Dieci dicembre
George Saunders, Dieci dicembre, minimum fax, 2013, 222 pag., traduzione di Cristiana Mennella
Perché la letteratura più cool angloamericana fa a gara per lodare l’opera di un autore di short stories come George Saunders? Che siano Jonathan Franzen o Zadie Smith, Thomas Pynchon o Dave Egger, il giudizio non cambia: l’autore texano è unanimemente considerato un talento immaginifico potente e originale. La risposta alla mia domanda credo stia – prima ancora che nelle storie – nella lingua dell’autore, come si può chiaramente notare in questa raccolta di racconti intitolata Dieci dicembre.
Lingua plastica, complessa, attenta al parlato gergale e allo stesso tempo alle tonalità alte, culte. Con un passo lento e vorticoso, anzi, labirintico. Accettare questa scrittura permette di farsi catturare dai lacci della scrittura, accettare le storie che vengono raccontate. Che siano avvenimenti in fondo di cronaca spicciola – un tentato rapimento andato malamente – o di pura immaginazione paranoica – laboratori scientifici che inoculano farmaci che mutano la personalità dei pazienti – ogni storia si regge non su quello che viene raccontato ma sulla modalità letteraria imposta dal narratore. Lingua all’apparenza ammiccante ma in realtà prepotente e, in ogni racconto, spiazzante.
Capita al lettore, praticamente in ogni storia, di non capire cosa stia succedendo per buona parte dello svolgimento narrativo. Lo scrittore si sofferma su particolari insignificanti, oppure elide volontariamente un verbo ausiliare, o si insinua su arrovelli del pensiero, tormenti della psicologia, nascondendoci la chiave d’accesso. Si entra ed esce di continuo nei flussi di coscienza dei vari personaggi, saltando dall’uno all’altro senza soluzione di continuità. Laddove non si trovi il varco per capire gli avvenimenti bruti aleggia comunque uno stato di inquietudine che si ripete identico in ogni storia. Persino l’umorismo, e ce n’è molto in questa raccolta, non basta a stemperare l’irrequietezza che procurano questi racconti. Affascinanti, anche per l’attenzione che richiedono al lettore.
(precedentemente pubblicato su Cooperazione, numero 48 del 26 novembre del 2013)
Concordo con la breve analisi. Aggiungerei che il testo di Saunders oltre che attenzione richiede anche confidenza, come un vecchio amico con cui si discorre utilizzando una livello gergale le cui chiavi sono in possesso di entrambi. E non di un interlocutore esterno, posto in ascolto.
E’ un bell’esercizio…
Saluti