Anima di madre
Gabriele Kögl, Anima di madre, Keller editore, 2013, 157 pag., traduzione di Laura Bortot
Il cuore di una madre può essere un luogo molto buio. Niente indulgenze in questo romanzo della scrittrice austriaca Gabriele Kögl. Innanzitutto nei confronti del lettore: Kögl è laureata in sceneggiatura, saprebbe come scrivere una storia rendendola “cinematografica”, con quella scrittura che in questi anni va per la maggiore, fatta di immagini forti, di dialoghi fitti, di una lingua propedeutica alla messa in scena. Niente di tutto ciò in questo romanzo. Anima di madre è uno sterminato, sfibrante monologo. Un canto dolente per voce sola, che potrebbe essere letto aprendo a caso il volume, tali e tante sono le digressioni, i salti temporali e logici. Il romanzo non si apre e non si chiude, è un circolo vizioso e opprimente.
L’Io narrante è quello di una donna, una madre appunto, ormai avanti negli anni. L’età avanzata però non le ha dato alcuna maturità, alcuna profondità. Vivere nel chiuso di una società contadina del cuore della Stiria ha reso la sua psicologia altrettanto chiusa e meschina. La donna ci racconta la sua vita: il marito anafettivo e beone, la figlia fuggita a Vienna per una carriera d’attrice, i due figli, uno rimasto a fare il contadino, l’altro, illegittimo, suicida dopo aver subito un tradimento da parte della moglie tedesca. Ma piuttosto che comprendere per davvero le scelte, le logiche, i bisogni di chi dice di continuo d’amare, le vere preoccupazioni che scaturiscono dalle parole della donna sono quelle di non sfigurare di fronte alle malelingue del paese, così simili a lei stessa, altrettanto egoiste e ossessionate dallo sfoggio di un ruolo sociale fatto di pura apparenza.
Nella sua lunga confessione la protagonista finge pietà, o trasporto, per la tragica fine del figlio, ma quello che in realtà fa di continuo è porsi come vittima: di un marito che non l’amava, di una figlia che la contestava, di una esistenza fatta di stenti. Posizione comoda, auto indulgente, che maschera l’evidente fallimento di una vita. Rendendola, perciò, vittima per davvero.
(precedentemente pubblicato su Cooperazione, numero 44 del 29 ottobre 2013)
Bello per davvero.
trovo la trama ottima per un invito alla lettura.
approfitto di questa parentesi per complimentarmi con Biondillo per il suo romanzo:
Cronaca di un suicidio, letto pochi giorni fa.
certe letture fanno bene, risvegliano il sangue e il cervello.
un saluto :-)