I fatti di Roland Barthes (seconda parte)
« Structure du fait divers », Roland Barthes, in Essais critiques (1964)
qui la versione originale e qui la prima parte
In Italia questo testo è già stato tradotto e pubblicato in una versione differente.
“Struttura del fatto di cronaca”
di Roland Barthes
traduzione di Francesco Forlani
Carenza o deviazione della causa, bisogna aggiungere a questi disturbi privilegiati quelle che potremmo chiamare sorprese del numero (o più in senso lato, della quantità). Di nuovo qui, per lo più, si ritrova quella causalità insoddisfatta che è per il fatto di cronaca uno spettacolo sbalorditivo. Un treno deraglia in Alaska: un cervo aveva bloccato lo scambio dei binari. Un Inglese si arruola nella Legione Straniera: non voleva trascorrere il Natale con sua suocera. Una studentessa americana costretta ad abbandonare gli studi: il giro-petto (104 cm) scatena il putiferio. Tutti questi esempi illustrano la regola: piccole cause grandi effetti. Ma il fatto di cronaca non vede affatto in queste sproporzioni un invito a filosofare sulla vanità delle cose o la vigliaccheria degli uomini; non dice come Valéry: quante persone muoiono in un incidente, per non aver voluto portarsi dietro l’ombrello; anzi dice, e in una maniera tutto sommato più intellettualistica: la relazione causale è cosa strana; il piccolo volume di una causa non smorza affatto l’ampiezza del suo effetto; il poco equivale al molto; e in conseguenza, una tale causalità alquanto squilibrata, può essere ovunque: non è costituita da una forza quantitativamente accumulata, quanto piuttosto da un’energia in movimento, attiva a dosi molto basse.
Vanno inclusi in tali circuiti di derisione tutti gli eventi importanti asserviti a un oggetto prosaico, umile, familiare: gangster messo in fuga da attizzatoio, assassino identificato da un semplice fermaglio da ciclista, anziano strangolato dal filo del suo apparecchio acustico. Questa figura è ben nota al romanzo poliziesco, molto affezionato per natura a quello che potremmo chiamare il miracolo dell’indizio: è l’indizio più discreto a risolvere infine il mistero. Due temi ideologici sono qui interessati: da un lato, l’infinito potere dei segni, la sensazione panica che i segni siano ovunque, tutto possa essere segno; e dall’altro, la responsabilità di oggetti attivi in definitiva quanto gli esseri umani: vi è una falsa innocenza dell’oggetto; l’oggetto si nasconde dietro la sua inerzia di cosa, ma in realtà è per meglio trasmettere una forza causale, di cui non sappiamo se provenga da esso stesso o d’altrove.
Tutti questi paradossi della causalità hanno un doppio significato; da un lato l’idea di causalità ne esce rinforzata, poiché si è constatato che la causa è ovunque: in questo, il fatto di cronaca ci dice che l’uomo è sempre collegato a qualcos’altro, che la natura è piena di echi, relazioni e movimenti; ma d’altra parte, questa stessa causalità è costantemente minata da forze che gli sfuggono; disturbata senza però scomparire, rimane in qualche modo sospesa tra il razionale e l’ignoto, offerta a uno stupore fondamentale; distante dal suo effetto (ed è questo, in tanto che fatto di cronaca, l’essenza stessa del suo essere degno di nota), la causa appare inevitabilmente intrisa di uno strano potere: il caso; come fatto di cronaca, ogni causalità è sospettata di fatalità.
Ci troviamo qui di fronte al secondo tipo di relazione che può articolare la struttura del fatto di cronaca: il rapporto di coincidenza. È innanzitutto la ripetizione di un evento, non importa quanto anodino esso sia, che lo designa con l’annotazione di coincidenza: una gioielliera mimo è stata rapinata tre volte; un’albergatrice vince alla lotteria a ogni colpo, ecc. Perché?
La ripetizione porta sempre, in effetti, a immaginare una causa ignota, tanto è vero che nella coscienza popolare, l’aleatorio è sempre distributivo, mai ripetitivo: il caso è presunto variare gli eventi; se li ripete, è perché vuole manifestare qualcosa attraverso di loro: ripetere, è manifestare, tale credenza 1 è all’origine di tutte le antiche arti divinatorie; oggi, naturalmente, la ripetizione non richiama apertamente a un’interpretazione soprannaturale; tuttavia, perfino degradata al rango di “curiosità”, non è possibile che la ripetizione sia notata senza avere l’idea che detenga un certo significato, per quanto questo significato rimanga sospeso: il “curioso” non può essere una nozione “opaca” e per così dire innocente (tranne che per una coscienza assurda, il che non è il caso per la coscienza popolare): istituzionalizza inevitabilmente un’ interrogazione.
Altro rapporto di coincidenza: quella che avvicina due termini (due contenuti) qualitativamente distanti: una donna mette in fuga quattro gangster, scomparsa di un giudice a Pigalle, dei pescatori islandesi pescano una mucca, ecc.; c’è un tipo di distanza logica tra la debolezza della donna e il numero di gangster, la magistratura e Pigalle, la pesca e la mucca, e il fatto di cronaca si mette d’un colpo a eliminare questa distanza. In termini di logica, si potrebbe dire che ogni termine che appartiene in linea di principio a un percorso autonomo di significazione, il rapporto di coincidenza ha per funzione paradossale quella di fondere due percorsi diversi in un unico percorso, come se bruscamente la magistratura e la “pigallità” si ritrovassero nello stesso campo.
E siccome la distanza originale dei percorsi è spontaneamente sentita come un rapporto di fastidio, ci si avvicina qui a una figura retorica fondamentale nel discorso della nostra civiltà: l’antitesi 2. La coincidenza è in effetti ancora più drammatica quando stravolge certe situazioni stereotipate: a Little Rok, il capo della polizia uccide sua moglie. Ladri sorpresi e spaventati da un altro ladro. Ladri scagliano un cane poliziotto contro il guardiano notturno, ecc. Il rapporto diventa qui vettorializzato, pregno d’intelligenza: non soltanto vi è un assassino, ma per di più l’assassino è il capo della Polizia: la causalità viene stravolta in virtù di un disegno esattamente simmetrico. Questo movimento era ben noto alla tragedia classica, dove aveva anche un nome: era il colmo:
ho dunque traversato tanti mari, tante nazioni,
venni da cosí lontano a macchinargli la morte,
Dice Oreste parlando di Ermione.
Innumerevoli gli esempi disseminati ovunque: proprio quando lei lo loda per le sue gentilezze Agamennone condanna la figlia; proprio quando Aman si sente all’apice degli onori sarà rovinato; proprio quando vende la villetta in cambio di un vitalizio la settantenne sarà strangolata; proprio la cassaforte di una fabbrica di fiamme ossidriche i ladri avevano cominciato a scassinare; proprio a una seduta di conciliazione il marito uccideva la moglie: l’elenco dei colmi è interminabile. 3
Che cosa significa questa predilezione? Il colmo è l’espressione d’una situazione di sfortuna. Tuttavia, allo stesso modo con cui la ripetizione limita in qualche maniera la natura anarchica – o innocente – dell’aleatorio, così la fortuna e la sfortuna non sono neutre fatalità, inevitabilmente chiamano un qualche significato – e allorché una fatalità significa, non è più una fatalità; il colmo ha proprio la funzione di operare una conversione della fatalità in segno, poiché l’esattezza di uno stravolgimento non può essere pensata al di fuori di una intelligenza che la compie; miticamente, la Natura (la Vita) non è una forza esatta; dovunque si manifesti una simmetria (e il colmo è la figura stessa della simmetria), c’è per forza voluta una mano per guidarla: c’è confusione mitica di disegno e progetto.
Così, ogni volta che appare da solo, senza imbarazzarsi dei valori patetici tenuti generalmente al ruolo archetipico dei personaggi, il rapporto di coincidenza comporta una certa idea di destino. Ogni coincidenza è un segno insieme indecifrabile e intelligente: è in effetti attraverso un tipo di transfert, il cui interesse è fin troppo evidente, che gli uomini accusano il Destino di essere cieco: il Destino è invece malizioso, costruisce dei segni, e sono gli uomini che sono ciechi, incapaci di decifrarli. Che dei rapinatori scassinino la cassaforte di una fabbrica di fiamme ossidriche, questa annotazione non potrà appartenere in ultima analisi che alla categoria dei segni, perché il significato (se non il suo contenuto, almeno la sua idea)affiora inevitabilmente dalla congiunzione dei due opposti: antitesi o paradosso, ogni contrarierà appartiene a un mondo volutamente costruito: un dio gironzola dietro al fatto di cronaca.
Questa fatalità intelligente – eppure inintellegibile – anima soltanto il rapporto di coincidenza? Affatto. Abbiamo visto che la causalità esplicita del fatto di cronaca era in definitiva una causalità truccata, almeno sospetta, dubbia, ridicola, perché in qualche maniera l’effetto non soddisferà la causa; si potrebbe dire che la causalità delle notizie è incessantemente sottoposta alla tentazione della coincidenza, e che viceversa, la coincidenza vi è incessantemente affascinata dall’ordine di causalità. La causalità aleatoria, ordinata coincidenza, è all’incrocio di questi due movimenti che si costituisce il fatto di cronaca: entrambi finiscono in effetti per ricoprire una zona ambigua dove l’evento è pienamente vissuto come un segno il cui contenuto è tuttavia incerto.
Siamo qui, se si vuole, non in un mondo del senso, ma in un mondo della significazione (Intendo per senso il contenuto (il significato) d’un sistema significante, e per significazione il processo sistematico che unisce un senso e una forma, un significante e significato).; questo statuto è probabilmente quello della letteratura, ordine formale in cui il significato è al contempo posto e insoddisfatto: ed è vero che il fatto di cronaca è letteratura, sebbene questa letteratura sia considerata cattiva letteratura. Si tratta qui dunque, probabilmente, di un fenomeno generale che va ben oltre la categoria del fatto di cronaca.
Eppure nel fatto di cronaca, la dialettica di senso e significazione ha una funzione storica molto più chiara che in letteratura, perché il fatto di cronaca è un’arte di massa: il suo ruolo verosimilmente è quello di preservare in seno alla società contemporanea l’ambiguità del razionale e dell’irrazionale, dell’intellegibile e dell’insondabile; e questa ambiguità è storicamente necessaria nella misura in cui i segni siano all’uomo ancora necessari (il che lo rassicura), ma dove è anche necessario che tali segni siano di contenuto incerto (il che lo deresponsabilizza): egli può appoggiarsi attraverso il fatto di cronaca a una certa cultura, poiché ogni schema di un sistema di significazione è schema di una cultura vuota; ma allo stesso tempo, può soddisfare in extremis questa cultura di natura, visto che il senso che dà alla concomitanza dei fatti sfugge all’artificio culturale restando muto.
- Credenza oscuramente conforme alla natura formale dei sistemi di significazione, dal momento che l’uso di un codice comporta sempre la ripetizione di un numero limitato di segni.↩
- Le figure retoriche sono sempre state trattate con grande disprezzo dagli storici della letteratura e della lingua, come se si trattasse di giochi di libertà di parola; si oppone ancora l’espressione “viva”, all’espressione “retorica”. Tuttavia, la retorica può essere la prova fondamentale di una civilizzazione, poiché rappresenta il mondo da un’angolazione mentale, ovvero, in conclusione, un’ideologia↩
- Il francese è incapace di esprimere il colmo: si serve di una perifrasi: c’est précisément quand… que…; il latino, invece, disponeva di un forte correlativo e anche d’uso arcaico: cum… tum.↩