla pancia dei lettori, un luogo del corpo che spesso comanda su cuore e cervello.

E fa sfracelli.

***

Il libro è uscito martedì 21 ottobre.

Il titolo gioca sull’idea che quelli di Daesh (IS, ISIS, ISIL, Stato Islamico) siano principalmente “tagliatori di teste”.

Vedremo poi come alcuni autori maneggeranno il tema.

La pubblicità del libro, il cui claim recita “2014 l’anno dei tagliagole”, ritrae James Foley in ginocchio vicino al boia britannico di Daesh.

Ieri, giovedì, Diane, la madre del giornalista giustiziato, ha querelato “Il Giornale”: “La decapitazione di mio figlio usata come pubblicità di un libro”.

Poteva bastarmi, in effetti. Potevo fermarmi qui, dicendomi: “gli sta bene”*.

E invece no, non mi è bastato.

Mi sono messo in testa di leggere il libro.

Ma pur essendomi piegato all’idea di acquistarlo e avendo poi effettivamente raggiunto l’edicola col denaro necessario (l’idea di doverlo comprare era già una sconfitta per me), ho trovato che era esaurito.

Parliamo di edicola di Testaccio, uno di quei leggendari “bastioni della sinistra” della città di Roma.

L’edicolante era distrutto, mi ha guardato con mestizia, io ho voluto specificare la mia posizione di lettore critico, mi ha detto che forse ristampano il volume e ciò ha prodotto in me una lacerazione interiore.

Ho pensato all’Italia.

Oggi, venerdì, ho cercato in un’altra edicola. Esaurito.

Poi in un’altra edicola ancora, e un’altra ancora.

***

Eccolo qua, ‘sto libro.

La copertina recita “Non perdiamo la testa, il dovere di difenderci dalla violenza dell’islam”, Magdi Crisiano Allam e le firme de il Giornale.

Giro il libro.

Firme, in ordine alfabetico: Francesco Alberoni, Magdi Crisiano Allam, Fausto Biloslavo, Luca Fazzo, Vittorio Feltri, Stefano Filippi, Alessandro Gnocchi, Giordano Bruno Guerri, Paolo Guzzanti, Ida Magli, Gian Micalessin, Fiamma Nirenstein, Alessandro Sallusti, Marcello Veneziani, Stefano Zecchi.

Avrò un bel da fare, temo.

***

Prima che iniziate a leggere questa mia esamina voglio che sappiate che non è la prima volta che mi avventuro in un’impresa del genere.

Anzi, guardo a questo libro con occhi stanchi.

Ho tenuto un blog per diversi anni in cui mi occupavo anche di ciò che definivo “islam percepito“.

Di Magdi Allam ho scritto, eccome, cercando di non essere cattivo ma, a volte, non riusciendovi.

Di Fausto Biloslavo ho annotato qualche attività, fra cui quella di intervistare Gheddafi durante i giorni della guerra in Libia.

Anche Vittorio Feltri compare nel mio vecchio blog perché, oltre a essere Vittorio Feltri, è anche autore di un libro dal titolo “Il Corano letto da Vittorio Feltri”.

Ida Magli per me è una vecchia conoscenza, in effetti.

Gian Micalessin ha iniziato a comparire sul mio radar già nel 2011 ma mi si è manifestato in tutto il suo fulgido strabismo destrorso più avanti, quando ha iniziato ad andare in Siria da embedded, sposando in toto la versione della realtà fornita dalla propaganda di regime.

Conosco bene la prosa di Fiamma Nirenstein, per me fino a ieri era roba passata.

Posso dire con certezza che le persone qui citate sono parte di una banda di haters abbastanza ampia, la cui sociologia è ancora tutta da scrivere ma che ha i propri santi e santini.

OrianaFallaci, prima di tutto. Poi Bat Ye’or, Geert Wilders, Ayaan Hirsi Ali e tanti altri.

E’ un mondo popolato di borghezi di vario genere, entrando nel quale prima o poi si arriva a parlare del boia di Utoya, Anders Behring Breivik e di una destra parafascista che pullula di “controjihadisti” e lancia l’allarme “Eurabia“.

Al tempo avevo deciso di collocare le mie osservazioni nella categoria “destre e islam“.

E’ un tema ampissimo, spinoso e posso dire di non essere riuscito a tracciarne confini certi, anche perché – udite – la melma tracima a sinistra.

A un certo punto ho chiuso il blog per motivi di pulizia mentale.

Ho la certezza, però, che “Non perdiamo la testa” rappresenta una rassegna dei temi principali usati da questi haters, quindi mi sento quasi in dovere di fare ciò che sto per fare, cioè leggere questo libro e commentarlo, anche se farlo è per me una tortura: conosco i miei polli, le loro manipolazioni, so quanto riescano a offendere le intelligenze, quanto letali siano le tossine che rilasciano, quanto senso di malessere trasmettano.

***

Ancora un preliminare.

Grazie alla mia pregressa attenzione sul tema ho imparato a far buon uso di alcune parole.

Non userò “islamofobia” perché il concetto, se inteso in maniera generica, è scivoloso e offre molti appigli retorici non sempre controllabili.

Vedremo come ci gioca Magdi Allam, ma è bene sapere che diversi sono gli attori politici e culturali che lo usano.

Fra di essi ci sono anche musulmani retrogradi, reazionari, maschilisti che ponendosi come vittime dell’islamofobia cercano di dar leggittimità, in chive politica, alla loro specifica e sordida idea di islam.

***

Bene, indossato lo scafandro dell’espertone di haters controislamici entro dentro.

So quando entro, non so quando esco, soprattutto non so se e come ne esco vivo.

Secondo la presentazione:

l’Occidente che si era illuso di poter convivere pacificamente con l’islam, ha riscoperto il terrore dell’estremismo, ma sembra aver rinunciato a combattere” (Occidente maiuscolo e islam minuscolo).

Perché, effettivamente, questa chiarissima entità chiamata “Occidente” è dotata di sentimenti, dunque è capace di illudersi, riscoprire e rinunciare.

Un’entità che, seguendo il filo del copertinista, è una “civiltà” di nome Occidente.

Una “civiltà” che “soffre” di tanti “mali”, proprio come una persona soffre di epicondilite acuta, reumatismi, demenza senile.

Ci collochiamo alla fine dell’800, insomma, e la globalizzazione proprio ci rifiutiamo di prenderla in considerazione.

Pensiamo che esistano delle civilità, che queste civiltà abbiano una nascita, un’apogeo, un declino.

Nel caso della civiltà occidentale questo declino sembra interminabile, da più di un secolo viviamo nel crepuscolo “dei valori” e “delle identità”.

E tutto ciò avviene a causa di strani “mali” emersi come cancri nelle nostre coscienze: il politically correct, la paura di passare per razzisti, la sudditanza psicologica del relativismo culturale.

***

La prefazione di Alessandro Sallusti ci annuncia che c’è una vittima, Magdi Cristiano Allam.

Quest’uomo ci aveva avvertito, ci aveva detto che dietro le “primavere arabe” si celava il mostro, e che il mostro ora ci vuole mangiare.

Non dovevamo farci ingannare dai sinistrorsi: il levantino che chiede libertà, giustizia sociale e democrazia è un truffatore, ha un secondo fine, anche se poi muore per mano di un altro levantino sotto un barile bomba o sparato da un militare o un poliziotto anch’essi levantini.

E a dircelo era proprio uno che lì ci è nato.

Ma noi non l’abbiamo voluto ascoltare.

Siamo stati buonisti.

Ora nel “mondo arabo” (non islamico, proprio arabo) l’odio verso l’Occidente è soverchiante dobbiamo difenderci perché in pericolo siamo noi e i nostri figli.

E questo libro, al quale contribuiscono un manipolo di eroi della nostra cultura, della nostra identità e della nostra democrazia, vuole rappresentare un piccolo ma significativo passo in difesa dei nostri paesi.

E, testuale, del mondo intero.

Un libro che insomma va Controcorrente (anche se è esaurito in 8 edicole su 9 a due giorni dalla sua uscita).

Nessuno, tranne questa nostra pattuglia di indomiti combattenti, ha detto niente, nessuno ha scritto niente.

Invece loro erano lì, asserragliati nel fortino, mentre orde di buonisti morbosi svendevano la loro identità, la loro cultura, la loro democrazia.

E processavano Magdi Cristiano Allam.

***

Ci siamo, qui impatto il capitolo 1, in cui Allam spiega di dover addirittura subire un processo per istigazione all’odio razziale da parte dell’Ordine dei giornalisti.

Secondo Allam, l’Ordine ha “recepito e fatta propria la strategia dei militanti islamici”.

Secondo Allam, che non è nuovo a un particolare genere di elucubrazione paranoica basata su una distorta percezione dei fatti, una sua condanna presso l’Ordine dei giornalisti porterebbe in tempi brevi all’introduzione di una legge che punisce il reato di islamofobia in Italia.

Una legge di cui – è bene saperlo – non c’è assolutamente bisogno e che nessuno ha mai neanche immaginato di introdurre, perché in Italia esiste il reato di istigazione all’odio razziale (la legge Mancino, 205/1993), che basta e avanza.

E perché abbiamo una Costituzione, i cui articoli 2 e 3 (non, per dire, gli articoli 890 e 1247) parlano chiarissimo.

Una legge che, fra l’altro, potrebbe anche essere criticata perché delega al potere giudiziario la gestione di un problema multiforme e fenomenologicamente variegato che, di regola, dovrebbe essere combattutto nella società, cosa che non avviene.

Una legge che, in ultimo, permette ad Allam di farsi vittima, qualora qualcuno lo denunci.

Per lui, però, il fatto è un altro, e cioè che l’Organizzazione della cooperazione islamica, la lobby costituita dai governanti di 57 paesi a maggioranza musulmana presso l’ONU che Allam lega erroneamente e in malafede all’organizzazione dei Fratelli Musulmani, userebbe questa ipotetica legge per riuscire nel suo malefico intento: introdurre nel mondo il reato di blasfemia “che comporta la pena di morte per chiunque oltraggi il Corano e offenda Maometto”.

Cioè, in altre parole, un processo presso l’Ordine dei giornalisti italiano porterebbe all’introduzione della pena di morte per blasfemia nel mondo.

Secondo Allam questo processo è di rilievo “storico” e per lui è “un onore esserne protagonista”, perché in gioco c’è l’Italia di:

S. Benedetto, S. Francesco, Marco Polo, Dante Alighieri, Cristoforo Colombo, Leonardo da Vinci, Niccolò Machiavelli, Michelangelo Buonarroti, Galileo Galilei, Antonio Vivaldi, Alessandro Volta, Giuseppe Verdi.

Tutti combattenti per la libertà e la democrazia e l’identità, vien da dire.

Tutti personaggi processati dall’Ordine dei giornalisti.

Specialmente Marco Polo ma anche, e un bel po’, Cristoforo Colombo.

Nel delirio che segue, Allam spiega di essere stato il primo “a spiegare all’Italia” il rischio che correva, il primo a chiarire che “i musulmani possono essere moderati come persone se rispettano i valori fondanti della nostra comune umanità e le regole laiche della civile convivenza, ma che l’islam non è moderato come religione, è fisiologicamente violento e storicamente conflittuale”.

Aggiunge poi che questa è “una realtà” che conosce molto bene, essendo nato in un paese a maggioranza musulmana, da una famiglia musulmana, essendo stato musulmano per 56 anni, essendosi specializzato nello studio dell’islam. E, senza citare la sua conversione, conclude: “ecco perché è assolutamente infondato anche semplicemente ipotizzare che io possa essere islamofobo”.

Nel suo caso, dice, si può parlare di un “individuo anti-islam” non di un “islamofobo”.

Dice che il processo non è legittimo perché questo è un paese in cui tutti dicono quello che vogliono e anche lui può farlo, istigando all’odio razziale.

Dice che l’inquisizione islamica non lo fermerà e che è pronto ad affrontare il martirio (“inteso laicamente come il sacrificio della propria vita”) nel processo.

Dimostrando di non essere islamofobo, immagino.

E qui passiamo al secondo capitolo che Allam intitola – non sto scherzando – : “perché non possiamo non dirci islamofobi”.

***

La cosa fa ridere, oggettivamente.

Non so come si chiama una cosa del genere in drammaturgia ma un nome per questo ribaltamento ci deve essere.

Comunque: trattasi di roba d’accatto, un collage stile Anders Behring Breivik, autore di un memorabile copiancolla di 1518 pagine dal titolo: “2083 – Una dichiarazione europea d’indipendenza”.

Esordisce con un:

ricordiamo che la condanna dell’islam e di Maometto è parte essenziale della fede

Ma a me, che del cristianesimo conosco perlomeno i fondamentali, questa cosa proprio non risulta.

Scorrendo ad esempio il Credo, cioè la professione di fede (oltre che la preghiera cattolica più in voga da diverse centinaia di anni dopo il Padre nostro), non trovo citati islam e Maometto.

Chissà perché.

Seguono nel capitolo un elenco di citazioni di personaggi che hanno parlato male dell’islam, da San Giovanni Damasceno (650 d.C.) a Oriana Fallaci (2006 d.C), la più famosa cristiana della storia.

E’ da (Sant’)Oriana che riattacca Vittorio Feltri, nel capitolo 3.

Bel collegamento, complimenti.

***

Oriana Fallaci come dice il titolo, è lanciatrice di una “profezia”.

Feltri ricorda

il giorno in cui la Fallaci mostrò all’Occidente il volto feroce dell’islam

Era il 29 settembre 2001, pare.

Era stata zitta per un po’, Oriana, ma decise quel giorno di farsi di nuovo avanti.

Fu per lei “una nuova vita”.

Una donna che fino al 2001 si definiva “atea” e dopo il 2001 “atea-cristiana” (una definizione – questo lo dico io – in cui possiamo ritrovare, già da qualche anno, personalità del calibro di Giuliano Ferrara, “l’ateo devoto”).

Trovò in Ratzinger, così come fu per Allam che da questi fu battezzato, “il leader della riscossa” (anche in questo Oriana e Giuliano si somigliano).

Morì guardando la cupola di Santa Maria in Fiore.

Cosa ciò significhi non lo so. Sarà un’allegoria.

***

La lettura di Feltri ha lasciato molti danni in me.

Mi rivolgo dunque verso il capitolo 4 con fatica, imbattendomi in un’altra delle grandi donne italiane del XX secolo, Ida Magli.

Una studiosa secondo cui l’islam è “la religione della sopraffazione”, una religione in cui alberga un “significato sacrificale dell’uccisione degli infedeli”.

Magli si concentra sul taglio della testa in quanto cosa orribile e inumana e in quanto “cosa religiosa”.

Si concentra dunque su un’invenzione perché nell’islam non v’è significato sacrificale nell’uccisione degli infedeli.

Sempre che non si voglia cercare fra microscopiche sette che forse individueremmo.

Sono sincero: questo dire una scemenza proprio in principio di trattazione rende la lettura abbastanza indigeribile.

Ma allo stesso tempo mi autorizza a una certa superficialità, facendomi convergere sul tema “Magli in quanto antropologa“.

Un’antropologa “selezionista”, si direbbe, visto che per dimostrare le sue ipotesi seleziona dal Corano solo i “versetti della guerra” scartando tutti i “versetti della pace”.

Un’operazione torbida o forse soltanto stupida, portata avanti con un tono pseudo-accademico, che a un certo punto va terminando con questo enigmatico versetto profetico:

I nostri maschi stanno morendo. O quelli musulmani moriranno insieme ai nostri, oppure si uniranno ai combattenti che già premono su di noi e vinceranno.

***

Cado per inerzia sul capitolo 5.

Qui il legame associativo col capitolo precedente si perde, non c’è gancio, il libro perde ritmo. Il moto inerziale è destinato a terminare e la lettura si fa affannosa a prescindere.

Ci si mette poi di mezzo Fausto Biloslavo, che ricopre il lettore di masticatissimi luoghi comuni destrorsi-complottardi: gli americani hanno sempre sbagliato tutto, le “primavere arabe” erano una farsa, Gheddafi era buono, anche Asad è buono.

Contro Daesh ci sono due possibilità, “calare le braghe” stipulando un patto di non belligeranza “previsto dall’islam”, o raderli al suolo.

Notare l’astuzia: nel discorso il Nostro include “qualcosa di islamico”, ovvero un fantomatico “patto di non belligeranza previsto dall’islam”, per accreditare quelli di Daesh come interpreti certificati dell’islam stesso.

Ma il fatto è che nessuno ha intenzione di trattare islamicamente Daesh.

Questo trattare islamicamente Daesh è un qualcosa su cui sono d’accordo soltanto lui, i suoi amici-che-non-perdono-la-testa, e gli stessi militanti di Daesh.

Il resto del genere umano, invece, pensa che non si debba dare alcuna patente, islamica o meno, a Daesh.

Anche i grillini hanno ritrattato.

***

Arriviamo finalmente a Francesco Alberoni, nel sesto capitolo.

Ah, non aspettavo altro.

Qui leggiamo Il Sociologo – corbezzoli – scoprendo che:

il proselitismo islamico fa colpo in Occidente come il marxismo negli anni di piombo

Alberoni ci suggerisce, di conseguenza, che nel periodo storico che intercorre fra l’opera di Marx e gli anni ’70 del XX secolo il marxismo non aveva fatto colpo?

Non proprio: spiegherà più avanti che si trattava di un “revival marxista”.

Il capitolo esordice con un perentorio:

tutti i movimenti islamici nascono come risposta al declino dell’Impero ottomano, con l’occupazione dei suoi territori ad opera degli europei

Forse Alberoni, affermando questo, ci comunica che il wahhabismo, nato in tutt’altra maniera, non è un “movimento islamico”?

Scopriamo più avanti che per lui il wahhabismo nasce in Iraq, non nel Najd, e quindi facciamo due più due: Alberoni sta platealmente improvvisando, di movimenti islamici non ha alcuna seppur vaga conoscenza.

Purtroppo però il testo prosegue con una “storia dei movimenti islamici” la cui analisi – viste le premesse – risparmio a me e a voi.

La teoria, che se devo essere sincero ho fatto molta fatica a estrarre, è che il “jihadismo è una rivoluzione dei giovani musulmani” che ricorda il nazismo ma anche e soprattutto “la corsa dei giovani verso il comunismo dopo la rivoluzione sovietica”.

E’ per questo che attrae tanti giovani in Occidente.

***

Leggere Alberoni è stato brutto.

Sono ancora vivo, ma disossato.

Al capitolo 7 cozzo contro lo scoglio di un titolo che scimmiotta simpaticamente il titolo di un famoso romanzo: “il senso del califfo per barba e coltello”.

Il titolo del famoso romanzo è quanto di più scimmiottato vi sia al mondo e la cosa mi lascia addosso una sensazione di appiccicaticcio, aumentando di molto il fattore “stanchezza percepita”.

Il titolo introduce a meraviglia il pezzo di Stefano Zecchi, che si esercita nell’arte del ricamo sugli elementi della propaganda di Daesh per dirci con quello che ritengo egli pensi essere “stile”, quanto i barbari di Daesh riescano ad essere cattivi, inumani ed efferati.

Letteratura di appendice: il contenuto informativo non supera lo zero.

Non è una lettura facile, inizio a saltar pagine.

***

Di paura in paura incappo in Gian Micalessin, un giornalista che ha in comune con Biloslavo la passione per Gheddafi e Asad.

Lo spauracchio sventolato, stavolta, è il terrorista nascosto fra i migranti.

Altro vecchio tema, si dirà, ma stavolta trattato con materiali nuovi.

La Libia con Moammar era un posto civile dove si viveva bene. Oggi c’è il califfato.

Ci ritroveremo con bombaroli dappertutto.

***

Segue Fiamma Nirenstein, che si occupa, guarda un po’ che novità, di difendere Israele.

Anche qui sono messo alla prova: il tema è vecchio così come il personaggio e la prosa.

Avrò letto almeno una trentina di questi suoi concentrati di odio.

Sì, i materiali sono parzialmente nuovi: Nirenstein, al contrario di Micalessin e Biloslavo, cita i 240.000 morti fatti da Asad in Siria che, al contrario dei morti di Gaza, nessuno nota.

Una citazione strumentale, a lei di quei morti non interessa granché: il suo obiettivo è unicamente scagliarsi contro tutti i nemici di Israele, veri o presunti.

Ma stavolta c’è il problema che i nemici di Israele si sparano l’uno contro l’altro. E che Micalessin e Biloslavo, compagni di viaggio in questo libro contro-islamico, parteggiano per alcuni di questi presunti nemici di Israele.

Risultato: la difesa acritica di Israele di Nirenstein e la difesa acritica di Asad di Micalessin e Biloslavo fanno a pugni fra loro.

Come la ricomponiamo, questa cosa?

Niente paura, quando il nemico in costruzione (o in ri-costruzione) è così vago, e il desiderio di aderire alle teorie esposte è così alto, non si fa caso alle divergenze: si finisce sempre per puntare sulla comunione di interessi che ricompatta l’impasto, nonostante le contraddizioni.

Temo però che il lettore medio del libro che ho in mano non afferrerà il problema.

***

Avanti il prossimo.

Giordano Bruno Guerri che fa una descrizione orante di Ida Magli e recensisce un libro di Ida Magli.

Del 1996.

Interessante, davvero.

Fa il paio con la denuncia di Luca Fazzo sul presunto trattamento di favore riservato dalla magistratura ai terroristi islamici.

Mentre Marcello Veneziani ci parla di identità, che non è razzismo (tipica excusatio non petita).

Meglio: ci fa un’ode all’identità come panacea di tutti i mali.

Meglio ancora: ci fa un pippone illeggibile su questa @0éép di identità che, evidentemente, lo ossessiona.

Ok, basta, non ce la faccio più, è evidente.

Il libro ha vinto su di me, a pagina 97.

Ma avevo iniziato a cedere già prima, lo ammetto.

Non vado avanti.

Filippi che invoca una scuola islamicamente scorretta, Guzzanti che rutta su una sinistra ambigua, Gnocchi che ci insegna come connettere una vignetta anti-Maometto con l’incipiente istaurazione della legge coranica in Europa  e il gran finale con “cronologia della mezzaluna insanguinata 2014” e “glossario” non sono alla mia portata.

Sono al di sopra della mia capacità di non lanciare insulti continuati e definitivi, procurandomi forse querele.

Sono già quattro ore che sguazzo in questa merda velenosa, lo scafandro dell’espertone fa acqua.

Il sistema immunitario della mia rete neuronale lancia segnali rossi.

Non posso chiedere di più a me stesso.

Devo uscire, guardare facce, respirare.

Decontaminarmi.

Lasciando gli haters e la loro paranoia nel pozzo a marcire.

 ***

Sabato 25 ottobre Luca Bauccio, l’avvocato italiano di Diane Foley ha diramato questo comunicato:

In qualità di difensore della Sig.ra Diane Foley, madre di James Foley, il reporter barbaramente ucciso dall’ISIS, ho inviato una diffida alla Società Editrice de il Giornale intimando di sospendere immediatamente la diffusione della pubblicità del libro a firma di Magdi Allam, Non perdiamo la testa.
Ho anche inoltrato nell’interesse della Sig.ra Foley una richiesta al Comitato di Controllo per la pubblicità perché ordini a il Giornale il ritiro di questa pubblicità.
La famiglia sta valutando ogni altra azione da intraprendere contro il Giornale.
L’aver messo in mostra la fotografia di James Foley pochi attimi prima della sua esecuzione per pubblicizzare la vendita di un libro, peraltro giocando macabramente con l’accostamento tra il titolo e l’immagine, oltre ad essere un indebito sfruttamento per fini commerciali e di propaganda dell’ immagine di James Foley è anche una mancanza di rispetto per la memoria e la dignità di uomo defunto e per la tragedia che la sua famiglia e la comunità delle persone che lo amavano stanno vivendo.
La famiglia Foley vuole sottolineare che non nutre odio e non ha propositi di vendetta ma chiede solo rispetto, chiede solo di poter vivere il proprio dolore senza subire altre umiliazioni, altre offese, altri turbamenti. James Foley è stato un bravo e appassionato reporter, amava raccontare, documentare, informare. James Foley amava la vita e credeva nella dignità degli esseri umani, e per questo ha voluto rivelare al mondo il dramma del popolo siriano. Per questo ha vissuto e per questo è morto.
James Foley non è la comparsa pubblicitaria di un libro del Sig. Magdi Allam. Il Giornale ritiri immediatamente la pubblicità del suo libro, per il rispetto e la dignità di un defunto e per la considerazione umana che merita il dolore della sua famiglia. Avv. Luca Bauccio (difensore della Sig.ra Diane Foley).

Il martedì seguente, 28 ottobre, apprendo che la pubblicità è stata ritirata.

Questo rende giustizia a Diane Foley ma non può bastare.

Il libro è stato ristampato.

Temo che diventerà un best seller.

Forse non farà il botto della Fallaci ma ne segue la scia in tutti i sensi.

Sì, sono nani pavidi che riposano sulle spalle di giganti di pezza.

Ma il danno è tangibile e vale la pena chiedersi dove siano e se vi siano nani o giganti in grado di opporvisi.

 

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43 Commenti

  1. bellissimo, Lorenzo, grazie assai, è dura, per le stesse ragioni che tu dici, anche arrivare in fondo al tuo pezzo; non c’è limite all’orrore, ma con questo dobbiamo purtroppo convivere.

  2. solo a leggere i nomi dei collaboratori alla stesura del libro? mi sento male.la mia stima a te per il coraggio dimostrato nel tentativo di nuotare in quel pantano. stefano

  3. ottima revisione del pensiero hater. Ma tu come lo spieghi quel che succede? la delusione post-primavere arabe è innegabile, il caos, ecc perché il mondo islamico non trova mai pace? e in effetti non riesce a darsi da quel che si legge, una stabilità democratica?

    • Dovremmo imparare prima di tutto a distinguere fra mondo islamico, 1.3 miliardi di persone, e mondo arabo, 200 milioni di persone, non tutte musulmane. Dovremmo poi guardare con pazienza alla storia, lontana e recente. Esaminare le diverse situazioni una per una. Le cose sono molto complicate e diversi fattori interni ed esterni a quel mondo entrano in gioco. Mi rendo conto che è tutto molto complicato, nei paesi arabi e altrove nel mondo islamico, ma anche soltanto abbandonare gli schemi e immergersi nella complessità può giovare. Detto ciò quello che vediamo oggi in Siria e Iraq è per molti versi la messa in atto di uno stato di guerra permanente cui partecipa tutto il mondo. In condizioni simili è difficile anche solo pensare a un futuro, e a un futuro stabile. Immaginare un futuro stabile e democratico è difficilissimo.

  4. Mi associo a Stefano.
    Grazie, Lorenzo : questo è vero lavoro di ricerca, è andare nel pantano e spalancare gli occhi, sporcarli se necessario, ripulirli, aiutare ad aprirli. Diffondiamo.

  5. Non ho letto il libro, ma é impossibile non essere antislamici se si é antifascisti.
    “« Per quasi cinquecento anni, queste regole e teorie di un vecchio arabo e le interpretazioni di generazioni di religiosi pigri e buoni a nulla hanno deciso il diritto civile e penale della Turchia. Loro hanno deciso quale forma dovesse avere la Costituzione, i dettagli della vita di ciascun turco, cosa dovesse mangiare, l’ora della sveglia e del riposo, la forma dei suoi vestiti, la routine della moglie che ha partorito i sui figli, cosa ha imparato a scuola, i suoi costumi, i suoi pensieri e anche le sue abitudini più intime. L’Islam, questa teologia di un’arabo immorale, è una cosa morta. Forse poteva andare bene alle tribù del deserto, ma non è adatto a uno stato moderno e progressista. La rivelazione di Dio! Non c’è alcun Dio! Ci sono solo le catene con cui preti e cattivi governanti inchiodano al suolo le persone. Un governante che abbisogna della religione è un debole. E nessun debole dovrebbe mai governare. »
    (Mustafa Kemal Atatürk)”

    • Blogmaster, essere atei militanti può aver senso, l’importante è sapere di esserlo e argomentare la propria posizione con costrutto. Confondere questo approccio con quello di un hater “ateo-cristiano” rende tutto molto illegibile. Le riflessioni di un ateo o presunto tale che parla del suo paese all’inizio del XX secolo sono una cosa, i deliri di quattro haters che si scagliano contro un bersaglio grosso quanto vago per guadagnare visibilità e denaro sono un’altra cosa. Se mi dicessi da che parte stai saprei come meglio interpretare il tuo pensiero. Così com’è equivale a una dichiarazione di superficialità.

  6. Primo il titolo del libro manca di delicatezza.
    Hai fatto bene di scrivere un articolo che non cade nella mediocrità abituale.
    Anche qualcuno che ha letto e ha fatto studi puo cadere in scorciatoria spaventosa.
    Anch’io puo cadere nella facilità. Mi viene rabbia quando sento che una donna è stata impiccata perché ha subito agressione sessuale in Iran.
    Questa rabbia la rispetto – ma sono tentata di riassumere l’Islam con questi crimini.

    Guardiamo queste donne che lottano in Tunisia. Bellissime. Forte. Piene di speranza.
    Dobbiamo aiutare uomini e donne che hanno una visione più laica, democratica dello Stato.

    Triste di vedere un pensiero diffuso in Europa:pensare a controcorrente (ma non è il caso) è solo diffondere vecchia tesi razzista.

    Quando vedo che il Libro di Zemmour è in prima della venta dei libri, mi viene incomprehensione.

    Quando le donne saranno libere nel corpo, non schiave del potere violente dei maschi in nomine della religione, libere di inventare il mondo, allora i paesi del medio oriente avranno fatto un passo immenso verso la loro libertà.

    Ma credo che questa tema non interessa il Giornale.

    Per finire consiglio la lettura di Divorzio all’islamica a viale Marconi di Amara Lakhous.

  7. Per Oriana Fallaci. Voglio solo fare notare che è stata una donna intelligente, originale nella sua creazione. Mi fa pena di vedere questo nome citato su Nazione Indiana solo in questa occasione.
    Aveva altre faccette.

  8. Il pezzo di Lorenzo mi sembra fornire elementi di metodo per la battaglia a venire.
    Il primo elemento è quello di non ignorare la propaganda del nemico e il suo impatto sulla coscienza delle persone. Più questa propaganda diventa “fangosa”, stomachevole per l’odio che suscita, per la distorsione della realtà che veicola, più siamo portati a voltare ad essa la schiena. Più siamo coscienti del tasso di manipolazione insita in quella propaganda, meno ci è – abitualmente – possibile sopportarla. Questo però ci spinge a volgerle le spalle, a ignorarla, per non intossicarci. Ora, Lorenzo ci ricorda quanto non solo sia difficile, ma anche importante confrontarsi con quel fango.

    Il secondo elemento metodologico riguarda l’opportunità di ampliare a arricchire le fonti sulle intricate e disastrate vicende del vicino e del medio oriente non solo nell’ottica di un’informazione attuale più obiettiva e articolata, un’informazione relativa alle guerre e alle instabilità politiche dell’oggi, ma anche in un’ottica di riconsiderazione storica di quei paesi e popoli.

    Se vogliamo contrastare la propaganda di destra (e non solo di destra), costruita intorno all’identificante “islam” che riesce a condensare in sé tutte le paranoiche proiezioni occidentali di un altrove diabolico, barbarico e divorante, l’obiettivo è un lavoro di fondo sulle pre-condizioni culturali che permettono al Giornale di pubblicare e rendere popolare un libro simile. Ora queste pre-condizioni culturali non sono nate con la Fallaci, ma hanno radici ben più lontane, almeno nella storia europea. Georges Corm cita come uno dei discorsi fondatori della contrapposizione esasperata tra “noi europei” e “loro islamici” un discorso di Ernst Renan del 1862, pronunciato al Collège de France (ripreso e pubblicato con il titolo Che cos’è una nazione?).

    Il lavoro quindi è grosso, e non si può certo pensare di delegarlo unicamente a qualche “esperto di islam” o di “mondo arabo”. Come dice Jamila Mascat nel suo pezzo su “la sinistra hegeliana”, tutti noi non-esperti abbiamo interesse a immischiarci in questa storia, anche perché poi è in parte anche la nostra storia. La storia dell’islam che CREDIAMO VEDERE OGGI è anche la storia dell’islam che l’Europa ha contribuito a costruire, anche se in termini più “mitici” che reali.

      • Le “pre-condizioni culturali” scavalcano il dibattito incentrato sull’Islam. Se la gente riflettesse un po’ di più, se fosse meno ignorante e ignara, prenderebbe a calci nel fondoschiena quei sette, otto cialtroni che hanno scritto quell’opuscolo. Mi stupisce vedere Ida Magli compromettersi cosi’, ma pazienza (gli altri non mi stupiscono per niente invece).
        Non so quale sia la strategia corretta per “combattere” la cialtroneria propagandista che oggi prende di mira “l’invasione islamica”, e che domani attaccherà altri “untori”. Pero’… Chi ha letto per intero le centinaia di pagine ahimé farneticanti scritte dalla Fallaci? (almeno erano scritte bene). Chi legge per intero quel condensato di sciocchezze? (oltre a noi qui, s’intende, o almeno quelli che hanno uno stomaco robusto). Il lettorato sensibile alla propaganda qualunquista e cialtrona non arriva fino alla fine: se lo facesse, qualche domanda dovrebbe farsela. Quel lettorato legge il primo capitolo, il secondo, ma poi non prosegue, perché senno’ l’Italia (e la Francia) affiancherebbe l’Islanda per numero di lettori. Quella spazzatura alimenta “idee” già presenti, senza approfondire mai. Lo sappiamo.
        Il qualunquismo propagandista abbaia molto per riuscire a mordere, parla per slogan, va a capo alla fine di ogni frase (mi perdoni, Lorenzo, ma lo fa anche lei, mi è venuto il mal di mare a leggerla), semplifica la sintassi, ed è consapevole del fatto che per vendere, contano i primi due capitoli. Magra consolazione: tanti hanno comprato, pochi hanno letto tutto, fra una settimana tutti dimenticheranno perché l’obsolescenza di quei testi è altissima.
        Personalmente ho scelto di ignorarne l’esistenza e di non sporcarmi le mani con quel fango: per me non esistono e non sprechero’ il neurone in più che possiedo (rispetto ai due di Sarkozy) per combatterli. Non li leggo perché non mi interessano, e a chi mi chiede cosa ne penso, rispondo che ne ignoro l’esistenza non perché li disprezzi, ma perché non mi interessano. Li disprezzo, ovviamente (che non si sappia in giro), ma davvero non mi interessano perché non dicono niente che non sia già stato detto. Non do’ corda, se lo facessi i propagandisti sarebbero contenti; ignorandoli, azzero il loro volume. Loro fanno lo stesso con “me”: la settimana scorsa circolavano dei dati sull’emigrazione in Europa, e non se li è filati nessuno.
        Naturalmente non sto dicendo che quest’articolo non doveva essere pubblicato su Nazione Indiana: sto solo dicendo che predicare tra consenzienti serve a poco se si vuole fare opposizione. La resistenza attiva è questione di strategia, di metodo. Servono “intelligenze” più che competenze, ha ragione Lorenzo. Siamo poco organizzati.
        Consoliamoci pensando che molti di quelli che hanno comprato quella cosa in edicola sicuramente comprarono il libello di Stéphane Hessel. Magra consolazione?

        • Questo articolo racconta la mia esperienza di lettura di un libro. Capisco il disinteresse, capisco la repulsa verso una scrittura. Non ritengo però che serva a poco ricordare a un pubblico ricettivo quali operazioni culturali passano mentre siamo o saremmo impegnati in tutt’altro. Ognuno, da queste parti, segue i propri sentieri intellettuali, culturali, umani, emozionali. E ne scrive, li rende noti. La trovo una cosa utile.

  9. Andrea,

    Battaglia a venire per ritrovare l’esprit des Lumières, l’ intelligenza e il senso critico. Non questo ambiente di falsa impertinenza: liberazione della parola per avvelenare le mente- contre le politiquement correct- in realtà una manera di sostenere idea razzista.

  10. Non vedo argomentazioni, solo generica satira e snobismo non motivato. E non capisco perché questa difesa di una religione che rimane retrograda anche nelle sue manifestazioni più blande. Incredibile, sei riuscito a farmi solidarizzare con Allam.

    • L’effetto satirico nasce dalla disarmante facilità con cui si smontano i contenuti di questo libro. Di fronte a tali e tante evidenti forzature o errori o falsi non si può far altro che segnalare. Quanto allo snobismo: io il libro l’ho letto quasi tutto. Con fatica, lo ammmetto. Non ho fatto fatica a causa di un presunto snobismo bensì per il fatto di essermi trovato davanti a tanta ignoranza e/o malafede. Se non sei tu lo snob ti invito a fare altrettanto: saprai allora dirmi cosa pensi davvero. Detto ciò io non difendo l’islam (anche perché non mi verrebbbe mai in mente di “difendere” un concetto-contenitore soggetto a percezioni e valutazioni tanto generiche quanto approssimative) ma l’intelligenza: in parole povere non mi piace farmi prendere in giro e non sopporto operazioni di sciacallaggio come questa. Se poi tutto questo ti fa solidarizzare con Magdi Allam fai pure, il mondo è bello perché è pieno di gente che fraintende.

  11. Nell’apprezzare il sacrificio di questa discesa nelle fogne, mi permetto di segnalare un libro di valore e di segno diametralmente opposto, che è appena uscito da Bompiani: “Razza e destino” di Maurice Olender. Mi è capitato di esserne il traduttore, e ho molto apprezzato la chiarezza con cui ricostruisce una serie di momenti della nascita e sviluppo dell’idea di “razza” in “Occidente”. Scusate l’intrusione – ma non è un fuori tema.

  12. Quegli autori sperano di rimanere un giorno nella bibliografia delle fonti, invece resteranno scolpiti nei capitoli di una sinagoga per iconoclasti prossima ventura. Il problema sono i danni collaterali procurati nel frattempo. Ci sono gia` abbastanza imbecilli in giro senza che questi si prendano la briga di diffondere il verbo dell`odio preventivo dall`alto di una competenza tutta da dimostrare lontano dai salotti. Ma per non cadere nel loro stesso gioco bisogna cercare di comprendere le ragioni di un ragionamento marcio fin dalla radice

  13. magari sono fuori tema, fate voi, ma leggendo questo articolo non mi riesce proprio di non pensare ai tanti “scrittori” e “intellettuali”, sé-dicenti “di sinistra”, che nelle latrine a forma di giornali e di case editrici di questi tristissimi figuri hanno scritto e scrivono, sguazzano e proliferano

    e allora, quando si parla di “elementi di metodo per la battaglia a venire”, forse sarebbe il caso, preliminarmente, di iniziare a smerdare, senza il maleodorante paravento di alibi e compromessi amicali, connivenze e collaborazionismi subdolamente spacciati per esercizio della libertà di pensiero: vendersi per la pagnotta a questi abominevoli spacciatori di disinformazione-fango-odio, è sempre-e-solo farsi complici e servi

    lc

  14. Riprendo un inciso di Lorenzo:
    “non difendo l’islam (anche perché non mi verrebbbe mai in mente di “difendere” un concetto-contenitore soggetto a percezioni e valutazioni tanto generiche quanto approssimative)”
    qualsiasi persona che oggi, su presupposti democratici, in una visuale progressista e laica, volesse scendere sul terreno dell’ttualità mediatica in Europa – non solo in Italia ma anche in Francia – per discutere intorno a… “l’islam” o “l’islamismo”… dovrebbe fare un esercizio di modestia (anche se si sente laico e progressista e informato), ossia tenere conto che con quel “concetto-contenitore” non si può dire nulla di sensato, non si può fare nessuna battaglia democratica, e che la prima cosa che una persona informata dovrebbe fare è accettare modestamente di dover costruirsi un percorso alternativo di lettura, fuori da quel contenitore-concettuale, per non rimanere intrappolato negli stereotipi per nulla innocenti dell’informazione.
    Se non partiamo dal presupposto che il terreno verbale e concettuale è avvelenato, siamo fottuti alla prima frase che ci esce. Io mi considero un ateo militante, e sono disposto a fare un discorso sul peso delle religioni, e in particolar modo delle religioni che pretendono di fornire legge non solo morali ma di stato. Ma questo discorso esige oggi di essere contestualizzato con la massima cura, per evitare le peggiori strumentalizzazioni.

  15. Pur non essendo un’atea militante concordo perfettamente con Andrea: la questione è la decostruzione del contenitore, che poi è un continuum concettuale Islam-islamismo-estremismo-fanatismo–barbarie ecc. ecc., che non significa né difesa (del contenitore) né negazione di tutto quello che c’è dentro (ovvio che dentro c’è anche fanatismo, oscurantismo, violazioni e brutalità e chi più ne ha più ne metta, e altrettanto ovvio che non si tratta di assumere un’ottica culturalista/relativista per legittimarne la giustezza). La decostruzione riguarda, secondo me, anche un altro contenitore, altrettanto controverso quanto agli ingredienti che lo compongono, e cioè il secolarismo (secularism) e su questo rimando alle analisi di Talal Asad e a questo dibattito per esempio http://politics-of-religious-freedom.berkeley.edu/files/2011/05/Is-Critique-Secular-Blasphemy-Injury-and-Free-Speech.pdf. Quando si dice: “Why is it that aggression in the name of God shocks secular liberal sensibilities, whereas the act of killing in the name of the secular nation, or of democracy, does not?” non si sta dicendo: visto che tutti sgozzano, smettiamola di condannare le teste mozzate, tutti assolti, ma si invita a riflettere sulle pratiche ormai consolidate di costruzione e applicazione di specifici modelli di barbarie islamica e sulla loro strumentalizzazione.

    • sacrosanta – :) – precisazione jamila; come post-scriptum a questo articolo (https://www.nazioneindiana.com/2014/09/15/idiozia-darte-dintegralismo/) scrivevo:

      “Non esiste nessun privilegio integralista dell’orrore. Quando, ad esempio, un sofisticatissimo drone statunitense bombarda dei civili, come è accaduto in questi anni in Afghanistan, Yemen, Iraq, Libia, Somalia, Pakistan e Gaza, chi va a filmare i pezzi di corpi? Chi ha potuto vedere le oltre 2000 foto classificate di torture, che sono state prese nelle varie postazioni americane in Iraq ed Afghanistan, dopo il caso di Abu Ghraib? L’orrore non è privilegio né di chi vuole il Califfato né di chi decide l’uso dei droni, con il sostegno di un Congresso eletto democraticamente. Se differenza esiste, è da cercare però nelle radici di questo orrore. Nell’integralismo islamico, come in quello cattolico, vi è una vicenda specifica di idiozia da mettere a fuoco. Nell’orrore dei massacri e delle torture realizzate dagli Stati Uniti, ben più che la demenza gioca un ruolo determinante il cinismo, un cinismo freddo e dissimulatore, che può comodamente e profondamente abitare i centri del potere statale di una nazione moderna e democratica.”

      L’unica aggiunta che mi verrebbe da fare sulla decostruzione del “secolarismo” (il nostro “secolarizzazione”), se non altro su questo versante, da Marx alla scuola di Francoforte, un certo lavoro è stato fatto, e continua a farsi…

      • Strasottoscrivo: L’orrore non è privilegio né di chi vuole il Califfato né di chi decide l’uso dei droni, con il sostegno di un Congresso eletto democraticamente.

        Su secolarismo e secolarizzazione credo che si possa fare una minima distinzione del tipo: secolarizzazione= quel processo storico che vede progressivamente la separazione istituzionale e culturale del potere religioso da quello statuale; mentre quando Asad parla di secularism si riferisce non tanto a questo processo storico quanto a un costrutto discorsivo, o anche un paradigma della critica, che in sostanza direbbe verità=razionalità= universalità=trasparenza= giustizia=demolizione del religioso perché barbaro, sempre. E così facendo il secolarismo si attribuisce un sacco di parametri ineccepibili per poter giudicare di tutto ciò che è altro da sé (ovvero l’elemento religioso che di solito è la religione dell’Altro, non la propria raramente questionata con gli stessi parametri), e può allora considerare Abu Ghraib un brutto effetto collaterale di un’impresa democratica e legittima e una testa mozzata una barbarie. Insomma secolarismo come discorso che invoca la critica della religione per autoattribuirsi il privilegio di essere l’unica fonte di legittimazione del bene e del male, e l’unica posizione legittima per detenere il monopolio della violenza.

        E Marx sì, la questione ebraica nella polemica con Bauer risuona oggi come questione islamica

        • Grazie Jamila per la precisazione.
          In effetti, in Francia, il Fronte Nazionale si sta presentando come il vero paladino della laicità repubblicana, fintantoché ovviamente la questione riguarda la religione islamica e non la legge sul “matrimonio per tutti”.

  16. Si, ma il sorte fatto alle donne, non indigna? Non temo per la mia propia libertà, ma sono spaventata del destino delle in paesi musulmani.
    Quando una donna è stata violentata, è già ferita a vita. In questi paesi che non fanno separazione con Stato e religione la donna è condannata.
    Questa non Indigna?

    Sono atea, perché la religione mette in pericolo la libertà e a volte la vita delle donne.
    Mi chiedo è possibile immaginare Femminismo e Islam?
    E’ possibile se le donne possono avere il potere di cambiare le cose, di illuminare il mondo con la loro intelligenza.

    • Ci sono tanti modi e per fortuna non tutti letali in cui l’islam e le donne convivono (bene o male, a seconda). Ci sono tante donne musulmane che si battono perché l’islam venga “riformato” e non usato per ammazzare le donne (né gli uomini), ci sono perfino femministe islamiche che passano per il Corano per rivendicare la parità, ci sono musulmane poco praticanti e piuttosto laiche, ci sono donne di origine arabo-musulmana che combattono l’islam perché è una cultura che le opprime, insomma, è banale quello che dico, ma c’è di tutto, davvero. Sul femminismo islamico ci sono libri, se ti interessano che raccontano di che si tratta: http://www.lafabrique.fr/catalogue.php?idArt=707. non è il femminismo in cui mi riconosco, ma esiste. tempo fa avevo scritto un articolo che fu coperto di insulti, come spesso accade quando parlo di queste cose in contesti personali/politici/accademici (e infatti ora smetto anche qui), in cui mi chiedevo cosa implicasse porsi la domanda “L’islam fa male alle donne?” . Oggi non riscriverei quello che avevo scritto allora per filo e per segno, ma continuo a pensare che le costanti pressioni sociali (discriminazione/derisione/caricatura ecc.) che le donne musulmane subiscono da parte di chi genericamente parlando “ha qualcosa contro l’Islam”, magari in buona fede e anche con qualche buona ragione, spesso non le aiuta a lottare contro il sessismo dei propri correligionari, ma induce piuttosto ad assumere posizioni difensive, riducendo così i margini della discussione interna (alla “comunità”). Se, dico per dire, mi faccio insultare perché vado in giro con il velo da chi pensa che sono complice dei peggiori crimini in Siria, o che sono una disgraziata sottomessa, ecco forse tenderò a ripiegarmi sui “miei simili” e difendermi il “mio velo” con tutte le forze, e mi sentirei in difficoltà ad ammettere che a “casa” magari c’è qualcosa che non va e contro cui lottare. E questa spirale la trovo poco sana.

      • C’è questo fenomeno allucinante per cui una parte considerevole dell’aggressività islamofobica si riversa contro le donne che al contempo dovrebbero essere le povere vittime da compatire e/o da liberare. Non l’estremista-terrorista che, per conformità al pensiero paranoico, resta nascosto nella nostra società, pronto a tagliar gole.
        E nemmeno più di tanto i ragazzi che si dedicano a faticare nei cantieri, fare pizze, vendere kebab, spacciare droga.
        No, il primo bersaglio di diffidenze e pregiudizi sono le loro mogli, figlie e fidanzate perché portano il velo. Perché sono visibili. Bella guerra di maschi che si combatte sul corpo delle donne, corpo ridotto a testa. Senza considerare che quella, anche se coperta da un fazzoletto, funziona comunque per conto proprio.

        • Uno dei grossi rischi è quello di far scontare due volte alle donne musulmane il paternalismo e il maschilismo delle società in cui vivono. La chiave per mettersi in relazione con le donne musulmane, più o meno “libere” o “liberate” ma comunque dialoganti invece c’è, e non è Femen. Grazie Jamila per la tua sintesi.

  17. Non conosco bene l’inglese. Chiedo: Talal Asad ha scritto che la rivoluzione francese ha inaugurato il nazionalismo, il razzismo, il genocidio?

    • Ma il problema non è l’Islam, o qualsiasi altra religione. Il problema è il regime politico. In una democrazia liberale e laica una persona può essere femminista e musulmana. Poi rimangono ugualmente gli stronzi, ma questo è un altro discorso.

  18. Helena ha toccato una verità terribile. Il velo è diventato il simbolo di rigetto.
    La rabbia non la provo per queste donne velate. In molti paesi le donne portano fazzoleti.
    La rabbia la provo contro chi fa della donna una schiava.
    Provo orrore a pensare che una vittima diventa colpevole della violenza che ha subito.
    Mi fa urlare.
    Come mi fa urlare la sofferenza delle donne schiave della prostituzione nel mondo occidentale.

  19. H : hai ragione. Solo uno stato laico e democratico puo garantire la libertà delle donne credenti o no.

  20. Credo che volere uniformare tutto ai canoni occidentali non sia una cosa che ha molto a che fare con la liberta`. A meno che non ci si limiti a estirpare quelle pratiche che hanno a che fare direttamente con la violenza. Non mi sento minacciato da un velo, anche se preferisco le donne col capo scoperto. Le due cose non sono in contraddizione

    • Più che altro, secondo me, la questione è partire dall’esistente e non dai “desiderata”. Se partiamo dalla pregiudiziale “se hai il velo non possiamo parlare” non arriviamo da nessuna parte. E’ come se mi rifiutassi di parlare con qualcuno che ha fatto la plastica agli zigomi per il fatto che desidero un mondo senza plastiche agli zigomi, protestando poi perché il dialogo con le persone plastificate risulta impossibile.

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