Oggetti smarriti
di Mario Sammarone
Oggetti smarriti. Perché sono oggetti e perché sono smarriti. La sofferenza arriva quando, riguadagnata la loro soggettività – dunque non più oggetti – sentono il graffio della vita. Sono i personaggi di Lea Chiabrera, riuniti nel libro edito da Empiria. Racconti dissimili nel risultato: alcuni più riusciti, altri che restano più indistinti, ma tutti con una loro vita autonoma tracciata un po’ sotto tono.
In questa raccolta c’è l’impalpabilità delle cose quotidiane, con piccoli avvenimenti che possono essere, come nel racconto “Un cane”, satori della normalità come la semplice scomparsa del proprio cane, ma con quale finale. Il povero animale ha una vita propria: è descritto nelle sue fantasie canine, è vivo, limpido, fiducioso – sogna acque fresche di fontane agli angoli di strade da percorrere di corsa. Ma il padrone lo tratta con una brutalità immotivata, imponendogli per giunta il nome di un robot, anche se il vero robot alla fine sarà proprio lui, schiavo delle sue aggressività, insicurezze, manie. Il povero cane ci scompare sotto gli occhi mentre leggiamo, ma con la consapevolezza di un buddha della sua triste fine.
In un altro racconto, L’antro, si sente molta autobiografia, l’urgenza della scrittura e di quando essa, diventata dovere, perde qualcosa della sua incosciente bellezza. Molto di più di un semplice viaggio e di un incontro parla In viaggio dove, pur dalla distanza di due culture e mondi diversi, due viaggiatori si incontrano e iniziano a raccontarsi i propri pensieri sulla vita e sulla morte, talvolta inventando ed abbellendo ciò che non è realmente accaduto: non sempre ciò che è vero piace; ciò che è vero, si riesce ad accettarlo solo facendone racconto per gli altri, facendone Mito.
Il racconto più articolato è Mosaico che, sotto l’andamento tranquillo di una storia semplice, apre una vertiginosa visione su cosa sia l’Arte: il ritrovamento di due tessere di un mosaico di Vasarely, conservate gelosamente per anni e caricate dunque di un significato simbolico. Il loro proprietario è un personaggio scostante, appartato, che vive circondato dal bello e colleziona opere pregevoli; ma grazie al ritrovamento delle tessere, in lui esplodono una serie di ricordi che gli faranno realizzare che l’isolamento è morte, e che l’Arte è vita. L’asfissia della solitudine non può dare che aridità di ideali, specie per chi ha consacrato la sua esistenza alle forme del bello. Sembra un invito alla condivisione, in questi tempi di social network!
Sono tutte storie minime, con scorci di profondità inaspettati e aperture illuminanti come ne La battona, in cui la protagonista si trasforma da prostituta a food advisor, esperta di cucina, in una nuova carnalità da vivere con onesta serietà, come del resto era vissuta la precedente vita da battona. Nel racconto L.V., il famoso detto che, con un battito di ali, una farfalla possa cambiare l’andamento degli avvenimenti, è trasposto in un’altra dimensione, in cui l’amore, o la sua mancanza, possono riscrivere le sorti di una vita o il destino di una città. Conseguenze di Eros e della sua potenza demiurgica.
Oggetti smarriti ci fa meditare se la vita sia un gesto isolato o sempre espressione di una comunità, in cui ognuno è tenuto a prendersi cura di sé e degli altri. E allora anche lo scrittore, con la sua carica immaginale, deve essere punto di riferimento e influenzare la società verso il bene comune.
Incipit – che a dispetto del titolo menzioniamo alla fine – ci racconta come la letteratura sia un’esca, un filo da seguire per spiegare a noi stessi le trame di cui siamo fatti, aiutandoci a decifrare i nostri labirinti interiori; il racconto sembra suggerirci, quasi con saggezza esoterica, che scrivere, e leggere, è come un vivere più denso in cui troviamo maggiore coscienza di noi stessi.
In Francia, Pierre Hadot ha parlato della filosofia come cura di sé; oggi proponiamo la letteratura come cura per la coscienza, come una terapia di cui abbiamo terribilmente bisogno in questi nostri tempi ammalati. E, in effetti, Oggetti smarriti può essere un buon farmaco.
“Scrisse come se non dicesse niente. E disse tutto.”(Eduardo Galeano su Anton Cechov. I figli dei giorni)