Discordo
di Daniele Ventre
Ascoltali, nella notte,
crepitare i fuochi, fra le strade interrotte
della guerriglia inurbana.
Una tenebra strana
avvolge i fiochi fumi dolciastri
dei pattumi bruciati: un latte d’astri
malati sfuma tra i lumi dell’area metropolitana.
In quest’acre Valpurga,
anche, tra lieto afrore di tregenda,
per i corni dei bivi e dei dilemmi,
tu scorgerai gli errati paladini,
adorni di radio-piuma,
errare, in panoplie a motore,
sterzanti strategie di catafratte.
Vedrai, sotto gli stemmi a un barlume di vampe,
in numeri da circo, i leoni di pietra
rianimarsi fra i vivi, per brume di leggenda,
con rampe d’ircocervi oscillanti,
e la forza dei telamoni
atteggiarsi marmorea dai palazzi,
con nervi da culturista
sotto l’erosa scorza di roccia.
Da marmi di baldacchini, da ricami d’arazzi,
cariatidi ancheggianti,
lievi coreografie di moti impuri,
incanteranno ai tuoi occhi gli innumeri vuoti viandanti
–corrose cancaneuses in pose da vecchie stampe,
vedile inarcare, petrose, le loro enjambées da rivista.
Ma fra specchi incerti d’un’acquorea sostanza,
nell’iridato gorgoglío,
dove guizzano origami
d’idrocarburi,
diguazzano le entreneuses con grazia di dulcinee,
procaci come talee,
voraci come drosere,
stagliate all’arso sfrigolio
dei copertoni semicombusti.
Ma fra i ricoveri erti
di cementizie garitte,
drizzano inquieti le orecchie,
gavazzano pugnali ferini
per vittime sacrificali,
che strazia lama d’angizie,
negli ambarvali degli assassini.
E già dai tuoni delle lamiere
di bidoni, dalle astuzie
dei mezzibusti, gaio ludibrio,
sentili come impazzano,
felici di molte arguzie,
i saltimbanchi, in giochi di squilibrio!
Ben questa morta fantasia ti purga
nei passi stanchi:
questo baluginio di strobosfere
t’è propizio ai cammini,
ora che per suo vizio il tempo arretra,
fra grida di mostri primevi,
e goccia scarso di salvadanaio,
prodigo di rintocchi.
Forse a più avventurati mediievi
verranno i vieti giorni nei ritorni delle storie,
per corsi meno gretti,
per teorie di teste ben spiccate dai torsi,
ben infitte sui rostri
per le feste dei balocchi.
Tale sorte t’arrida di vedere
–te l’auguro, buon nemico, dall’età delle scorie–
ora che corta volge la stagione
e per sue vie contorte destini usati ripiglia
fra il clangore della guerriglia
l’illusione dei mortaretti.
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Ci dovevamo passare per quest’età delle scorie’….A’ quoi bon? Chissà…Ma anche questa poesia (desolata) è bella….Due mila anni fa la Magna Grecia (Napoli), settanta anni fa Napoli ancora bella e poi…Perchè? E che cosa si cela dietro tutto ciò, a Scampia, come a Gaza, come dovunque…? Un amico da poco scomparso (Tommaso Boni Menato) parlava di un ‘orizzonte degli eventi’. Estote parati….
Ascoltali, nella notte,
crepitare i fuochi, fra le strade interrotte
della guerriglia inurbana.
Una tenebra strana
avvolge i fiochi fumi dolciastri
dei pattumi bruciati: un latte d’astri
malati sfuma tra i lumi dell’area metropolitana.
Questa per me é una poesia compiuta, finita, e molto bella
poesia echeggiante solennità e stile,
tragicamente irride mentre usa
magistralmente tempeste di disordine