‘O Strega! : Unastoria ( Coconino Press/ Fandango ) di Gipi

paz
Disegno di Andrea Pazienza

Plus compliqué que ça 

di

Francesco Forlani

(Nota al secondo dei dodici romanzi candidati al Premio Strega 2014)

Per questa edizione dello Strega ci sono, tra le altre, due notizie degne di nota. La prima, bbuone, è che per la prima volta un\una graphic novel sbarca nel più importante premio letterario italiano. La seconda, malamente, è che per la prima volta un\una graphic novel sbarca nel più importante premio letterario italiano. Soffermarsi sulla notizia rischia di farci perdere di vista il vero oggetto di questa lettura, ovvero un’analisi dell’opera per quella che è, a prescindere dal contesto eccezionale in cui è stata presentata.

Cominciamo allora dal titolo:  Unastoria, tuttoattaccato. In realtà le storie sono almeno due ma sarà proprio nella sovrapposizione, identificazione delle due guerre, mentale quella dello scrittore Silvano Landi e reale del bisnonno Mauro al fronte, che la storia diventa una . Più bello, al di là della dimensione evocativa e più vero, in senso letterario, quello scelto per l’edizione francese:  Vois comme ton ombre s’allonge. (Vedi come la tua ombra si allunga). Anche la copertina cambia e se in quella francese prevale l’idea di un piano sequenza, in quella italiana un albero spoglio, senza più foglie, quasi capovolto per come i rami suggeriscano l’idea di radici, emana una luce quasi metafisica. Un albero e un distributore di benzina sono i due totem con cui Gipi traccia la frontiera del racconto, della storia che anima il delirio del protagonista, Silvano Landi, scrittore alla soglia dei cinquant’anni e “caduto fuori” dalla natura, come ha rivelato Gipi in un’intervista. Nella caduta che trascina con sé la sua storia d’amore, di padre, di autore, l’unica ancora di salvezza è la storia dal fronte della prima guerra mondiale del bisnonno Mauro, e più particolarmente la corrispondenza che ne ripercorre la paura e la voglia di vivere.

Due guerre allora, con generali sparsi sui rispettivi campi di battaglia, sia che indossino un’uniforme o un camice da medici, e a colpire le pallottole di una Maschinengewehr o una pillola di Bituprozan; entrambe le armi sembrano essere state inventate per “velocizzare le cose”.

Couv_205839La storia sembra quindi, nel suo corso inesorabile, macinare vite, alimentarsene quasi a sancire il ritorno delle cose alle cose, della natura alla natura, lasciando agli esseri viventi solamente una presa di consapevolezza spesso risolta con un’arte dell’oblio, un accecamento volontario. Il turbinìo di immagini, il grande talento del fumettaro Gipi, l’assordante visione dei suoi cieli tolgono il respiro in più di una pagina e l’esperimento, per quanto controllato, di mettere in campo il terribile gioco di forze che solo una guerra può e deve prevedere, raggiunge a mio parere il suo obiettivo.

Cosa manca allora a questo\a graphic novel per essere un romanzo e vincere lo Strega?

Scrive Milan Kundera nell’Arte del romanzo :

Che cos’è il romanzo? Dice un bellissimo proverbio ebraico: L’uomo pensa, Dio ride. Prendendo spunto da questa massima, mi piace immaginare che François Rabelais abbia udito un giorno la risata di Dio, e che sia nata così l’idea del primo grande romanzo europeo. Mi diverte pensare che l’arte del romanzo sia venuta al mondo come eco della risata di Dio.

Ma perché Dio ride guardando l’uomo che pensa? Perché l’uomo pensa e la verità gli sfugge. Perché più gli uomini pensano, più il pensiero dell’uno si allontana dal pensiero dell’altro. E infine perché l’uomo non è mai ciò che pensa di essere. E appunto all’alba dei Tempi moderni si manifesta questa situazione fondamentale dell’uomo, uscito dal Medioevo: Don Chisciotte pensa, Sancio pensa, e ad entrambi sfugge non solo verità del mondo, ma la verità del loro stesso io. I primi romanzieri europei hanno colto appieno questa nuova situazione dell’uomo e su di essa hanno fondato la nuova arte: l’arte del romanzo.

Certo si può essere d’accordo o meno con il romanziere, e non a tutti  potrà piacere quanto c’è di “massimalista” in quella che sembra una massima secondo cui, imprescindibile per un romanzo, è la scomparsa dell’autore a beneficio dei personaggi; certa mi sembra  una cosa, però, a prescindere dall’orientazione estetica e dalle playlist letterarie di ciascuno ed è che un romanzo non sarà mai una risposta, dal punto di vista dell’autore. Un vero romanzo è quello che riesce proprio attraverso l’unicità dei personaggi e delle situazioni che ne determinano scelte, omissioni, verità o menzogne, a tessere una tela di ragno in cui l’unico a poter giocare la parte della mosca è il lettore; l’unico a poterne testimoniare la verità sarà sempre e soltanto lui.

Questo/a magnifico/a graphic novel di Gipi, invece, non sovrasta né il proprio autore, né il passaggio all’atto grafico dei suoi pensieri, a differenza di altre opere come Maus di Art Spiegelman, l‘Eternauta (Héctor Oesterheld/ Francisco Solano López), RanXerox (Tamburini/Liberatore) per citarne solo alcuni, la cui solidità romanesque, per le ragioni evocate, è inopinabile,

Dammi risposte complesse” leggiamo all’inizio e a fine lettura ci rendiamo conto che si trattava soltanto di domande complicate.

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6 Commenti

  1. Mah. A me sembra che il piccolo brano di Kundera alluda più alla scomparsa dell’autobiografismo (soprattutto quello implicito) che a quella dell’autore. Si può persino raccontare di sé, cioè facendo coincidere un narratore/personaggio con l’autore, senza esprimere le certezze di tale autobiografismo.
    A me pare che Gipi non cada in questa trappola, né qui, né nelle opere precedenti (molto spesso esplicitamente autobiografiche – ma sempre incerte quanto ai giudizi sul mondo che se ne dovrebbero trarre). La cosa buffa è che ieri ero sul punto di scrivere un articolo in cui si sostiene esattamente la tesi opposta a quella che si sostiene qui, cioè quella della scomparsa (o perlomeno del nascondersi) dell’io come principio unificante del testo, nel romanzo di Gipi.
    Quanto al paragone con “Maus” (occhio al refuso, che lo fa sembrare Marcel), “L’Eternauta” e “RanXerox”, a me sembra che solo il primo regga alle condizioni di Kundera – e siccome anche gli altri non sono niente male, forse queste condizioni non colgono davvero nel segno.

  2. thanx, in fondo anche quello è un dono. effeffe ps cerco di risponderti sul resto quanto prima

  3. Caro Daniele,
    provo a risponderti nel merito.
    L’autobiografismo tout court, non costituisce affatto la linea di demarcazione tra romanzo e non romanzo, ma come scrivi anche tu, nell’uso che se ne fa nella narrazione di certi dispositivi, in quel che accade veramente nella storia sempre che qualcosa accada. Facciamo un passo indietro. La domanda originaria era: può un\a graphic novel partecipare a un premio letterario dedicato a opere in prosa? Risposta: sì a condizione che questo\a abbia una tale e forte matrice romanesque da giustificarne la presenza. Seconda domanda: Unastoria ha queste caratteristiche? Scondo me no e mi pare di aver capito che invece per te, è il caso. Secondo me la forza del segno di Gipi è ben al di là o al di qua, della dimensione narrativa. Uno solo dei suoi cieli varrebbe centinaia di pagine senza che nemmeno sia scontato il successo di questa eventuale traducibilità. Unastoria, converrai, è spesso pittura alla stato puro e la sua messa in relazione a opere di narrativa non può che sortire lo stesso effetto della presenza di un romanzo di Moresco al Grand Prix de la ville d’Angoulême. A meno che, a meno che Gipi non si prendesse la briga di tradurre I canti del caos in BD e allora ci augureremmo perfino che vincesse. Quando dico che Maus o l’eternauta avrebbero potuto partecipare non è per neutralizzare l’enorme carica eversiva del segno, il loro essere anche pittura, ma sentire l’extra autorialità della storia, il romanzo, come predominante, solida la sua tessitura linguistica al punto che se alle due opere citate venisse come per un sortilegio eliminato il lettering risulterebbero molto più incomprensibili del lavoro di Gipì, che, a mio parere, come per un quadro, delle parole potrebbe farne a meno. In questa autonomia del segno io sento l’ingombrante presenza dell’autore. Non so se mi sono spiegato, ma è una cosa così. effeffe

    • Caro Francesco
      capisco e rispetto la tua posizione. Ma dal mio punto di vista, nella straordinaria capacità narrativa di Gipi ci sta anche il fatto che il suo segno grafico (a differenza di quello di altri ottimi disegnatori) è straordinariamente funzionale al racconto. Non lo è del tutto, è vero; ma questo potrebbe essere detto anche dello stile di scrittura di straordinari romanzieri, come Proust, o persino Cesare Pavese, del cui “Il compagno”, anni fa mi divertivo a leggere le pagine seguendo il ritmo delle parole come se fossero versi (i versi grossomodo tredecasillabi di “Lavorare stanca”), e funzionava. Ora, io non credo che Pavese abbia nascosto intenzionalmente quel ritmo nelle sue frasi; e in questa autonomia dello stile sento un qualcosa in più, non in meno; perché resta sempre possibile al lettore non accorgersene affatto, e leggere quelle parole in maniera unicamente funzionale al racconto.
      Io credo che ci sia sempre dell'”in più”, nei romanzi di fatto; ma è quando quell'”in più” diventa invadente e non si spiega nella logica complessiva, che il romanzo ha dei falli.
      Non trovo che questo accada in Unastoria, anche se certe immagini sono autonomamente suggestive. Se accettiamo il principio di fondo che un romanzo possa essere anche “per immagini” (e il punto è tutto lì – però ammettendo Gipi tra i dodici finalisti, la giuria ha già accettato il principio) allora il principio di coerenza complessiva funziona allo stesso modo: e uno scrittore troppo “poeta” dovrebbe essere escluso come uno troppo “pittore”, dove il “troppo” sta per quanto ho spiegato sopra: una dimensione che non si integra con l’insieme testuale, uno sbilanciamento locale al di fuori dell’equilibrio complessivo. In questo sbilanciamento, indubitabilmente, si nasconde l’autore e la sua soggettività e l’autobiografismo implicito cui facevo riferimento nel precedente commento. Lo sbilanciamento non c’è in Maus né ne L’Eternauta; ma in RanXerox magari un po’ sì, con tutte le sue qualità.

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
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Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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