Le strane rapine da morbo di Primavera (1)

di Pino Tripodi

Faccio la commessa all’Esselunga di via Bazzi, a Milano. Sabato 8 febbraio 2014 intorno alle tredici e trenta non c’era tanta gente, non quanta ce ne sarebbe stata un paio d’ore più tardi né quanta ce n’era stata ore prima. La fila scorreva senz’affanno alla mia cassa. Avevo il tempo di salutare le persone, di guardarle in faccia, di augurare buona domenica e di chiedere loro come stavano i figli, i mariti, le sorelle e i fratelli se erano clienti abituali. Era uno di quei rari momenti in cui una cassiera non dico che ama il suo lavoro, ma la mansione che svolge le appare un po’ più lieve. Non puoi dire di essere contenta, ma almeno ti illudi che lavorare in quelle condizioni sia forse un granellino meglio che fare la schiava in catene o la schiavetta del maritino tuo.

Dura poco, il tempo che le masse finiscano di pranzare e sciamino felici nei supermercati più per fare qualcosa, forse per dimostrare di essere in vita, per compulsione abitudinaria,  che per necessità di spesa.

Il tempo straordinario di respirare appena prima di entrare in apnea nel vortice accelerato della normale attività di bancomat, carta di credito, tessere fedeltà, ritiro contanti, sistemazione ordinata di banconote e monete, resto, buonasera grazie, arrivederci senza mai sollevare la mente da quella cassa. Anche quando gli occhi fanno finta di guardare altrove, devi stare concentrata là, guardiana impassibile di quel flusso di denaro che non è tuo ma che almeno in parte lo potrebbe diventare se sbagliassi operazione. Quando eccedi nel resto quel denaro diventa come tuo. Lo devi restituire.

Maneggiare tanto denaro e non avere i soldi per il caffé a noi cassieri crea sempre qualche problema. Io sogno ogni notte di pulire la casa e di gettare la spazzatura, ma invece della polvere scopo soldi che si annidano ovunque e vanno scovati per essere raccolti e gettati tutti nei rifiuti altrimenti la casa rimane sporca, sudicia, sozza, putrida, fetente maledetta. Gettati tutti i soldi nell’imondizia la casa mi si riempie di polvere che cerco di snidare mentre la polvere diventa denaro che io ributto e la polvere si riforma e io continuo a pulire e poi ancora in un processo senza fine.

 

Minuto più, minuto meno, alle tredici e trenta sento urlare all’ingresso. Il guardiano entra con alle spalle qualcuno che grida calmi, è una rapina. Si mettono tutti a urlare. Pure io urlo dalla paura, ma sinceramente sono anche eccitata un pizzichino. È la prima volta che capito in una rapina. Chissà se succede come alla tv mi dico.

Un uomo giovane, sui venticinque, a volto scoperto, pistola nella mano sinistra, mette a sedere il guardiano, chiama a sé l’unico cassiere maschio, gli intima di legarlo. Poi si avvicina. Il cuore batte forte. Il rapinatore ci ordina di aprire le casse e di consegnargli i soldi. Ci sono  cinque casse aperte. Io e le mie colleghe eseguiamo. Nessuno di noi tenta di resistere. Prima d’iniziare a lavorare ci avevano spiegato che non ne vale la pena. Ogni cosa che avviene dentro e fuori il supermercato viene ripresa. Nelle casse ci sono sempre pochi soldi, massimo 500 euro a postazione. Superata quella cifra, contiamo, registriamo, impacchettiamo e consegniamo i soldi alla direzione che li blinda in cassaforte.

Rubare poco per avere la quasi certezza di essere beccato non è un grande affare. Capito, ragazze. Se qualcuno è così scemo di tentare una rapina, non fate le eroine. Così ci aveva detto il capo.

 

Fra tutte le casse aperte avrà recuperato al massimo 1500 euro.

Il rapinatore si mette in tasca i soldi, tu tieni la cassa aperta mi urla, poi anziché guadagnare l’uscita, si avvicina ai carrelli, inserisce una monetina nell’inserto, ne prende uno e si dirige verso gli scaffali con la pistola dimenticata in mano. Tutti i clienti si mettono a urlare. Lui riempie lestamente il carrello di carne, pane, latte, frutta, formaggi. Ci ficca pure un colluttorio, il filo interdentale e un deodorante per le ascelle. Quindi punta dritto alla mia cassa. Mette tutto sullo scorrevole e mi chiede faccia presto per favore. A me tremano le mani, punto con l’occhio sinistro la pistola e con il destro il suo volto. Non capisco cosa devo fare. Mi faccia il conto, presto. Ancora non capisco, ma meccanicamente faccio scivolare la merce lungo il rilevatore prezzi mentre lui riempie i sacchetti. Ancora più meccanicamente dico 77 euro e 33 centesimi, paga contanti? Lui mi guarda come a dire ma sei scema?,  cava dalla tasca due banconote da 50 euro, me le porge, attende il resto, se lo assicura nel posteriore dei pantaloni, mi saluta buongiorno signorina, si dirige verso il portacarrelli, preleva i sacchetti lasciando la pistola nel carrello, spinge il suo dietro gli altri, ritira la moneta di un euro e si avvia all’uscita. Fuori, erano già in attesa i carabinieri che lo hanno arrestato.

 

Certo che è stata una rapina strana. Non si era mai visto che un rapinatore, dopo aver prelevato i soldi dalle casse, invece di mettersi a correre prenda un carrello, lo riempia di merce come un qualsiasi altro cliente e si diriga alla cassa pagando con i soldi della rapina. Non contento della sceneggiata, lascia la pistola nel carrello e viene sufficientemente tranquillo verso di noi che lo aspettiamo all’uscita – non abbiamo fatto irruzione prima per non gettare i clienti del supermercato nel panico. Se siete qui per me, fate pure.

Noi gli mettiamo le manette e lo portiamo in caserma. Non oppone resistenza alcuna. Lo interroghiamo, ma lui nulla ci dice del suo comportamento bizzarro. Gli abbiamo chiesto mille volte perché non  sei scappato. Perché dovevo fare la spesa. Ma ti sembra normale che un rapinatore faccia la spesa, pagando pure, nel supermercato in cui sta facendo una rapina? Non lo so. É la prima volta.

Noi ci crediamo davvero. Sarà stata la prima volta. Avrà qualche serio problema psichiatrico. È certo. Non si spiega altrimenti.

La pistola? Era un giocattolo, ma forse lui non è in grado di distinguere il vero dal falso. Non crediamo sia pericoloso, solo fuori di testa.

Si chiama Primo Primavera, ha venticinque anni, è nato a Milano da genitori lombardi, fino a due mesi fa lavorava in una fabbrichetta chimica, è iscritto al corso serale dell’Istituto Tecnico Turistico Bertarelli. Risulta fidanzato di una studentessa della sua stessa scuola.

Adesso scusate. La conferenza stampa è finita. Grazie.

 

Il nostro quotidiano si è occupato due settimane fa di un tipo bizzarro, tale Primo Primavera, che ha rapinato le casse di un supermercato, poi, anziché fuggire, ha ritirato un carrello, si è diretto abbastanza lestamente all’interno, tra gli scaffali del negozio, ha preso la merce che gli necessitava, si è recato alle casse, ha pagato come fa normalmente qualsiasi altro cliente, ha infilato il carrello al suo posto dopo avervi prelevato i sacchetti con la spesa e lasciato la pistola giocattolo usata per la rapina, infine tranquillo si è consegnato ai carabinieri che lo attendevano all’uscita.

Tutti, carabinieri per primi, hanno pensato a uno squilibrato e anche noi, allora, confinato nella cronaca di Milano, abbiamo trattato così il caso.

Torniamo a parlare di Primo Primavera, qui, in prima pagina, perché nelle due settimane trascorse il suo gesto ha lasciato il segno. Nella stessa città, Milano, altri cinque supermercati, in cinque giorni differenti, sono stati rapinati da ladri altrettanto singolari che hanno emulato quasi alla perfezione il gesto del Primavera. Tutti come lui dopo la rapina, anziché fuggire hanno fatto regolare spesa pagando alle casse e consegnandosi alle forze dell’ordine. In tre dei recenti casi i malviventi erano attesi fuori; negli altri due, le forze dell’ordine non sono state abbastanza leste, ma i rapinatori non si sono persi d’animo. Invece di darsela a gambe, hanno pazientemente atteso, uno venti minuti, l’altro quarantesette minuti, che si presentasse qualcuno per arrestarli. Intanto, hanno chiacchierato con i passanti o con i clienti del supermercato riversatisi fuori mossi dal morbo della curiosità più che dal morso della paura. Nessuno dei rapinatori ha voluto spiegare le motivazioni del proprio assurdo gesto.

Ma che i cinque ladri abbiano qualcosa a che fare con Primo Primavera è palese. A parte la meccanica dell’emulazione, risulta infatti che i sei personaggi si conoscessero più o meno bene. Come Primavera, anche gli altri cinque risultano iscritti al corso serale dell’Istituto Tecnico Turistico Bertarelli, hanno un’età compresa tra i 22 e i trenta anni, sono disoccupati più o meno a intermittenza. Curioso che una delle tre donne del gruppo a domanda lavori? Ha risposto. Non sempre. Quando lavori? Fino all’anno scorso lavoravo ogni volta che pioveva. Da quest’anno lavoro ogni volta che nevica.

Degli altri cinque, una è italiana di Calabria, il secondo egiziano, il terzo filippino, le due altre donne provengono dall’ Ucraina e dal Perù.

Le rapine sono dunque opera di una multinazionale dell’assurdità i cui membri si conoscono, sono accomunati da tre fattori – frequentare la stessa scuola, essere disoccupati, possedere sufficienti audacia e freddezza – e sicuramente hanno concordato come quando e dove realizzare le proprie gesta.

Ciò che rimane oscuro è l’elemento più importante: perché? Quale motivo può spingere degli individui a organizzarsi per compiere delle rapine che li conducono inevitabilmente, per volontà certa, in galera?

Preso da solo, Primo Primavera era sembrato a tutti un matto. Ma alla sesta rapina che avviene con le medesime modalità anche il più matto tra gli uomini capirebbe che c’è della ratio in quell’apparente follia. In attesa che gli inquirenti diano chiare e pronte risposte in merito, la congettura più accreditata tra i nostri colleghi è che si tratti di un gruppo di buontemponi mosso ad assurdi gesti dalla ricerca di facile notorietà. Non soddisfatto da una così banale spiegazione il nostro giornale ha avviato un’inchiesta. Ci siamo recati per diversi giorni al Bertarelli, abbiamo intervistato Dirigente, personale in servizio, studenti. Abbiamo scoperto diverse cosette interessanti. Tra queste, due in particolare. La prima: nel corso serale dell’Istituto insegnano diversi vecchi arnesi della sovversione che non solo non hanno mai abiurato ma non perdono occasione di aizzare i loro studenti contro preside, provveditore, ministro. Secondo: nell’Istituto si sono svolte tutte le assemblle territoriali dei COBAS da quando il sindacato di base è nato.

Magari non sono elementi importanti, ma potessimo dare un consiglio agli inquirenti, diremmo loro di lanciare un’occhiatina in quella direzione.

Se non si tratta di balordi o di buontemponi, è chiaro che siamo di fronte a un gruppo organizzato con una strategia ben precisa. Quale è forse presto per dedurla, ma a noi sembra  che alla sesta rapina un primo indizio ci sia: questo gruppo organizzato, ancora senza nome, non è interessato a fare le rapine. Le rapine sono solo un strategia per andare in galera con il minimo del danno. Il problema vero allora diventa: perché un gruppo organizzato ha interesse a far arrestare i propri militanti? Nessuno lo sa, ma  alla fine della nostra inchiesta ci pare d’obbligo fare una congettura. Ci può essere una sola ragione  per la quale un’organizzazione così coesa si comporta in tal fatta. Evidentemente ritiene che la sua azione politica debba essere svolta in carcere, non fuori. Così fosse, nel giro di poco tempo ci capiterà di assistere a rivolte, evasioni di massa, atti di insubordinazione che ci faranno rimpiangere il vecchio rapinatore, quell’uomo forse deprecabile ma tutto sommato simpatico che tentava di rubacchiare qualcosa ma colto sul fatto accettava di buon grado di farsi qualche annetto di galera.

( continua)

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