les nouveaux réalistes: Angelo de Matteis

circus101

 

Il documento

di

Angelo De Matteis

 

Prima di arrivare al punto, signori, m’è d’obbligo premettere alcune circostanze così da far comprendere appieno quanto ho scritto in conclusione del presente documento: i fatti prima di tutto, altrimenti si rischia di essere fraintesi.

L’edificio è a forma di staffa di cavallo, ma non è una staffa di cavallo, ha gli spigoli; quindi dire “a staffa di cavallo” è una semplificazione ed in un mondo che soffre di semplificazioni una in più o in meno non farà poi tanto male. E questo è un fatto, mi pare il primo.

Nell’edificio che vi ho descritto per mezzo di una semplificazione, ci sono due piani ed io sono al secondo. Dalla mia finestra si vede il giardino verde ed ampio e si sente tutto quello che la gente si racconta all’aria aperta. Se volete che qualcosa non si sappia, non dovete mai dirla ai quattro venti. Ed anche questo, in un certo senso, è un fatto.

Proprio l’altro giorno, mi sono messo vicino alla finestra e sono venuto a sapere che, in certi paesi, è buona usanza piantare un cipresso ogni volta che muore una persona. Ho fatto una mano di conti. Nel nostro giardino ci sono, ben visibili dalla mia finestra, dieci, al massimo quindici cipressi se mi sono sbagliato, e le cose non tornano se penso a quante persone sono morte qua dentro, sia nel senso che non sono più viventi (figuriamoci se possono essere vive!), sia perché stanno sempre sedute in un posto e si cagano e si pisciano addosso senza accorgersi che si stanno cagando e pisciando addosso. Quelli, secondo me, anche loro sono dei morti, ma forse non hanno diritto ad un cipresso. Mi sono chiesto se, nel caso in cui si usi il catetere si appartenga alla categoria che merita un cipresso, ma non sono riuscito a darmi una risposta. Comunque ho concluso che La Buona Usanza Dei Cipressi, perché ho deciso di chiamarla così, qui non usa. E questo è un altro fatto, se non sbaglio il terzo di questo documento.

La morte, la natura, le semplificazioni; le cose belle e quelle brutte, quelle utili e quelle inutili. Dovrebbe essere proibito non poterne parlare in qualunque momento solo perché qualcuno ha deciso che forma e funzione, contenente e contenuto devono essere efficaci, solo perché le perdite di tempo sono considerate perdite di tempo. La chiave di tutto, invece, potrebbe stare proprio nelle perdite di tempo altrimenti, e per esempio, perché se ci si mette a fissare le fiamme di un fuoco si rimane impalati e incantati senza capirne il perché? Perché è un’attività, come si dice, atavica. Cosa pensiamo facesse l’uomo primitivo, perché è chiaro che lo faceva anche lui, mentre guardava le fiamme del fuoco seduto in mezzo alla savana o in qualunque altra parte del mondo – che per lui non era ancora né piatto né tondo perché doveva ancora avere una coscienza, diventare intelligente e tutto il resto? Secondo me, e secondo gente che queste cose le ha studiate, sviluppava il pensiero, imparava a pensare e ad immaginare. Stava perdendo tempo. E questo è un altro fatto ancora, forse il più importante.

Ma se state pensando che è giunto il momento di capire cos’è il posto che vi ho descritto per mezzo di una semplificazione ed il perché mi trovo qui e, soprattutto, perché vi sto scrivendo questo documento, allo stato mi trovate d’accordo almeno sulla prima parte della questione: mi trovo in un centro di sanità mentale, una clinica, e sono qui perché ad un certo punto la mia testa o memoria o facoltà di ragionamento ha iniziato a girare a vuoto. Avete presente i trapezisti? Ecco, fate conto che ognuno di noi ha nella testa dei trapezisti, i trapezisti della mente, almeno due per coppia e più coppie di trapezisti si hanno meglio è. Ogni trapezista esegue il suo numero, oscilla sul suo attrezzo un paio di volte per prendere velocità e poi salta sull’altro trapezio che può essere vuoto, ed allora glielo ha lanciato l’altro della coppia, oppure è già occupato, ed allora dovrà aggrapparsi alle braccia dell’altro trapezista che, normalmente, è a testa in giù e si tiene appeso con le gambe. Ebbene, a me succede spesso che il primo trapezista resti a dondolarsi, avanti ed indietro, avanti ed indietro, a vuoto e sospeso, senza riuscire a passare sull’altro trapezio perché gli manca il compagno. E quando mi si incaglia la mente con questa Sindrome Del Trapezista – che poi non è corretto dire che mi si incaglia la mente, ciò che avviene, come ho già detto, è il suo girare a vuoto senza progredire, senza chiudere il numero, senza chiudere il ragionamento – inizio a mordermi la mano destra, la stringo a pugno e affondo i miei incisivi sulla falange dell’indice, ci alito sopra, certe volte chiudo anche gli occhi per cercarlo meglio, per vedere che fine ha fatto quel renitente al ragionamento dell’altro trapezista. Quando sono fortunato lo trovo, lo richiamo all’ordine, la coppia riesce a chiudere il numero e smetto di mordermi la mano; ma il più delle volte, soprattutto ultimamente, è in sciopero oppure si nasconde o è scappato o non lo so, non lo trovo e ormai è da qualche tempo che l’altro trapezista non si fa più vedere, ecco perché è ormai da qualche tempo che mi mordo fisso la mano stretta a pugno. In questo posto nessuno si morde la mano bene come me.

L’altro giorno ho chiesto alla mia infermiera particolare, la signorina Tildas, che è sempre avvolta nell’uniforme bianca con bordini blu, ha i capelli di grano lindo e la pelle d’avena – aggiungere una esse finale al nome, o ai nomi, vuol dire conferire loro una gincana di senso, alludere all’indifferenza rispetto ad una rotazione di 180°: la esse è il 69 delle lettere – le ho chiesto: visto che la mia testa non va come dovrebbe andare, e visto che nel mondo ci sono tante cose che non vanno come dovrebbero andare, non è possibile trovare là fuori qualcosa che non va nello stesso modo in cui non va la mia testa? Mi ha sorriso: chissà quanti trapezisti ha nella testa lei!

La signorina Tildas è l’unica che mi fa restare qui. Anche se, a volte, mi fa ingoiare i tappi per le orecchie che si mangiano. Qui la notte urlano e non si dorme. Qualche giorno fa mi sono tappato le orecchie con le dita, poi mi sono stancato; allora mi sono tappato le orecchie con quegli affari che si usano per stappare i lavandini: gli sturalavandini. Non mi ricordo se ha funzionato, se mi ricordassi non sarei qui. Mi ricordo solo che la signorina Tildas, quando mi ha visto nel letto con quegli affari ai lati della testa, ha riso tanto e poi mi ha dato dei tappi per le orecchie che si mangiano. Questo glielo posso rimproverare, ma la perdono la signorina Tildas – Tildas Tildas Tildas come ti chiami?- anche se i tappi per le orecchie che si mangiano mi tappano tutto, vedo e sento ovattato e poi non riesco a mordermi per bene la mano, e addio speranza di rivedere l’altro trapezista.

E’ successo anche che da qualche giorno faccio un po’ fatica a recuperare la sensibilità della mia vescica, soprattutto quando mi fanno mangiare troppi tappi per le orecchie che si mangiano. Per questo motivo l’aumento del ritmo con cui si è presentata la necessità di cambiare le mie lenzuola ha fatto in modo che: a) io mi stia decidendo a rivedere la teoria alla base della Buona Usanza dei Cipressi; b) i dottori inventassero un metodo, alternativo al catetere, per correre ai ripari: mi hanno attaccato un preservativo al pisello con dell’adesivo che non fa male quando lo stacchi e lo hanno collegato ad una sacca con una cannula. Così, ogni volta che piscio, la mia pipì gonfia il preservativo e defluisce nella sacca sotto il letto.

La cosa, al di là dell’imbarazzo che ho provato quando l’aggeggio mi è stato applicato purtroppo non dalla signorina Tildas, ha funzionato benissimo, fino a ieri notte. A quanto pare avevo una gran voglia di pisciare, e devo averne fatta un bel po’ perché il preservativo si è gonfiato tantissimo, ma proprio tanto. L’urina non ha defluito e quando l’infermiera della notte, che non ha nulla a che fare con la giustizia, ha visto il grosso rigonfiamento all’altezza del basso ventre, si è precipitata al mio letto. La mancanza di delicatezza di Santina, donna cui non ho mai attribuito una esse finale ne sotto forma di parola ne sotto forma di pensiero, ha fatto sì che venisse meno la perfetta aderenza fra il nastro adesivo, il preservativo ed i bordi del mio pisello, venir meno dell’aderenza che, a sua volta, ha fatto sì che la pressione esercitata dal lattice contenitivo si liberasse in una esplosione di urina che ha inondato in parte il suo volto e schizzato il mio pigiama ed in parte è rimasta in aria a fluttuare, sotto forma di bolle di pipì e schizzi irregolari e mentre io ero fermo sul letto, circondato dalla mia pipì irrispettosa della forza di gravità, e da Santina, irrispettosa di qualunque regola estetica, ho visto e sentito Ronzino che grugniva perché aveva vinto a scopa contro se stesso e mi sono alzato dal letto per abbracciarlo e complimentarmi con lui. E’ stato allora che sono arrivati due inservienti per tenermi fermo, ed è stato allora che la mia pipì si è sottomessa alla forza di gravità e Ronzino è sparito. Santina, invece, è rimasta brutta. Da piccolo mio padre mi portava spesso dalla zia Giovanna. Ci andavamo di sera e c’era sempre un po’ di gente da lei. Erano tutti vicini di casa che sedevano in tondo, affianco al camino acceso o spento, ed a turno, nei frequenti momenti di silenzio, sospiravano inneggiando al signore ed ai santi, al loro aiuto o qualche volta interrogando se stessi ed i presenti sul da farsi, ma poi nessuno dava una risposta che andasse oltre un sospiro ancora più rumoroso dei precedenti.

La sera, dalla zia, la mia attrazione era Ronzino. Ronzino era un uomo che si esprimeva a grugniti e non partecipava ai reciproci sospiri degli ospiti ed al loro vario inneggiare alle divinità e ai santi. Camminava in maniera sparpagliata e doveva essere condotto: la testa gli roteava sul collo in continuazione. Ronzino giocava a scopa contro se stesso e riusciva sempre a vincere – e se ne stupiva ogni volta, lo si capiva dal grugnito che emetteva alla fine della partita: più acuto, pieno di giubilo, quasi privo della sofferenza di non riuscire a esprimersi.

Dopo i funerali della zia non siamo più andati a casa della zia Giovanna ed io non ho più visto Ronzino, tranne adesso quando ogni tanto compare nella mia stanza e si siede al tavolino per a farsi una scopa contro se stesso.

Comunque, finalmene siamo arrivati alla parte della questione cui non ho ancora risposto. Perché riguardo all’identità del posto in cui mi trovo ed al perché sono qui mi pare di essere stato abbastanza chiaro; sul perché vi sto scrivendo adesso ci arrivo. L’altro giorno ho spiegato la mia teoria della Sindrome Del Trapezista ad un dottore che è venuto a trovarmi con la signorina Tildas. Lui mi ha fatto capire che era una teoria simpatica, ma non ci ha creduto e me lo ha proprio detto che non ci credeva. La signorina Tildas, invece, non ha detto niente e mi ha sorriso con gli occhi. Infatti, dopo è tornata con un foglio ed una penna, e mi ha detto che se questo trapezista non riuscivo a trovarlo da solo, allora avremmo scritto una bella denuncia di smarrimento e lei l’avrebbe portata alle forze dell’ordine. Pertanto, questa che state leggendo, cara la mia arma dei Carabinieri, corpo di Polizia e/o Guardia di Finanza, non è altro che l’introduzione, doverosa, alla seguente denuncia di smarrimento:

Il sottoscritto, il cui documento di identità si allega alla presente, denuncia alle competenti Autorità che, in luogo e data imprecisati o forse anche lungo tutto un periodo di tempo e senza accorgersene, ha perso un numero indeterminato di trapezisti della mente. In caso di ritrovamento, anche di uno solo dei suddetti, si prega di avvertire in secundis la signorina Tildas.

                                                                                                 Elio Emme

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francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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