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La riforma che riduce la disoccupazione

di

Livio Borriello

(pubblicato su laquinzaine N°6 Indypendentemente

 

 

1

l’allestimento prospettico del mondo.

la mia presenza nel mondo è pesante, violenta.

io sconvolgo l’esistenza neutra, silenziosa, lenta delle cose.

il fatto che io esista è incalcolabilmente più denso del fatto che esista quel tetto.

la mia presenza nel mondo è un evento decisivo.

ciò che rende decisiva la mia presenza, è che io coincida con il luogo dove sono.

qui c’è carne, una congerie molle, rosacea, umida, massiccia. dunque io sono immerso e coincido con una carne, con questa carne.

 

2

tu sei memoria. la memoria tecnica di un istante fa, e quella romantica della tua infanzia. il tessuto che costituisce un’individualità, è un tessuto di tempo digerito, e trasformato in linguaggio. tu non sei in te, in te sei solo un morto, il morto che coincide col tuo corpo. la tua armatura, il tuo sviluppo, è fatto dei minuti, di questo materiale fatiscente e invisibile, che qualcosa (soggetto) allucina, dei minuti toccati al tuo corpo, così come esso li ha trattenuti in qualche forma ancora non chiara alla logica. quando il corpo sente la loro profondità, e la loro irreversibilità, i ricordi lancinano. dunque tu sei fatto di questa vertigine inaccettabile e inconoscibile, e puoi sopravvivere solo se la neutralizzi, se la mineralizzi, se la lasci nel corpo ad agire meccanicamente. i moti muscolari e chimici intanto ti incalzano, e producono incessantemente – sulla cresta del presente – nuovo passato, nuovo L.. sei una macchina che produce passato, che produce memoria, che ti produce. e questa è l’unica cosa che sei, che sei individualmente – questa operazione sul tempo.

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3

se questo è il passato – se tutto finisce in questa voragine– io ho diritto alla più feroce, più violenta, più dissennata felicità. nessuna felicità ci ripagherà dello sprofondamento della vita.

i fiori di carne delle donne, che sbocciano nel limo del grigio pomeriggio piovoso. il tepore, la nudità, la motilità, l’organicità  delle carni.

le psichi invece sbiadite, rattrappite, marcite, asfissiate nelle loro lingue.

poi ci sono io, cosa delle cose, cosa dal cui interno si esiste.

 

 

 

4

altri, ci sono nel mondo, in una situazione stranamente simile alla mia

 

5

fra me e gli altri, il mondo si alleggerisce, diminuisce. prima che il mondo da che era me sia un altro, si attraversano estesi spazi insignificanti, poco significanti. fra me e l’altro c’è l’aria.

questo, mi impedisce di sentirlo bene. io sono sempre io, e anche lui.

tutti sono “un altro essere”, senza saperlo, anzi un dio – scivolante fra le vetrine, un dio che compra la pizzetta,  in quanto hanno ben complicato la polvere che erano. noi siamo questa congerie di aria, di suoni, di macelleria e di intenzioni, di cui una frazione infinitesima compra una pizzetta – 1 euro e mezzo – segno che esiste il reale, prova contabile e funzionante. e dopo era passato pure un minuto!!

il fatto che io mi sia infine depositato in me, è del tutto casuale. il corpo dell’altro, mi assicura la scienza, è fatto con strutture e liquidi e umidità e fori e pori e dinamismi straordinariamente simili ai miei.

ma le sue braccia, non obbediscono  al mio comando, il segnale dovrebbe arrivare troppo lontano, attraversare troppi valichi e barriere.

io non sento il suo dolore.

io non godo il suo orgasmo.

se è mio figlio, se mi innamoro, onde si ripercuotono fra me e l’altro, e rendono molti più intensa la rispondenza. quasi mi sembra di essere dal suo corpo. ma non è proprio così, e poi dura poco…

 6

e tuttavia,  se io metabolizzo questo sentimento, se io mi posiziono in quello stesso punto e in quello stesso istante in cui tutto coincide, se io mi concentro in me fino al punto in cui dileguo, se mi esproprio, se mi sporgo dal mio orlo, se colliquo dal mio contorno, se affino la carne fino a sentire la pastosità e la conduttività dell’aria, se mi ricordo del mio non essere ancora – del mio non essere mai stato – se sbaglio ad essere stato, se vacillo dai suoni e segni della mia lingua, io posso sentire, come una risonanza, come una ripercussione, quello che diversamente, che altrimenti sono. ci sarà un giorno in cui il dovere sarà il de-habere, il non più essere. ci sarà un giorno in cui sentiremo il dolore di denti del nemico, e godremo della carezza nella sua mano.

 7

questo è per me l’atto politico più urgente, la riforma che riduce la disoccupazione.

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9 Commenti

  1. bello e “corposo”…
    : )
    dalla sezione 1 estrapolo che io esisto perché sudo e puzzo molto più di un tetto.
    dalla 2 estrapolo che tra l’io e il tu passa un salto di sezione e che tu esisti il tempo di un linguaggio (pertanto è bene avere memoria di ciò che sei perché il mondo è pieno di sette e bisogna fare attenzione: ciò che credi sei stato, ma lo stato sociale è spesso sovrascritto, come la memoria, mediante un’operazione chirurgica sul tempo, quindi…)
    dalla 3 e 4 estrapolo che io e gli altri (c’è una certa somiglianza) potremmo contare su una fisicità maggiore e fare corpo tutti insieme
    dalla 5 estrapolo che però purtroppo, com’è evidente non siamo né un unico corpo né un unico sempre nuovo passato (di verdura oltre che in brodo primordiale di carne)
    dalla 6 estrapolo la ricetta proposta da Livio per il minestrone di carne e di verdure. provare a prendere posizione a cavallo del limite, sfruttare la coincidenza di un treno di pensieri per andare da qualche altra parte insieme a segni passeggeri, occupando lo spazio-tempo in un viaggio/corteo che scenda in piazza e manifesti contro l’essere.
    dalla 7 estrapolo che forse non ho capito niente, onde per cui vado a suicidarmi abbracciando il non essere così da ridurre di una unità il numero dei disoccupati. oppure, se non dovessi averne il coraggio, emigrerò all’estero.
    in ogni caso, mille volte meglio la filosofia di Livio rispetto a quella jobsactiana del Renzi che strizza l’occhio alla flessibilità del modello tedesco e ridistribuisce *il lavoro* (precarizzandolo al punto da richiedere fondi sociali aggiuntivi) ma non certo la ricchezza. tra queste righe, invece, almeno a livello letterario, di ricchezza ce n’è davvero tanta…

  2. grazie malos, hai estrapolato dal pezzo tutto l’estrapolabile e anche l’inestrapolabile… che aggiungere? come sai non credo che il male siano né renzi né i tedeschi (semmai sono un non-bene…)… il succo, o un succo dello scritto è cmq che sì, non si può non agire anche sull’immediato, ma bisogna contemporanemente lavorare anche sui livelli più profondi…se no il lavoro, la ricchezza, la giustizia continueremo a levarla da una parte per metterla dall’altra…

  3. La cosa che mi è piaciuta di più è la coincidenza tra la dis-occupazione come stato mentale, corporeo, percettivo, esistenziale, e la disoccupazione reale, e il carattere radicale (leggermente anestetizzante), delle conseguenze di entrambe. E poi, sottotraccia, l’idea che la politica dovrebbe occuparsi di vivi, non di morenti, smettere di fornicare col proprio particolare, e riguadagnare un po’ di prossimità, di solidarietà, e di pensiero.

  4. per Livio B.
    dalla Sala del Trono della Reggia di Caserta, effeffe mi conferma che delle otto versioni tutte originali è stata pubblicata la settima più sobria nella dimensione fenomenologica, rispetto all’ottava dagli echi bizantini e tardo latini
    francesco

  5. per Livio B.
    dalla galerie des Glaces dello Château de Versailles Francesco mi conferma che delle otto versioni tutte originali è stata pubblicata la settima più sobria nella dimensione fenomenologica, rispetto all’ottava dagli echi bizantini e tardo latini
    effeffe

  6. ah bene, quindi NI manipola i testi e discrimina la linea ellenobizantina e tardo latina a favore della linea fenomenologica… questo spiega molte cose… immagino poi se avessi mandato la versione zotico-irpina che era l’originale degli originali…

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
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Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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