‘O Strega! : Bella mia (Elliot) Donatella Di Pietrantonio
Elliot e le storie tese
di
Francesco Forlani
(Nota al sesto dei dodici romanzi candidati al Premio Strega 2014)
Un peccato, avere privato dei primi due versi la poesia che apre, in esergo, il secondo romanzo di Donatella Di Pietrantonio; davvero un peccato, avere preferito, per il titolo, alla frase abbruzzese originale, L’Aquila bella me, te voglio revete’, quella italiana ph neutro, Bella mia. La citazione davvero molto bella di Mariangela Gualtieri, tratta da Fuoco centrale, (Torino, Einaudi 2003, p. 41 ) recita così: Una volta ero piccola, ero senza parole. Ero piccola e senza parole. Una volta ero molto leggera, pesavo pochi chili. Una volta c’erano solo tre o quattro chili di me, solo pochi chili di me, solo pochi chili avevano il mio nome.
Un peccato che a lettura finita si rivelerà pertanto necessario; un romanzo così corrisponde in realtà a quel mondo letterario parallelo, abitato da migliaia di libri e lettori e di cui ci arriva una debole eco ogni volta che entriamo in una libreria, lasciando che lo sguardo s’involi sui titoli dei romanzi esposti senza cedere all’automatismo attratto dai soliti segni: le copertine pastello dell’Adelphi, le cartonate dell’Einaudi e della Mondadori, le blu di Sellerio o le ultime, magnifiche, sbarcate in libreria di Sur. Generalmente un certo tipo di lettore, diciamo pure lettori come noi, quei titoli, non sempre a ragione, non li riconoscerebbe nemmeno; alla maniera dei giacobini con i blasonati dell’ Ancien Régime è convinto che la letteratura, la vera letteratura, sia altrove. Ma è davvero così? Quello che posso dire con certezza è intanto questo: primo, se non mi fossi imbarcato in questa impresa della lettura e ricognizione dei dodici libri candidati allo Strega, io questo libro non lo avrei mai letto; secondo, le osservazioni fatte all’inizio sul verso sottratto, la lingua tradita del titolo, confortano proprio l’appartenenza a quell’altro mondo, alla visione che ne traccia i contorni e riassumibile in una sola formula: “si vede e non si vede”.
La vicenda racconta di una donna che all’Aquila, il 6 aprile del 2009, perde la sorella gemella durante il sisma; sopravvissuta con la madre si fa carico del nipote. Il padre, musicista, separato da prima della tragedia e residente a Roma, non riesce a stabilire con il figlio adolescente il benché minimo dialogo. Il romanzo cerca allora di esplorare le psicologie dei diversi personaggi alle prese con lo stesso lutto e soprattutto elaborazione che dovrebbe salvarli dalla disperazione. Assenza, disparizione, rivoluzione del paesaggio con la diserzione in massa e obbligata da una città capitale, un luogo dell’anima per quanto dura e per certi versi inaccessibile. Lo stile dell’autrice invece è piano, fluido, piacevole anche se nella prima parte indugia in certi lirismi che stridono sulla pagina, creando inutili smottamenti di terreno per la frase altrimenti sobria e perfino elegante.
Dalle prime pagine, senza capire all’inizio il perché, ho pensato al settimanale Intimità. Mia madre lo comprava ogni mercoledì e per il resto della settimana dominava sul comò della camera dei miei insieme a Panorama e all’Espresso a cui mio padre era abbonato. Che rapporto ci sarà mai tra Intimità e uno dei dodici romanzi candidati allo Strega? Pochi sanno, di certo non le lettrici del settimanale, che il successo della rivista è legato alle narrazioni in esso contenute. Com’è scritto nella nota stampa: nata nel marzo 1946, pubblica ogni settimana racconti che traggono spunti dalla vita di tutti i giorni e rubriche con un taglio pratico, di servizio e di attualità. Su ogni numero di Intimità sono presenti 10 storie vere, 2 romanzi di evasione e servizi che spaziano dalla moda alla bellezza, cucina e turismo. Rivista la cui tiratura media è di 364.602 copie.
La maggior parte di quei lettori compra Intimità per le storie e chissà perchè, ho pensato che queste fossero scritte alla stessa maniera del romanzo in questione. Così, man mano che proseguivo nella lettura, in quella scrittura trasparente, in quell’universo semplificato, intimo, com’era, rinchiuso per lo più tra gli interni, e poco per strada, sentivo crescere in me la curiosità su chi potesse mai leggere i racconti di Intimità, in generale, facendo astrazione di quanto sapessi di almeno una di loro, mia madre, ma anche la consapevolezza della fortuna che gli autori di quelle storie avevano nel ritrovarsi settimanalmente così tanti lettori.
Donatella Di Pietrantonio parrebbe volere, attraverso i suoi personaggi, tendere una corda, cartografare la distanza tra l’antica casa d’origine, semidistrutta, custodita da fragili lucchetti e la nuova casa, delle C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili) e lo fa talvolta esitando troppo tra una lingua ancestrale, autentica, che profuma di comunità e una nuova, asettica, in cui ogni slancio vitale sembra neutralizzato per sempre.