L’amore e Gödel

Alcune considerazioni su Almanacco del Giorno Prima di Chiara Valerio

di Vanni Santoni

chiara valerioHo conosciuto Chiara Valerio dieci anni fa; eravamo due esordienti (anche se lei non lo sembrava, appartenendo a quella categoria di persone che sembrano sempre “nate imparate”) ed eravamo stati invitati a Roma, assieme ad altre due persone, nella sede di una casa editrice un tempo grande e prestigiosa e allora in fase di rilancio, in quanto vincitori, coi nostri romanzi, di un concorso per esordienti. Lì fummo ricevuti dal direttore della casa editrice un tempo grande e prestigiosa, il quale ci fece tanti complimenti, ci disse della fase di rilancio e ci fece parlare con la scrittrice famosa che presiedeva la giuria del concorso, la quale pure ci fece tanti complimenti, distribuì un po’ di consigli e ci rese al direttore, il quale ci fece un contratto (mi par di ricordare che fosse addirittura per tre libri) e ci rimandò a casa tutti contenti. Va da sé che il concorso si rivelò una fregatura, la casa editrice un tempo grande e prestigiosa smise di essere in fase di rilancio e anzi smise proprio di farsi sentire, ci piazzò in standby e poi, solo a fronte di nostre reiterate e via via sempre più rabbiose e disperate richieste di chiarimenti, ci fece capire che quei libri non li avrebbero stampati mai. Va da sé che le quote di iscrizione al concorso non vennero mai rese ai partecipanti, ma noi non pensavamo certo a quei dieci o venti euro: noi pensavamo ai nostri libri e infatti ricordo che con Chiara (gli altri due vincitori dopo un po’ sparirono dal radar) ci scambiavamo delle mail in cui sostanzialmente ci giravano le palle. Io, poi, ero stato così ingenuo da dire a chiunque, parenti, amici, fidanzata, che avevo vinto il concorso nazionale per esordienti della casa editrice un tempo grande e prestigiosa e in fase di rilancio – avevo, come si suol dire, “comprato il vestito buono” – e adesso l’evidenza che invece il libro non sarebbe mai uscito era esiziale (oltre che una bella figuraccia). Non so come andò per Chiara, ma per quanto mi riguarda quella bruciantissima fregatura fu decisiva per diventare uno scrittore. Non restava altro, del resto: se volevo dimostrare che davvero ero quella cosa là, l’unica era pubblicare un libro altrove. Magari con una casa editrice migliore di quella un tempo grande e prestigiosa.

Per questo, ogni volta che ne faccio arrivare uno in libreria, c’è sempre una (ormai minuscola eppure esistente) parte di me che gode anche perché è una ulteriore dimostrazione di quanto quelli furono grulli a non pubblicare il mio libro. E quella stessa parte di me gode ogni volta che Chiara Valerio pubblica un libro, poiché ciò rinforza tale dimostrazione. Avevate trovato gli scrittori e non li avete fatti, siete proprio grulli. Se poi, come nel caso di Almanacco del giorno prima, il libro è anche stupendo, allora il godimento diventa anche orgoglio per i risultati di una persona che un destino (inizialmente) avverso mi ha assorellato. Ai tempi in cui eravamo ragazzotti all’esordio, io non avevo molto da lasciarmi dietro per far spazio alla letteratura: avevo lavorato nella formazione e nel giornalismo, ero stato uno studente universitario solo discreto; dal mondo dei romanzi avevo insomma soltanto da prendere; lei invece era una matematica, una vera, di quelle col PhD, e ciò oggi – incluso, si intuisce, l’abbandono di quel percorso – si ritrova in questo romanzo, appena uscito per Einaudi. Nel leggere la sinossi in bandella, che recita, tra le altre cose, “Alessio Medrano è un broker geniale e sentimentale, scommette sui fallimenti come fossero successi: ‘i soldi sono un’idea vecchia, bisogna investire sul tempo’.”, si rischia di finire fuorviati. Lungi dall’essere solo romanzo sulla questione finanziaria postmoderna vista dagli occhi di un addetto ai lavori particolarmente dotato, in Almanacco del giorno prima la matematica, e con essa la finanza, sua figlia cinica, diventa un filtro attraverso cui guardare il mondo. Alessio Medrano siamo tutti noi, anzitutto perché, affidandosi egli a codici interiori che rimandano a un linguaggio che più o meno, a diversi gradi, conosciamo tutti, ci viene facile entrare dentro di lui: il suo codice matematico diventa riflesso chiarificato e metro dei nostri personali e più contorti codici.

Ma facciamo, per l’appunto, ordine: Almanacco del giorno prima è un romanzo in tre parti, di lunghezza decrescente. La prima ci racconta l’infanzia e la formazione di Alessio Medrano. La seconda, per frammenti, il periodo in cui il Medrano si innamora di una persona che non lo ricambia. La terza riagguanta la narrazione e la chiude.

A prima vista, la prima parte è la più potente, perché Chiara Valerio dà una dimostrazione di maestria letteraria pura, di quel tipo di raggiunta maturità della scrittura che non ha bisogno di “fare numeri” ma li tiene sotto la superficie, esprimendo una forza controllata; nel libro si evoca l’opera al rosso, ma Almanacco del giorno prima è una vera e propria opera al bianco, nella sua compiutezza stilistica e formale: le avventure di questo bambino dalla enorme intelligenza analitica (che si trasformerà, ahilui, in un adulto del tutto sprovvisto di intelligenza emotiva) conquistano perché egli, in quanto persona che riduce tutto, anche se stesso, a fattore numerico, è per forza anche noi, tutti conteniamo Medrano e ne siamo contenuti; inoltre, vederlo fare i puzzle al contrario o gabellare i compagni di scuola con trucchi grifagni, è uno spasso, così come è avvincente seguire le sue avventure nei derivati da polizze di fine vita, ovvero, insomma, la speculazione finanziaria sulla morte della gente – i cosiddetti death bond – e seguirlo quando si lancia dentro quegli abissi di senso che sono tutte le cose che mettono in comunicazione vite e numeri, tra cui le polizze ma anche i (solo apparentemente prosaici) elenchi del telefono.

Ho scritto “a prima vista” perché la seconda parte – in cui, per frammenti di vita, brani di discorsi, tic e idiosincrasie della dialettica affettiva, si racconta l’amore di Medrano per Elena, una donna che non lo ama (né però si libera di lui: una stronza, per farla breve) e lo scontrarsi, ineludibilmente tragico, di una visione del mondo che tutto vorrebbe categorizzare con una realtà, quella amorosa, che è per definizione categoria a sé – risulta apparentemente più fredda della prima, ma ciò avviene solo in fase di lettura (vi è del resto, al di là della forma meno narrativa, un ribaltamento: dall’immedesimazione col Medrano bambino si passa al nervoso per il Medrano adulto, alla voglia di urlargli “sveglia, maledizione!”), dato che successivamente, già quando si approda alla terza parte, che del Medrano ricostruisce l’educazione sentimentale e chiude la vicenda professionale e finanziaria, quei frammenti cominciano a comporsi nella memoria e riverberare: a legarsi tra loro andando a ricostruire un puzzle via via sempre più chiaro, che però, come quelli amati dal Medrano fanciullo, è ribaltato, senza immagini, tutto “color das secco”, perché è il puzzle di un amore che non esiste, e di fronte a tale spietata evidenza a poco valgono, a quel punto, i risultati delle speculazioni finanziarie di Medrano e del socio Janak, se non a confermare che, sì, oggi si può ridurre a numero chiunque, ma non colei o colui di cui si è innamorati, poiché l’amore non si misura, né tanto meno si ottiene, con gli strumenti del non-amore (da profano viene in mente Gödel e il suo teorema di incompletezza – mi perdoni Chiara se si tratta di uno sfondone matematico). Il romanzo, con ciò, pone tuttavia un’altra e più grande questione: davvero l’ultima soluzione, l’ultima salvezza che ci è rimasta è l’amor romantico? La coppia, addirittura? Morti gli idoli, finite le ideologie, collassata la famiglia, seppellito il lavoro come fonte dell’identità, superata nostro malgrado un’infanzia e un’adolescenza che abbiamo cercato di prolungare in ogni modo, divenuto tutto fluido (come un liquido, o una stringa di codice), giusto l’amore romantico è un sogno permesso? Se è così, guai allora a chi si innamora senza esser corrisposto. Questa visione del mondo riuscii a evitarla, o almeno a evitare che diventasse univoca e assoluta, buttandomi, grazie anche alla ferita infertami dal concorso farlocco, sulla letteratura. Mi par che Chiara abbia fatto lo stesso, e che la letteratura, prova ne è questo mirabile romanzo, la corrisponda in pieno.

Almanacco del giorno prima, Chiara Valerio, Einaudi 2014, pp.350 €20.

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7 Commenti

  1. non l’ho ancora finito ma mi sembra un gran libro. il finale poi, che mi sono andato a leggere subito roso dalla curiosità, è portentoso e struggente. finito l’almanacco passerò al contromano su scauri, che mi ero perso. e a proposito di contromano pensavo a quello fiorentino di vanni, così corale e polifonico, così originale. non sapevo di questo assorellamento fra loro due, e mi fa piacere, perché chiara valerio e vanni santoni sono due proprio bravi.

  2. @andrea bene, giacché ne vale la pena

    @sergio eh assorellamenti che uno avrebbe pure evitato, visto che vengono dall’aver preso la medesima sòla ^_^ a testimonianza però che se i media amano le storie di miracolati, in realtà quasi ogni autore ben pubblicato si è fatto strada in un campo minato e pieno di fili spinati… (grazie per le belle parole, btw)

  3. e Marina di Minturno no? Monte d’Oro senza Monte d’Argento. ah l’argent l’argent. Grande Chiaretta e pure Vanni en fait
    effeffe

  4. ehi, grazie vanni, grazie sergio y forlani y janeczek y nazione indiana tutta.
    nazione indiana libera tutti!
    grazie,
    chi

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