Appunti di scena
(un mese fa Piero Sorrentino mi aveva spedito questi appunti. Per problemi miei non ho trovato il modo di pubblicarli, lo faccio ora e mi scuso per il ritardo. G.B.)
di Piero Sorrentino
L’ultimo, animato dibattito sullo stato del teatro, delle sue istituzioni e della critica teatrale risale solamente a qualche settimana fa, quando, al Piccolo di Milano, Luca Ronconi e Franco Cordelli hanno discusso in pubblico sul tema “I critici e i pubblici”.
Alcuni brandelli dei discorsi di quell’incontro milanese sono emersi anche in un altro dibattito, questa volta negli spazi della Fondazione Premio Napoli, nel corso di una conversazione a due tra Franco Cordelli e Andrea Cortellessa, nell’ambito del ciclo “Oligarchie implicite. La lingua morta della democrazia”, a cura di Gennaro Carillo.
Ancorché non cospicui, ricopio qui in forma di appunti sparsi e di note raccolte in corso di ascolto – un testo, dunque, per sua natura frammentario e poco organico, di cui mi scuso – alcune delle considerazioni dette da Franco Cordelli a proposito del teatro, della critica teatrale, dello spazio che le è riservata sui media. Non vaghe e generiche discettazioni sul senso o sull’attualità della critica, di cui abbiamo letto e sentito fino a sazietà, ma un ragionamento basato su esempi concreti e dati pratici che, per vie traverse, conduce ugualmente a faccia a faccia con le questioni che riguardano la legittimità, il senso e le finalità del lavoro culturale.
In Germania esistono circa 390 teatri stabili. In Italia, 18. Dunque, ogni media o piccola provincia tedesca finanzia, con denaro pubblico, istituzioni teatrali, compagnie, maestranze. Da noi, il circuito degli Stabili, oltre che minuscolo, ha creato una situazione pressoché autistica, in cui quei 18 teatri si scambiano vicendevolmente le produzioni, di fatto cancellando completamente dal panorama una massa enorme di compagnie, attori e attrici, registi, drammaturghi che non possono materialmente accedere alla platea degli Stabili, in pratica condannandoli all’oblio.
I direttori dei due principali quotidiani italiani, La Repubblica e Il Corriere della Sera, da qualche tempo in qua hanno iniziato a non pagare più le trasferte – o, nel migliore dei casi, ne hanno ridotto sensibilmente le quote – ai critici e ai giornalisti culturali. Se c’è da andare da Milano a Castrovillari per assistere a un festival, il biglietto te lo paghi tu. Inoltre, i direttori impongono alle proprie firme di non accettare nemmeno le ospitalità offerte da Festival e teatri (di solito, viaggio, vitto e alloggio anche per più giorni). “È un discorso non del tutto privo di senso – dice Cordelli – Per quel che mi riguarda, non accetto mai le ospitalità dai privati, ma perché non dovrei farlo se a propormelo è un’istituzione pubblica?”
A quanto pare, alla direzione del teatro di Roma andrà Alessandro Gassman, il quale, molto probabilmente, si vedrà costretto a rinunciare, visto che il budget previsto dal Teatro di Roma per il prossimo anno ha subito una decurtazione del 90% dei fondi stanziati appena l’anno prima (fondi, a loro volta, già pesantemente tagliati). Dunque, con qualche spicciolo in cassa, che programmazione si potrà mai attuare?
Morto Franco Quadri, La Repubblica non ha più assegnato il ruolo di critico teatrale di punta a nessun altro. Lo aveva proposto ad Alessandro Baricco, il quale ha declinato l’invito.
Il declino del teatro di regia ha una ricaduta sensibile anche sul lavoro del critico e del recensore. Manca ormai del tutto una regia critica, una regia che sia anche una critica al testo: il regista è il primo critico del testo che affronta. La recensione è diventata un mero racconto del testo, ha rinunciato a dire la sua sui moltissimi altri aspetti della messa in scena, perdendo qualsiasi ambizione totalizzante che onori la critica fin nel suo etimo, quello legato a una scelta, a una separazione del grano del buon teatro dall’oglio di quello mediocre
Lo stallo in cui versa la critica teatrale si misura in maniera palmare con la diminuzione, che ormai lambisce lo zero, del numero dei critici cui pubblicamente veniva riconosciuta una autorevolezza. I critici parlano a piccole tribù, piccole comunità, che però a loro volta sono in guerra tra di loro, un insieme che si è sgretolato e la cui parcellizzazione è pienamente riflessa dallo stato della critica. Il discorso critico non passa più sui quotidiani, i quali riservano sempre meno spazio e attenzione al teatro. In Rete ci sono siti e riviste che fanno un buon lavoro, ed esistono buoni e ottimi critici giovani, tra i 30 e i 40 anni (Cordelli fa il nome di Simone Nebbia).
E se fosse che si prepara al congedo una cosa proprio smettendo di parlarne?(per esempio, in questo caso, perche` il teatro tiene acceso lo spirito critico e viva la cultura).Si accendano le luca. Buio in sala(su il sipario)