Overbooking: Luca Rastello
Un libro a lettere chiare
Nota sul romanzo I buoni di Luca Rastello
di
Francesco Forlani
Dalla casa editrice milanese fondata nel 2007 e con un catalogo all’insegna della sua vocazione, saggistica e d’inchiesta, la nuova collana di narrativa, Narrazioni, ha fatto in questi giorni il suo debutto nel nostro panorama letterario. È da poco approdato in libreria Il primo titolo di Chiarelettere, I Buoni di Luca Rastello cui seguiranno altri due titoli: La figlia del Papa di Dario Fo e Il Direttore di Luigi Bisignani. L’eccellente prova narrativa di Luca Rastello rischia di passare tuttavia in secondo piano rispetto alla polemica che in questi giorni è scoppiata coinvolgendo diverse testate e autorevoli firme, per lo più di opinionisti e personaggi del mondo politico e sociale. Tranne rari casi, su tutti quello di Goffredo Fofi, non si sono lette critiche squisitamente letterarie; si è trattato il testo piuttosto come pretesto per difendere, d’ufficio per lo più, personaggi e associazioni riconoscibili nel romanzo e protagonisti di tutte quelle contraddizioni presenti nel mondo delle associazioni e di volontariato impegnate in cause umanitarie e principalmente intorno al tema della legalità. E questo sarebbe davvero il torto maggiore che si possa fare a uno dei migliori libri di narrativa scritti in questi anni.
“I buoni” raccontano una vicenda che si sviluppa attraverso tre parti, L’uomo dal paradiso, la Scuola di impietà e L’uomo dall’inferno, tre tempi differenti a cavallo del passaggio di secolo e soprattutto della frontiera tra oriente e occidente, con paragrafi veloci e prime righe in maiuscoletto a scandire il passo. La prima è stilisticamente efficace nel descrivere l’Underworld dei ragazzi di strada rumeni costretti a vivere e a drogarsi con colla di vernice nelle fognature di Bucarest, nelle vicinanze della celebre Gare du Nord; ragazzi ostinati a vivere nonostante la violenza che subiscono e da cui è possibile difendersi solo affiliandosi a bande dai codici stabiliti e ferrei come quelle di piccoli eserciti in guerra: la regola di Adrian è lavarsi.
La protagonista, insieme ai due giovani italiani Andrea e Mauro che la trarranno in salvo portandola in Italia è Aza. L’abbiamo incontrata in apertura del libro attraverso la bella illustrazione di Arianna Vairo in una doppia pagina che ha per titolo proscenio. Scapigliata, smunta, fiera ricorda davvero quelle piccole facce d’angelo che furono catapultate nelle televisioni di mezzo mondo occidentale dopo la caduta di Ceaușescu nel 1989. Nell’immagine è seduta su un tombino aperto e sembra sapere che la rinascita avverrà di lì a poco. Nella seconda parte, in una città del nord, l’incontro con il capo carismatico della comunità avviene con uno dei passaggi più belli. Alla proposta di Don Silvano di lavorare con loro: “Lei continua a inghiottire, morde all’ingiù le lacrime che salgono alla gola, la vita che le sta facendo un’offerta”. Sembra di rivivere con lei lo stato di grazia del protagonista dickensiano di America, quella stessa meraviglia che Kafka gli fa provare davanti al Gran Teatro di Oklahoma.
E davvero sembra poco, tutto molto piccolo, fragile come il cartongesso che separa le stanze degli uni dagli altri, quanto con l’energia del migliore Bianciardi, e un’abilità nei dialoghi, Luca Rastello descrive in una fenomenologia della banalità del bene che è senza sconti; questo accade non perché vi siano coinvolti gli uni o piuttosto gli altri; in una comunità a occidente che un liberalismo selvaggio ha ridotto a società a responsabilità limitata, perfino il titolo di ultimo deve essere in qualche modo pagato. Dalla seconda parte in poi infatti e nella terza in modo incisivo si sente pagina dopo pagina, evento dopo evento, una mutazione di prospettiva che sarà proprio Aza a offrire al lettore, come certi poeti dell’Est che nella semplicità di un verso, di un’immagine riescono a dire di noi stessi più di quanto le nostre stesse parole non sappiano più dire.
Del controcanto che anima le pagine dei buoni, dunque, solo figure autentiche, contraddittorie, al di là di ogni morale preconfezionata potevano diventarne gli interpreti; l’autore le chiama Personae, e sono descritte nelle sezioni che anticipano ognuna delle tre parti; dramatis personae le maschere del dramma, tolte le quali non vi rimane più nulla.