Anelegie brevi

di Daniele Ventre

1.

Quello che in fondo non va è che siamo ancora gli stessi
sempre gli stessi di sempre e ci incontriamo qui al bar
fra i coloniali (fra i dolci) fra i ministeriali fra i doni
oltre i condoni del tempo oltre il cacao dei bon bon
e il birignao dei pon pon e il tono appaciato e smagato
del consuntivo mancato ora che l’ultima età
e la creatività di un regime pressa -e ti stressa
senza nessuna altra via che l’obbedire a viltà
e ricordare le tue caramelle e i giochi del mostro
buono coi servi di casa -e si moltiplicano
solo i riassunti e le stesse ovvietà -già il male è banale
ben più banale del mare e del villaggio e del tour
sempre de force -e per forza che poi non è bello ascoltare
quel che la teleologia ligia racconta di te
bigia racconta di sé -la ragione un po’ monocorde
le ripetibilità che si rimasticano
e si risputano poi sul futuro senza ricordo
che gli orizzonti richiusi ora dimenticano.

2.

Ke ti dovrei risparmiare del tempo affrettato per tempo
ke ti dovrei digitare -ekko la viralità
ekko la virilità la vitalità dei kommenti
ekko la skuola okkupata et continuons le combat
-mais le debut c’est fini- rifinite le debuttanti
e ributtante anke il ballo e tikkettante il tip tap
Pettina intanto il tuo pet fra il pessimo petting dei putti
disokkupate le squillo ora preokkupano
anke la fiskalità dello Stato -attivo il bilancio
dei pagamenti del fick emolumenti del Dick
Tracy del tempo ke fu -quanto tempo ke ti risparmio
a kompitarti kol kappa anke la vita del ka.

3.

Πάντοθί μοι Τελχῖνες ἐπιτρύζουσιν ἀοιδῆς,
ventitré secoli dopo anche ci gongolano,
anche se cambia la faccia e la vittima del fattaccio,
anche se poi non è già corte d’un delta di re
ma poco più d’una stanza affollata e fitta di fumo
piena di giochi per pochi: otium, ma non degnità
(certo non quella di Vico), però degnazione parecchia-
resta comunque un bel suq d’abbreviatori del kitsch
verseggiatori del plagio, filologi di retroguardia:
io sono pure immodesto anche perché non ne ho più
altri parenti a Cirene -e non ne ho mai avuti in effetti
ma paranoie un bel po’ -giustificate però.
Restano poi le stanchezze e le disforie dell’escluso,
l’eco dell’angolo cieco e ci si logorano
nervi e ragione nel buio, sul margine senza memoria,
gli asini ragliano intanto e la zanzara è con te
fino alla fine dei tempi e fa vecchie tutte le cose,
e la malaria di quest’epoca senza perché
ronza di quel mormorio sommesso e rimane una macchia
sopra l’intonaco grigio -e la cicala non sa
altro che cedere al job e all’act e al momento precario
e sfrigolare sul lume e svaporare e that’s all.

4.

Ecco un’età degli dei coi suoi uomini mascherati
col suo bisogno d’eroi di semidei di papà
Edipo sempre irrisolto -ha scocciato l’anima dirlo-
certo la crittografia con il suo enigma ci sta
tutta e comunque a pennello -elettronico o Raffaello
Sanzio -a sanzione d’un tuo omega -l’ombra d’un tu
indecifrabile spettro antibiotico -semantema
o esantema che sia -che si contaminano
contano mine e minacce e minimi poco morali
-io sono giù di morale -etica poi non ce n’ho
da epimeteici profeti e da prometeici epifeti
epici feti del niente esili fleti nel blu
scuro degli abiti scuri e delle auto oscure ai complotti
-fra cover up men in black scie d’alchimisti e milieu
socioecolalico -Troppo difficile -non ci capisci
e non ci devi capire e non ci puoi -è il bon ton
d’oggi non farti capire e perderti lungo la strada
per segnaletica assente e delirante tom tom
che lo zio Tom non ha più la capanna -hai perso il romanzo
di formazione -E però d’informazione ce n’è
tanta perché tu non sappia sii vergine di conoscenza
bello perché addormentato -e dormizioni ce n’è
tante -da icone del nulla per nonlosofie bizantine-
bizantinismi ce n’è tanti -perfino ora qui
sotto i tuoi occhi perché ti dirò non devi capire
che ti succede alle spalle e ti nascondo da te.

5.

Eccoti un mondo di falsi patrioti e di patrie fallite
fallimentari le matrie ebbre di maternità
senza lavoro e con l’act del job -la pazienza di Giobbe
e la balena di Giona -atti di sterilità
arrotolate le tube ovariche per il contratto
per il capestro nonché per il capoccia -però
tutti si lasciano esplodere in tanto -una striscia di garza
per una striscia di Gaza e ti rimedicano
ogni ferita -E la nemesi isterica nutre le nenie
dell’abbandono di dio e si domanda il perché
-non te ne fare una croce ti trovano sempre la croce
gli altri te l’hanno già fatta altri e ti incardinano
i cardinali gli imam i rabbini in pasque di sangue
-che non esistono mai- Demoni t’abitano
troppo scontati -a buon prezzo di idee- che nemmeno c’è caso
di nominarli -né più puoi dominarli -ne più
puoi sgominarli i banditi che sgomitano per carriere
lungo il terziario avanzato e retrocesso già in Bi
Bi ventinove -fat boy, my friend -un’atomica obesa
-Serie ragioni di calcio e vitamine -è un’età
fragile l’adolescenza del mondo invecchiato -ha gli ormoni
labili -le anoressie le bulimie che innescò
qualche ragione sociale o bancaria al banco dei pegni
l’asta e l’incanto che poi l’ordine e la civiltà
battono -con martelletti da giudici gli imbonitori
svendono il buon fallimento e se l’aggiudicano.

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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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