‘O Strega! : Non dirmi che hai paura (Feltrinelli) di Giuseppe Catozzella
Sublime\Samia
di
Francesco Forlani
(Nota al terzo dei dodici romanzi candidati al Premio Strega 2014)
Quando si conoscono persone di altri paesi, di altre lingue, viene sempre spontaneo chiedere cosa significhi il loro nome. Perché i nomi, al di là o grazie al suono che portano, spesso nascondono nella propria etimologia un significato che non sempre, ma spesso, traduce insieme all’augurio un destino. Samia, in arabo, significa sublime, elevata, vicina a Dio. La matrice è ovviamente religiosa ma quando ho terminato la lettura del libro di Giuseppe Catozzella, è alla categoria estetica che ho pensato, alla sua distanza dal bello, dalla dimensione pacificatrice a cui certe cose, un libro, un quadro, una musica, appartengono e che trasmettono in forma di piacere, conforto. Ho pensato dunque alla storia di Samia come a una storia sublime e a come la parola paura ne fosse, tradizionalmente, filosoficamente, il fondamento. Senza paura non può esserci sublime, e di tutte le paure possibili in qualsiasi esperienza vitale, quando diciamo sublime, si tratta di paura della morte.
“Non dirmi che hai paura”, ingiunzione che si trasmettono fin da bambine le due sorelle somale Hodan e Samia Yusuf Omar, come un grigri, talismano, portafortuna, si inscrive così in un naturale gioco di specchi che coinvolge oltre alla minuta e coraggiosa protagonista della storia, e del romanzo, il lettore-spettatore, ma soprattutto l’autore. La scelta della prima persona, l’immedesimazione da parte di un reporter milanese in un corpo che aspira alla levità, alla sottrazione di ogni gravità per diventare vento e correre più veloce di tutti, è inimmaginabile in un contesto diverso da quello della paura. La storia in cui si imbatte Giuseppe Catozzella è una storia che nell’estate del 2012 ha fatto il giro del mondo. A pochi giorni dalla tragedia che coinvolse un vecchio peschereccio al largo di Lampedusa provocando la morte di diversi migranti d’origine somala, pubblicammo su Nazione Indiana la disanima, precisa e struggente che ne aveva fatto Igiaba Scego su Pubblico.
Tutte le “figure del dramma” erano in campo a cominciare dal vecchio campione somalo Abdi Bile, che chiede: “sapete che fine ha fatto Saamiya Yusuf Omar?” E sappiamo dall’autore stesso che fu proprio questo racconto a far nascere in lui il desiderio di dare ad ognuno di quei frammenti una storia in grado di salvare dall’oblio, più che la morte, la vita della giovane atleta. Nel romanzo si racconta come i sogni prendano forma; in che modo vecchi ritagli di giornale dedicati ai campioni poveri dell’atletica ravvivino la fiamma di un’ambizione che trascende il singolo per diventare voce di popolo oppresso, riscatto femminile; in quale maniera questi possano sopravvivere al cambio di paesaggio interiore, bambina e poi donna, ed esterno, sia che si tratti di eventi politici come la guerra a sbrecciare le facciate delle case, o naturali, dalla città al deserto fino al mare. Tutto è in una frase che il padre consegna alle figlie nella prima parte:
” Figlie mie, tutto ciò che fino a ieri era normale, oggi è complicato”
Per raccontare il complicato viaggio di un sogno, solo una sensibilità straordinaria come quella di Giuseppe Catozzella poteva riuscire a non cadere nella trappola del desiderio di successo editoriale passando su tutto e tutti, in cui scivolano, va detto, molti dei narratori italici under 40. Sicuramente incoraggiato dalla delicatezza con cui Fabio Geda aveva raccolto la storia di Enaiatollah Akbari, per il romanzo documento Nel mare ci sono i coccodrilli , la sensazione che ho avuto è stata che “quella paura” di cannibalizzare l’altrui sofferenza, sia stata una presenza costante e necessaria, riuscendo a guidare l’autore nel passo e nel tono, a lasciare intatto il respiro della vera protagonista, di fare in modo che il “doppiaggio” della voce non sacrificasse sull’altare della narratività o peggio ancora, dell’editorialità marketing la VO di Samia. Un libro, verrebbe da dire a questo punto, che dovrebbe vincere lo Strega? Avrebbe potuto se l’autore a partire dagli ultimi capitoli non avesse smesso di avere paura. Nel finale il sogno dell’autore, dai contorni incerti ed esageratamente lirici, prende il sopravvento sul sogno originario, scuote la fragile barca sospesa in mezzo al Mediterraneo, nella cui deriva rimangono a filo d’acqua due fotografie in bianco e nero, quella di Samia e dell’amata e mai incontrata nipote, Mannaar.