Giuliano Mesa: Nunc stans
di Biagio Cepollaro
Pubblico qui la parte iniziale di Nunc stans. poemetto di Giuliano Mesa che lessi nell’ ambito della rassegna Tu se sai dire dillo 2014. Una prima documentazione di quella rassegna, a proposito di Paola Febbraro, si può leggere qui. L’intero poemetto, composto tra il 2004 e il 2007, è tratto da Nun (2002-2008) che costituisce l’ultimo testo edito, compreso in Giuliano Mesa, Poesie 1973- 2008, pubblicato nel 2010 da La Camera Verde di Roma. Altrove mi sono occupato di Giuliano Mesa, dedicandogli alcune conversazioni e una pagina del blog Poesia da fare
Nunc stans
5,5
1
[parola voce,
sta tacendo-
non ci sarà più tempo,
prima, poi]
2
[prendi parola preme, ancora,
parola ancora è andata, via,
come se fosse stata
[allora, lì]
[e mentre, ancora mentre
che accade l’accadere e se ne va,
battendo ancora i piedi,
tà, tatà-
[questa è la nenia, notte,
sotto la neve nera]
3
di così tanto,
stato, detto
[poco,
ciò che rimane,
poco-
ma così tanto
per una vita sola-
tanto che si riduce,
si raduna-
[eraso,
diradato,
in poche tracce-
nel nonnulla
di ogni sola vita]
cosa faremo insieme,
che cosa rimarrà?]
4
cosa ci sia laggiù, oltre tutto,
finito, mai finito-
prende il suo tempo dentro, e poi scompare,
e resta prima, prima per sempre andato,
stato
[e sia così
5
[è tutto nella mente che poi muore]
1
dì per che cosa,
turbine, vortice,
per chi,
se non affranto
[e il frangersi, le onde,
su scogliere,
vento su dirupi,
e il farsi forma]
[infranta,
tra vuoto e vuoto,
sparsa, mutilata]
[“tu forse tornerai”]
2
sono soltanto poche righe,
a fare stuolo
è solo l’ansia del già stato,
che corrode,
mettendo insieme il prima, il dopo,
il separato
3
clama, proteso-
l’ora che s’abbuia,
notte del tempo,
e cava, concava-
voce spalanca luce,
lo spolverìo che luccica,
d’acqua, che cade,
che asseta, intridendo,
che prosciuga,
lasciando, cosa,
creta per il nonnulla-
[-andando via, giù,
nell’acqua buia-
“dove ti sto cercando”]
4
parola crosta, creta,
parola forma che s’incrina,
s’ingrava, coltre,
ricava crini e lane,
feltri, da grumi e grani, gravidi,
ossa cariate, cervici sgravate,
lame a segare, separare
[farsi svanire via, da sé-
prendersi cura, ancora,
della notte]
5
e poi non più, quel sempre-
[passerà tempo e sarà stato]
(…)
La mia lettura integrale di questo testo di Giuliano Mesa si può ascoltare in questa registrazione. Introdussi il tema con alcune considerazioni e con alcuni ricordi che qui provo a condividere.
Si potrebbe intendere globalmente il testo come una sorta di meditazione intorno al qui e ora, al presente, alla consistenza o non consistenza del presente e della vita individuale nel tempo e nello spazio. Nun , viene detto in nota, nella cosmologia egizia è il caos delle acque primordiali. Durante la scrittura di quest’opera ci tenevamo costantemente in contatto. La nostra amicizia era iniziata nel 1984 collaborando entrambi ad una piccola rivista romana, Symbola. Negli anni di Nun gli parlavo attraverso lettere e telefonate della meditazione sull’impermanenza di ogni cosa e ci si trovava in sintonia: lui attraverso i tragici greci soprattutto, io attraverso testi orientali. Da queste meditazioni scaturiva per lui e per me un senso di maggiore intensità vitale: la necessità di essere presenti e morbidi. Non pensare davvero alla nostra finitezza ci rende duri di cuore e insensibili verso gli altri, ci si diceva. La mente morbida. Ma in realtà non dicevamo la stessa cosa perché lui stava preparando la sua sparizione, qui resa esplicita e realizzata di lì a poco, nel 2011, e in un certo senso, cominciava a farlo con questa indagine sull’esser presente , sul non esserlo più e soprattutto su ciò che sarebbe restato, dopo la sparizione. Il poco che resta, dirà nella poesia ma anche nelle lettere che mi spediva, è anche tanto per una sola vita: questa l’unica sua consolazione, la possibilità di esser grato a quanti con la loro stima lo avevano sostenuto. Anche per questo la rassegna prende il titolo da un verso del suo Tiresia, di cui si può vedere una parte in video.
Lo stile di Nunc stans porta quasi al parossismo ciò che Giuliano ha imparato nel corso degli anni intorno al fare poetico: comincia con il presentare un tessuto omogeneo sul piano fono-simbolico, costituito da pochissimi elementi e timbri e poi comincia a far muovere dall’interno questo tessuto mescolandone sapientemente le parti per piccoli spostamenti, per leggere inversioni, ripetizioni, sostituzioni. Il tessuto resiste perché tenuto insieme da connessioni paranomasiche, da assonanze, da allitterazioni. E’ però col tempo un tessuto sempre più rarefatto perché sempre più eroso ed abraso. Ed è questa l’esperienza che racconta di più: di qualcosa che si consuma per erosione lasciando intatta e ancora visibile la trama del tessuto. Non c’è cancellazione nella sua esperienza, non c’è nichilismo: c’è invece l’attenuarsi della presenza, così come il ridursi di spessore della sintassi e del lessico che restano come segni di una città antica dissepolta. Il suono anche sulla pagina muta è molto presente organizzando palesemente il senso: le parentesi quadre che qui vengono inserite a me risultano dei tagli che in verticale aggiungono un’altra voce al testo, un inciso che proviene da una distanza maggiore. La parola ‘tagli’ poi nel componimento è anche la parola che chiude.
[questa è la nenia, notte,
sotto la neve nera]
così è
grazie per questo dono emozionante …
Confesso che non ho mai davvero “sentito” nun: all’epoca, per tanti aspetti mi era sembrato una ripetizione del già fatto, con alla radice qualcosa di irrisolto (o forse volutamente non risolvibile). O forse aspettavo o speravo solo di vederlo “finito”, ma non nel senso in cui poi è accaduto. Biagio mi fai venire voglia di rileggerlo. Grazie, un abbraccio.
grazie Biagio per questa condivisione
effeffe
prezioso disvelamento del dove mai.
grazie!
fc
La parola poetica di Giuliano Mesa:
un fogliame persistante in inverno.
Nell’assenza.
Una parola del respiro in superficie del mare.
Grazie a Nazione Indiana.
Creta brucia
è solo l’ansia del già stato,
che corrode,
mettendo insieme il prima, il dopo,
il separato
e “nun” in tedesco significa “ora”… e di questo lui era consapevole (tra i suoi ultimi interlocutori c’era sempre Celan). e Nun, diceva, è il mio libro postumo… e questo inquietava. allora lui sorrideva, per non far sentire l’imbarazzo del peso
Grazie, Biagio : è prendersi cura, ancora, della notte
un’esperienza del linguaggio poetico sempre inestricabilmente connessa e fedele alla vita storica e contingente. una poesia in cui il tenore etico non risulta da un certo contenuto semantico, ma proprio dalla tensione dialettica e radicalmente temporale di un avverbio, di una preposizione, di un suono. una poesia del “dopo” che allo stesso tempo è quella di un'”ancora”.
una scrittura, un pensiero poetico, quello di Giuliano, a cui molti devono molto e che deve continuare (se non iniziare) a essere letto e studiato assai di più.
grazie.
Ringrazio quanti sono intervenuti. La figura e la poesia di Giuliano hanno lasciato dietro di sé non solo ammirazione e gratitudine ma anche una sorta di intensità. Questo desiderio di leggere e riproporre è appunto la tradizione che prima di essere istituzione e amministrazione, o al di là di queste dimensioni, si incarna sempre in persone che si assumono la responsabilità della parola di un altro.
Grazie a Viola,a Carla, ad Andrea Raos (che mi piacerebbe rivedere da queste parti…),al Furlen, a Francesca Canobbio, a Véronique Vergé, a Diamonds , a Daniele Ventre, a Davide Racca che gli è stato vicino nell’ultimo tragico periodo, a Mariasole Ariot , a Simona Menicocci che ha studiato la sua poesia con passione e con lucidità, a Francesco Tomada.
Biagio, piacerebbe anche a me. Speriamo, un giorno non troppo lontano.
Ho conosciuto Giuliano Mesa trent’anni fa,mi venne a trovare a Reggio e ci confrontammo a lungo sull’essenza della parola.Mi lasciò un manoscritto”Cosa serve per amare” a cui sto rispondendo.
Grazie infinite per i ricordi.
Lia Rossi