Cesare Cattaneo, il ragazzo che volle farsi frate dell’architettura

autoritratto giovanile di Cesare Cattaneo
autoritratto giovanile di Cesare Cattaneo

di Gianni Biondillo

A Como il mondo l’hanno salvato i ragazzini. Cento anni fa, circa. Architetti ragazzi, che non hanno mai conosciuto la vecchiaia, morti quando ancora i giovanili furori non erano stati sostituiti da un professionismo senz’anima.  Altri sono sopravvissuti al conflitto, hanno conosciuto l’euforia del dopoguerra, il boom economico; avrebbero potuto portare avanti gli ideali dei loro compagni di viaggio ma non l’hanno fatto. Tutto era cambiato, cosa sarebbe stato dell’architettura italiana se i maestri ragazzini avessero avuto una sorte differente noi non lo sapremo mai. Sappiamo però cosa sono riusciti a fare in vita, per quanto breve.

Sappiamo cosa aveva sognato per la città futura Antonio Sant’Elia, architetto futurista, visionario e romantico assieme. Socialista interventista, che ha conosciuto la morte a ventotto anni sul Carso e non ha lasciato nulla di costruito nella sua Como. Ma quale altro architetto è mai stato più influente nell’immaginario collettivo globale? Forse persino più di Le Corbusier. Come possiamo guardare, per fare un esempio, Metropolis di Fritz Lang senza pensare a lui?

asilo infantile ad Asnago
asilo infantile ad Asnago

Sappiamo cosa ha costruito Giuseppe Terragni, forse il più famoso dei razionalisti lariani. Sappiamo come da neolaureato, con un colpo di mano (un autentico abuso edilizio!), abbia portato l’architettura italiana nel dibattito europeo contemporaneo. Dal Novocomum alla Casa Giuliani-Frigerio, progettata mentre era al fronte russo, passano a malapena 15 anni. Riuscì in quel breve tratto di vita professionale a progettare e ritornare sui suoi passi, a ideare e mettere in dubbio, a creare e guardare oltre.

Fontana a Como Camerlata
Fontana a Como Camerlata

Sappiamo cosa ci ha lasciato Cesare Cattaneo, il più giovane di tutti, così talentuoso che era ancora studente al Politecnico e già lavorava assieme a Terragni nel gruppo che vinse il concorso per il nuovo piano urbanistico per Como (ovviamente poi disatteso). Poche cose: un asilo infantile ad Asnago, costruito appena laureato e negli anni lasciato andare alla malora (oggi è finalmente di proprietà della Fondazione Cattaneo, ma il costo di recupero è realisticamente esorbitante per un privato). Una fontana, disegnata assieme al pittore astrattista Mario Radice come ironico monumento al traffico, all’ingresso della città, essenziale e geniale come mai nessuna dopo, e sempre senz’acqua, con quell’ignavia tipica delle amministrazioni nei confronti dei monumenti moderni.

Casa a Cernobbio
Casa a Cernobbio

La casa a Cernobbio, capolavoro assoluto, sorta di prototipo edilizio modellato fin nei più intimi particolari, unica delle sue opere conservata con cura, amore anzi. Perché invece l’ULI (Unione Lavoratori dell’Industria), la sua più grande realizzazione, alle spalle della Casa del Fascio, progetto che sapeva persino superare in astrazione geometrica il lavoro del suo maestro-amico, fu poi deturpato nel dopoguerra con interventi e superfetazioni volute da Pietro Lingeri, uno dei progettisti originari, con quel classico disinteresse che hanno avuto gli anni del boom nei confronti di una architettura che anche se edificata sotto un regime era tutto tranne che “di regime”. Nient’altro? Nient’altro. Otto anni di vita professionale, poi la morte improvvisa a trentuno anni. Come ha potuto essere così coerente, così potente, persino matura, fin dagli albori la sua visione dell’architettura?

sede ULI, fotografia dell'epoca
sede ULI, fotografia dell’epoca

Tutto il rigore di Cattaneo sta nella serie infinita di schizzi, disegni, dipinti, scritti, saggi, romanzi (sì, romanzi!), che fin da giovanissimo ha prodotto. Un vero e proprio laboratorio di scavo interiore, di pensiero curioso, di apprendimento vorace delle modalità e delle regole dell’arte. Il Cattaneo astrattista, purista, geometrico, esiste perché è esistito il paesaggista imberbe che disegnava indefesso tutto quello che i suoi passi incrociavano, o il giovane esegeta di Leopardi, assiduo lettore del recanatese al punto da vergare un lungo saggio sulla sua opera, o l’adolescente che nel chiuso delle sue stanze scriveva la sua autobiografia, sapendo che a sedici anni s’è vissuto ben poco (e non poteva sapere d’essere già a metà del suo percorso) e che quindi la sua sarebbe stata un’autobiografia “interiore”, “psicologica”.

Mi stupisco ogni volta dello stupore di chi immagina gli architetti disinteressati alla scrittura. È una visione piccina della cultura, fatta per compartimenti stagni, comoda per incasellare un personaggio in uno stereotipo, non certo per comprenderne la complessità. Letteratura e architettura, diceva John Ruskin, sono le uniche due discipline testamentarie di un popolo. Producono monumenti collettivi. Molti sono gli scrittori che hanno studiato architettura, molti gli architetti che hanno scritto. Dagli studi ad Harvard di John Dos Passos, passando per lo scrittore/architetto svizzero Max Frisch arrivando al Booker Prize Arundhati Roy, o al nostro Aldo Buzzi, coetaneo e concittadino di Cattaneo. Persino i Pink Floyd furono studenti al Politecnico londinese (e non dimenticarono i loro studi, basti pensare alla potente metafora del loro concept album The Wall).

uno degli infiniti taccuini di Cattaneo
uno degli infiniti taccuini di Cattaneo

Da vivo Cattaneo riuscì a pubblicare solo un libro, un saggio sui temi dell’architettura messi in forma di dialogo. Sapeva che attraverso i modi della narrazione sarebbero passati meglio i concetti che a cui teneva. Ma il suo Giovanni e Giuseppe. Dialoghi di architettura aveva appunto un precedente. Un (non) romanzo rimasto nel chiuso del cassetto per decenni, scritto ad appena vent’anni, Paolo Pons, che Gaffi è intenzionato a ripubblicare a breve.

È un libro dove la fantasia del giovane artista si scatena. Una sorta di guida di Como e dintorni, un viaggio, a piedi, fatto da Cesare stesso e dal suo alter ego Paolo Pons, colmo di dialoghi (appunto), di derive, mangiate, incontri surreali, battute fulminati, parodie, pagine di meta-letteratura e frammenti di ricordi autobiografici. Certo, un libro imperfetto, oggi si direbbe da “editare”. Ma dato che non era nato se non per gioco, un libro che sa raccontarci con chiarezza l’universo magmatico che pulsava nell’animo del giovane studente d’architettura.

ritratto fotografico di Cattaneo
ritratto fotografico di Cattaneo

Anche la prima pubblicazione di un altro protagonista del movimento moderno italiano, Edoardo Persico, fu un romanzo, La città degli uomini d’oggi (ripubblicato nel 2012 da Hacca). E anche Persico, altra figura inquieta di quegli anni, morì giovane, d’una morte sospetta che fu indagata da Camilleri un paio d’anni fa. Quando lo scrisse aveva ventidue anni. Sembra quasi che attraversare la narrazione fosse obbligatorio per questi pionieri del gusto che cercavano forse su percorsi differenti da quelli usuali il loro “passaggio a nord ovest”. Come viandanti, come pellegrini.

In uno dei suoi ultimi scritti Cattaneo immaginava un convento di un “Ordine di frati architetti”, dove poter esprimere la vocazione dell’architettura, a differenza dei colleghi “portati alle soluzioni pratiche”. A capo del convento ci vedeva Giuseppe Terragni. L’amico però morì troppo presto. Cesare lo seguì il mese appresso. Non fecero neppure in tempo ad assistere all’otto settembre del ’43. Ma questa è un’altra storia.

A noi resta il suo patrimonio. Quello edificato, da restaurare e valorizzare, e quello scritto e disegnato, da diffondere e condividere. Per stima, per affetto. Per non perdere i legami con la parte migliore di un’Italia che aveva vent’anni quando le menti migliori di quella generazione avevano vent’anni. Eternamente giovani.

(precedentemente pubblicato su L’Ordine, del 14 settembre 2014)

Print Friendly, PDF & Email

1 commento

  1. Bellissimo ricordo, bellissimo intervento che mi consegna in questi tempi assai cupi e cartacei (di carta straccia…) una persona di valore, intensa e che mi da animo di approfondire. Grazie Biondillo.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Non chiamatela Banlieue

di Gianni Biondillo
Innanzitutto: non è una banlieue. Smettiamola di usare parole a sproposito, non aiuta a capire di cosa stiamo parlando. E, a ben vedere, non è neppure più una periferia. Dal Corvetto a Duomo ci vuole un quarto d'ora di metropolitana, siamo ormai nel cuore della metropoli lombarda.

Il venditore di via Broletto

di Romano A. Fiocchi
Sono trascorsi molti anni ma mi ricorderò sempre di quel giorno gelido di fine gennaio in cui lo incontrai. Lavoravo come fotoreporter da circa tre mesi, mi aveva assunto in prova l’agenzia Immaginazione.

Il cuore del mondo

di Luca Alerci
Vincenzo Consolo lo incontrai, viandante, nei miei paesi sui contrafforti dell’Appennino siciliano. Andava alla ricerca della Sicilia fredda, austera e progressista del Gran Lombardo, sulle tracce di quel mito rivoluzionario del Vittorini di "Conversazione in Sicilia".

Apnea

di Alessandro Gorza
Era stata una giornata particolarmente faticosa, il tribunale di Pavia l’aveva chiamata per una consulenza su un brutto caso. Non aveva più voglia di quegli incontri la dottoressa Statuto, psicologa infantile: la bambina abusata coi suoi giochi, i disegni, gli assistenti sociali e il PM, tutti assieme ad aspettare che lei confermasse quello che già si sapeva.

Spatriati

Gianni Biondillo intervista Mario Desiati
Leggevo "Spatriati" e pensavo al dittico di Boccioni: "Quelli che vanno", "Quelli che restano". Il tuo è un romanzo di stati d'animo?

La fuga di Anna

Gianni Biondillo intervista Mattia Corrente
Mi affascinava la vecchiaia, per antonomasia considerata il tramonto della vita, un tempo governato da reminiscenze, nostalgie e rimorsi. E se invece diventasse un momento di riscatto?
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: