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“ABOUT GAZA” di Simone Camilli e Pietro Bellorini


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Le immagini girate da Simone Camilli restano in tutta la loro forza e delicatezza, nell’attenzione per i volti, i suoni, nel time-lapse del tempo che scorre via in anni lunghi di ingiustizie e sofferenze, nelle voci e nelle loro storie piccole. Oltre la sua morte sul lavoro, che sta sempre accanto a chi ha scelto il giornalismo sul campo di bcattaglia, i suoi fotogrammi limpidi continuano a raccontare. [ R.I.P. ]

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3 Commenti

  1. Una documentazione asciuttissima, priva di ogni retorica che ci rivela le straordinarie capacità di Camilli. Grazie ancora una volta a Orsola. NI dovrebbe essere anche o forse sopratutto essere questo, una forma di apprensione di quanto via via evolve o esplode. L’assenza di ogni retorica, avvicinare quanto è reso distante, o distorto. Questo documento riduce a niente tutto il bla bla sul conflitto arabo-israeliano. Riconduce i fatti alla loro (terribile, umanissima) essenzialità.
    PS Per esempio parchè NI non interviene anche sulla scomparsa di un’umanissima icona come Robin William, un’icona che tutto sommato ha riproposto con vigore e poesia il ruolo e il rango della letteratura?
    Grazie ancora Camilli. Grazie Orsola.

  2. Rispetto per il lavoro di Simone Camilli.
    Ha fatto emergere sorrisi e voci dei bambini e ragazzi. Con grande semplicità e sobrietà.
    Ha dato visibilità alle donne.
    E’un magnifico lavoro giornalistico.
    La vita quotidiana vissuta in vicinanza.
    Omaggio a tutti i giornalisti per questo impegno: condividere la realtà.

    Una foto recente mi viene nella memoria. Una donna yazidi davanti alla culla rudimentale dove dorme il bebè.
    Il tempo sospeso e angosciante.
    La gonna con papaveri di sangue.

    La storia si racconta non con numeri, ma con volti, con nomi afinché non siano seppelliti o inghiottiti nel buoi.

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,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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