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La condizione palestinese

di Tommaso Di Francesco, dal Manifesto del 2 luglio 2014

No, la pietà laica, quella verso ogni debole e vinto non può morire. L’uccisione dei tre ragazzi ebrei rapiti presso Hebron – Eyal Yifrah, Gilad Shaar e Naftali Fraenkel – non solo è condannabile, ma ci riempie di tristezza. Mai avremmo voluto commentare questo risultato del rapimento. Si poteva perfino ipotizzare un nuovo caso Shalit, un rapimento per uno scambio di prigionieri, quei «rapiti palestinesi» di cui nessuno parla.

Invece è accaduto un delitto odioso che ci ferisce, che non onora la causa palestinese che questo giornale ha sempre difeso e difende, anche come ragione della pace per due popoli e garanzia di sicurezza per tutto il Medio Oriente. Tanto più che questo drammatico avvenimento mette in discussione in modo definitivo quell’unità nazionale faticosamente raggiunta, Fatah-Hamas, così osteggiata dal governo israeliano.
Dovrebbero invece tacere tutti quelli che (media, governi, organismi internazionali) o tacciono il
conflitto israelo-palestinese o hanno in generale dimenticato, se non cancellato, la stessa esistenza
della questione palestinese. Sono decine e decine i giovani palestinesi uccisi quest’anno, il cui sorriso da adolescenti vale la stessa appassionata innocenza del volto dei tre ragazzi ebrei assassinati. Eppure, chi non ha mai nominato quella sequenza di nomi arabo-plestinesi, oggi si ammanta di indignazione retrodatata, magari propiziando la vendetta di Israele, la punizione collettiva e le rappresaglie militari durissime che si annunciano. E che non a caso preoccupano, almeno a parole, invece Barack Obama, che ammonisce il governo Netanyahu pronto alla vendetta: «Attenti però, non roviniamo tutto». Quello stesso Netanyahu che solo poche ore prima del rinvenimento dei corpi, ha avviato indisturbato e senza scandalo la costruzione di un nuovo Muro, dalla Valle del Giordano al Golan occupato, una nuova barriera di cemento per i diritti negati del popolo palestinese.
Ecco il punto. Se dietro il sipario mediorientale di morte e sopraffazione si vuole nascondere a tutti i costi la condizione umana degli occupati palestinesi, ecco che lo sguardo non può che limitarsi alla sola scena dell’ultimo delitto, quella dei tre giovani israeliani rapiti e uccisi.
Se solo si intravede invece l’orizzonte reale di rovine della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, la scena appare nella sua reale barbarie. Muri di separazione, check-point militari ai quali si consuma il tempo di chi deve muoversi per vivere, cioè di tutti, migliaia di detenuti politici spesso in sciopero della fame che nessuno ha mai voluto raccontare, milioni di profughi maltrattati in ogni luogo di fuga, che non hanno più il diritto di tornare in patria e colonie – che ci fa ad Hebron un insediamento dove gli integralisti religiosi ebrei scrivono sui muri «gas agli arabi» tanto da far dire allo scrittore Amos Oz che «sono nazisti»? Tante colonie trasformate in avamposti militari dell’esercito israeliano. Così tante che la loro ragnatela di fatto impedisce ormai la continuità territoriale di quello che un tempo era rivendicato come Stato di Palestina.
Questa è la condizione dei palestinesi.
Vivono in milioni sotto una dura occupazione militare, in casa loro ma da profughi. Dal 1967 due risoluzioni delle Nazioni Unite chiedono ai governi israeliani di ritirarsi. Ma la richiesta non solo non riceve risposta, Israele ha allargato in questi decenni il suo controllo anche attraverso migliaia di nuovi insediamenti che ogni esecutivo ha esteso, militarmente, a piacimento. È l’abbandono di questa decisiva tematica a far sì che la barbarie chiami la barbarie. Bombardamenti, piombi fusi, rappresaglie, tante e nuove stragi da Sabra e Chatila a Jenin, morti oscure di leader come Arafat.
E stavolta non ci sarà più la lotta alla luce del sole, come fu per la prima e la seconda intifada.
È troppo grande la sconfitta e l’umiliazione dovuta ormai per l’impossibilità dello Stato Palestinese, da essere profondamente introiettata anche dalle giovani generazioni. Che vivono sospese tra corruzione dilagante favorita da ingenti finanziamenti occidentali arrivati per tacitare la protesta e le legittime aspirazioni e la violenza degli occupanti che lasceranno i Territori occupati nel limbo dei presidi militari, senza nemmeno annettere quelle tragiche conquiste.
Forse la questione palestinese per come l’abbiamo conosciuta e sostenuta non esiste più. E Israele può perfino gridare vittoria e colpire Hamas deportandone, come annuncia, i militanti nell’inferno di Gaza. Attenti però, Hamas vinse nel 2006 le elezioni politiche non solo nella Striscia ma anche in tutta la Cisgiordania. Soprattutto, c’è un esempio che desta più di un timore. I miliziani jihadisti dell’Isil che avanzano tra ali di folla plaudente dalla Siria in Iraq, sono spesso giovanissimi di nemmeno venti anni che erano bambini quando gli Stati uniti di George W. Bush scatenarono, con crimini rimasti impuniti, la loro guerra. Erano ancora bambini quando gli americani bombardavano al fosforo bianco Falluja e si divertivano nelle prigioni di Abu Ghraib.
La questione palestinese, abbandonata a se stessa, rischia di materializzare solo odio a quel punto finalizzato in una «prospettiva» altrettanto integralista. Sarebbe una sconfitta per tutti.

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8 Commenti

  1. cosa si può dire sull’argomento anche alla luce degli ultimi aggiornamenti? Niente, non si può dire niente(bastano e avanzano le tue parole)

  2. Solo aggiungere che Israël è il solo paese democratico in questa parte del mondo, con paesi vicini violenti che mettono la sua vita in pericolo.

    Aggiungere che Israël ha condannato la morte ingiusta del giovane palestinese.
    Non sembra chiamare alla vendetta.
    Cerca da appagare la situazione.
    Da France Inter giornale di13 ore.

    Scrivere sulla questione palestinese è delicato, perché sappiamo che Israël è la terra rifugio per chi ha sofferti anni di persecuzione.

    Sappiamo anche che il popolo palestinese non è felice. Vive senza potere sognare.

    Una piccola terra per due culture e un stesso cuore non è possibile?

    Fate entrare la scuola, fate dialogare: il vicino non sarà più nemico.
    La scuola ha un impegno determinante.

    Perché è sola da insegnare la pace e la riflessione.
    Il punto importante è la democratia. Dare la possibilità di allontanare il terrorismo.

    Siamo davanti a quatro volti scomparsi. Siamo davanti a quatri morti che fanno un buco nel cuore.

    Che possiamo ancora sperare?

    Credo che piccoli segni in favore della pace sia visibili. Sono come piccoli bagliori nel temporale. Anche nella tragedia.

    Rimpiango che sovente Israël sia solo descritto nel suo potere militare.

    Chi parla del suo rispetto verso l’ambiente naturale?

    Chi parla della bellezza della sua letteratura?

    Chi parla della sua cultura calorosa?

    La giovane generazione palestinese e israeliana ha un’immensa possibilità:
    fermare le arme e ascoltare le anime.
    Creare una cultura condivisa e non separata.

  3. tante belle parole e speranze, cara Véronique, in sé giuste perché il popolo israeliano, è come tutti gli altri, fatto di buoni e di cattivi, o comunque di gente diversa, con speranze e paure come tutti.
    Purtroppo invece il governo, e non il popolo, non i milioni di ebrei uccisi nell’Olocausto, non chi ha patito ingiustizie infinite, ma il governo che questo popolo si è dato ora, ai tempi nostri, che tu dici essere un governo democratico, è un governo di morte e di vendetta. Perché non ha mai rispettato le risoluzioni dell’ONU? Perché continua a espandere le colonie nei territori palestinesi, rubando al popolo palestinese acqua e risorse? Perché detiene centinaia di prigionieri politici, di cui nessuno parla? Perché possiede armamenti nucleari, cosa che a nessun’altra nazione dell’area è concessa dalle cosiddette Grandi Potenze? Perché tollera fazioni interne come quella dei cosiddetti ultraortodossi che hanno l’unica idea di fare tanti figli e di non lavorare, e di essere mantenuti dallo stato solo per questo? Tutte domande cui non c’è risposta, se non un ormai insensato e pericoloso privilegio concesso a un popolo che nel passato ha subito gravi ingiustizie, ma che adesso è in possesso di un potere e di una violenza intollerabili.

  4. Che il governo israeliano non sia difendibile, lo capisco.
    Ma voglio tornare su punti che sono contestabili.

    L’arma nucleare è un pericolo per tutti.

    Israël non ha l’intenzione di usare quest’arma.
    Non è il caso per i suoi vicini che vogliano la distruzione d’Israël.
    Per esempio l’Iran.
    Si puo paragonare Israël con la Siria o l’Iran?

    Gli ultraortodossi sono fuori tempo.
    Si dedicano alla religione.
    Sono come tutti che hanno l’ossessione della religione e si chiudano dentro.
    Ma non ho mai sentito che un ultra ortodosso abbia scattato una bomba .
    Non è il caso per i Jihadistes che sono una minaccia importante.

    In Francia questo tipo di ragionamento conduce al massacro di ebrei innocenti, come a Tolosa.

    Si prende il pretesto del conflitto per amazzare o odiare.

    Conosco Nazione Indiane e so che c’è sempre un dialogo aperto.
    So che scrivi senza odio.

    Solo vorrei dare il mio punto di vista.
    Vero: Israël non deve continuare a occupare terre palestinesi.
    Ma dobbiamo considerare la sitazione particolare di questo paese.

  5. “This is my land Hebron” è un documentario di qualche anno fa che racconta come questa città, Hebron appunto(la città dove sono morti i tre ragazzi), sia stata, nel corso degli anni, umiliata violentata schiacciata dal fanatismo dei coloni, dall’atteggiamento di un governo complice e di un esercito altrettanto fanatico. Credo valga la pena di guardarlo, certo non per giustificare l’assassinio di tre innocenti ma per capire, forse, come un clima di odio generi inevitabilmente altro odio.
    https://www.youtube.com/watch?v=A5kfE5uDEBY

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antonio sparzani
antonio sparzani
Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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