Quattro domande (ai giornalisti) sull’Egitto

di Marco Alloni  

Cari giornalisti, sono così stanco che temo riuscirò a fatica a completare questo articolo. Vedete, mentre in Egitto si appresta a guidare il paese Abdel Fattah El-Sisi – che si scrive Abdel Fattah El-Sisi, non Al Sisi, non Sisi, non El-Sissi, e si pronuncia con la “acca” aspirata, non con la “à” accentata, Abdel Fattà – io sto compiendo un trasloco da una parte all’altra della capitale. Il Cairo è rovente: intorno ai 42 gradi durante il pomeriggio. E i lavoratori (‘ommal) non hanno modo di caricare la masserizia la sera: quindi si procede tutti sotto le vampate. Ora mi sono ritirato nella mia caffetteria-ufficio e aspiro a pieni polmoni l’aria condizionata, il tempo di redigere queste righe per voi.
Perché per voi? Perché siete così più stancanti della calura, delle vampe, della siccità! Seguo tra un carico e l’altro le vostre cronache, vi osservo e ascolto mentre la sera mi informate solerti di quel che sta accadendo in Egitto. Leggo i vostri commenti su Facebook, i vostri tweet, i vostri post. E mi domando quali motivazioni, oltre alla conservazione del “posto”, vi spingano a insistere sempre sugli stessi punti.

Non che io non mi spieghi la vostra coerenza: indovinata la formula, l’approccio che suscita il proverbiale “mi piace”, capisco perfettamente che nulla valga come la difesa del conformismo. E tuttavia: perché non osare un soprassalto critico rispetto all’Egitto, perché irretirlo in questa estenuante litania? Possibile non possa essere detto altrimenti? Vedete, anche un bambino capisce che da un punto di vista estremamente generico stiamo assistendo a una “restaurazione militare”. E anche il meno informato dei vostri lettori comprende che il “ritorno dei militari” non è propriamente l’espressione compiuta di quelle che sono le istanze della rivoluzione del 2011. Ma se queste sono ovvietà, perché insistere ancora sulle ovvietà e non interrogarle?

Non risolverò il problemino al posto vostro, non vi servirò su un piatto d’argento l’alternativa analitica alle vostre ecolalie. Ma vi porrò – sono troppo stanco per fare di più – quattro semplici domande. 1) Credete voi, in buona fede, che si debba parlare strico sensu di un “ritorno dei militari”, che cioè El-Sisi sia perfettamente equiparabile a Nasser, Sadat e Mubarak? Oppure questo “ritorno dei militari” merita quanto meno una problematizzazione? 2) Credete voi realmente, sempre in buona fede, che il popolo egiziano sia lo stesso oggi di tre anni fa, e che quella che chiede sia davvero una “restaurazione militare” eo ipso? Oppure è un popolo antropologicamente mutato, che tale “restaurazione” la accetterà solo nei termini ed entro i limiti formali di un ritorno alla stabilità? Ovvero, credete davvero che – per dirla con Kapuscinski – il “superamento della paura” non varrà in futuro anche per El-Sisi, come è valso per Mubarak, Tantawi e Morsi? 3) Nel ricorrere disinvoltamente alla locuzione “restaurazione militare”, siete voi consapevoli della realtà in cui essa si instaura? Ovvero, avete la misura effettiva della mancanza totale di alternative – compresa quella di Sabbahi – oppure tale mancanza vi pare ininfluente al fine di un giudizio sensato sull’Egitto? 4) E se l’alternativa che voi rivendicate – non essendo quella rivoluzionaria in senso stretto, di fatto priva di concreta organizzazione partitica – è quella islamista, siete consapevoli del carattere eversivo che ha rappresentato durante un anno di presidenza Morsi o vi fate bastare l’aspetto esteriore delle “elezioni democratiche” (che tali non furono)?

Ripeto, non risponderò in vostra vece a queste domande. Ma sarei lieto se, tra queste vampe incandescenti, qualcuno usasse la delicatezza, quando scrive di Egitto, di considerarle cruciali. Perché davvero non se ne può più di categorismi, astrazioni e apriorismi. Non se ne può più di essere qualificati “militaristi” perché contrari a una governance islamista, “antirivoluzionari” perché realisti e devoti alla Realpolitik o addirittura “islamisti” o “Fratelli musulmani” se avversi alla giunta militare e ad Abdel Fattah El-Sisi. Non se ne può più di veder ricadere nella solita dicotomia bushiana (“Or you are with us or you are against us”) chi semplicemente si misura con la realtà e non con i suoi sterili paradigmi.

 

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6 Commenti

  1. Tutto vero. El Sisi non può illudersi di durare quanto Mubarak. Però è anche vero che Sadat pensava di durare quanto Nasser, durò meno e Mubarak durò più di lui proprio perché gli egiziani non vollero consegnarsi a chi faceva politica organizzando attentati. Manco dall’Egitto da troppo tempo per lanciarmi in predizioni, ma credo che la primavera araba abbia assoluta necessità di un leader. Il che è pericoloso.

  2. E’ inspiegabile come si possa deprecare il “carattere eversivo” del governo Morsi, nell’attuale situazione.
    Il contenuto informativo di questo articolo è zero. Speriamo sia utile almeno ai giornalisti.

  3. Dondolate e gongolate, El sisi non e altro che un Ladro, un assassino del suo popolo, ma non vi vergognate!? Ne ha uccisi oltre tre migliaia in un giorno, dal giorno del golpe quasi 17 uccisi per ogni giorno , ha rinchiuso in prigione oltre 24000, sono andati a votare meno del 15% dei aventi diritto. Ma il presidente di quei paesi la devono lavorare per il loro popolo o per lei, perché se deve lavorare per lei alloro si riesco a capire quello che ha scritto e perché ha scritto in questo modo da sembrare che parli ai marziani. El sisi è il vero terrorista, vorrei vedere un militare fare in Italia quello che lui sta facendo in Egitto. La verità ha solo una di faccia, la ipocrisia tante. Adesso capisco perché tutto questo odio verso Li islamisti, sono molto migliori. Elezioni democratiche e loro vincono, e voi li buttate giù, e se non va bene li mandiate anche qualche guerra, con vari scenari creati da ………..
    Chi scava una fossa per altri arriverà
    il giorno che sarà lui a finire dentro.

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Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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