Motus. Nella Tempesta
di Areta Gambaro
Teatro Valle
3-4-5 aprile 2014
uno spettacolo di Motus 2011>2068 AnimalePolitico Project
ideazione e regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò
con Silvia Calderoni, Glen Çaçi, Ilenia Caleo, Fortunato Leccese, Paola Stella Minni
drammaturgia Daniela Nicolò.
Metti da parte la tempesta e dimentica pure che la tempesta è un testo di Shakespeare.
Metti da parte il Teatro Valle Occupato.
Metti da parte i pregressi dei Motus.
Non fare caso al tuo posto al terzo piano del secondo palchetto laterale.
Concentrati ora su questo volto che sbatte contro una parete molle. E sbatte. E sbatte. E sbatte. E sbatte. E sbat…
Accade di rado, nell’arco della propria vita, di essere toccati lì, dove spiegare ad altri qual é il punto esatto è impossibile. Proprio perché non c’è un punto preciso, ma c’è un Tutto.
Questo esserci non esserci di Silvia Calderoni. Questo entrare e uscire in un tempo perfettamente scandito da un ritmo attuale, dice molte cose. Tutte cose che restano anche in quel Tutto, parte da quel punto preciso in cui d’improvviso ti emozioni, motivo per cui lo spettacolo allo stesso tempo non dice.
È come stare davanti a un computer, aprire link, leggere, aprire posta, leggere e-mail, chiudere, guardare filmato, commentare filmato, condividerlo con altri su un social network, chiudere, riaprire il primo link, rileggere, copiare e incollare, aprire un programma musicale e ascoltare anche un brano. Riascoltarlo. È passata un’ora? Chiudere, spegnere, finire, pensare a quello che si è letto, ascoltato, visto, pensare.
Pensarci ancora, farlo entrare dentro di sé. Passare ad altro.
Ci sono cose di cui non si può parlare perché sono poesia.
Questo spettacolo è qualcosa di cui non si può parlare, solo esserci, portarlo dentro di sé, dimenticarlo dentro.
È un fulmine che squarcia. Un fulmine provocato e non subito. È quel fulmine il cui tempo è un attimo, ma anche un tempo indeterminato dato dal ricordo allungato, dilatato del fulmine, quel ricordo dimenticato che affiora per memoria dei muscoli alla vista di un altro fulmine in un altro momento. Anni dopo. In un altro giorno.
È un fulmine di una tempesta, che se non sai che la tempesta l’ha scritto Shakespeare, non fa niente, tanto ormai sei stato colpito.