I fatti di Roland Barthes (prima parte)
« Structure du fait divers », Roland Barthes, in Essais critiques (1964)
qui la versione originale
In Italia questo testo è già stato tradotto e pubblicato in una versione differente.
“Struttura del fatto di cronaca”
di Roland Barthes
traduzione di Francesco Forlani
Siamo davanti a un omicidio : se è politico, è una notizia, se non lo è, si tratta di un fatto di cronaca. Perché? Si è portati a credere che la differenza sia qui tra il particolare e il generale, o, per essere più precisi, quella tra nominato e innominato: il fatto di cronaca (il termine faits divers pare quanto meno indicarlo) sembrerebbe procedere da una classificazione dell’inclassificabile, un materiale di scarto disorganizzato di notizie informi; la sua essenza sembrerebbe privativa, ovvero inizierebbe ad esistere laddove il mondo cesserebbe di essere nominato, oggetto di un catalogo noto (politica, economia, guerre, spettacoli, scienze, ecc.); in una sola parola, sarebbe una notizia mostruosa, analoga a tutti i fatti eccezionali o banali , in breve, anomici, che vengono classificati di solito discretamente alla voce Varia, come l’ornitorinco che tanta pena diede allo sfortunato Linneo. Questa definizione tassonomica non è ovviamente soddisfacente : non tiene conto della promozione straordinaria dei fatti di cronaca sulla stampa odierna (e già si cominciano a chiamare i faits divers con il termine più nobile di information générale ); quindi meglio porre sullo stesso piano i fatti di cronaca e altri tipi di informazione, e tentare così di cogliere negli uni e negli altri una differenza strutturale e non più la sola differenza di catalogazione.
Questa differenza ci appare da subito evidente allorché si confrontino i nostri due delitti; nel primo (l’assassinio politico), l’evento (l’omicidio ) rimanda necessariamente ad una situazione estensiva che esiste al di fuori di esso, in un prima e intorno ad esso: la “politica”; l’ informazione qui può essere compresa immediatamente, può essere definita soltanto in proporzione alla conoscenza esterna all’evento, che è la conoscenza politica, per quanto confusa; insomma l’assassinio sfugge al fatto di cronaca quando esogeno, proveniente da un mondo già noto; possiamo allora dire che non esiste una struttura adeguata, sufficiente, perché non sarà mai altro che il termine manifesto una struttura implicita ad esso preesistente: nessuna informazione politica è senza durata, perché la politica è una categoria trans-temporale; allo stesso modo, d’altronde, per tutte le notizie giunte da un orizzonte nominato, da un tempo anteriore: queste non possono mai assurgere a fatti di cronaca. 1; letterariamente sono frammenti di romanzi, 2 nella misura in cui ogni romanzo è di per sé un vasto sapere i cui fatti che vi succedono non ne sono che una semplice variabile.
L’assassinio politico è dunque sempre, per definizione, un’informazione parziale; il fatto di cronaca, al contrario, è una informazione totale, o più precisamente, immanente; contiene in sé tutto il suo sapere : non c’è bisogno di sapere nulla del mondo per consumare un fatto di cronaca; non rimanda formalmente a nient’altro che a se stesso; naturalmente, il suo contenuto non è estraneo al mondo: disastri, omicidi, rapimenti, aggressioni, incidenti, furti, stranezze, tutto rimanda all’uomo, alla sua storia, alla sua alienazione, alle sue fantasie, ai suoi sogni , alle sue paure: un’ ideologia e una psicoanalisi dei fatti di cronaca sono possibili, ma qui si tratta di un mondo la cui conoscenza non può essere che intellettuale, analitica, elaborata a un grado secondo da colui che parla del fatto di cronaca, non per quello che lo consuma; a livello della lettura, tutto è dato in una notizia; le circostanze, le cause, il passato, l’esito; senza durata e senza contesto, costituisce un essere immediato, totale, che non rimanda, almeno formalmente, a nulla d’ implicito; è in questo che si apparenta al racconto o alla favola, piuttosto che al romanzo. È la sua immanenza che definisce il fatto di cronaca. 3
Eccoci dunque davanti a una struttura chiusa. Cosa succede all’interno di tale struttura? Un esempio, per quanto piccolo esso sia, potrà forse dircelo. Il palazzo di Giustizia è stato appena ripulito. Questo è insignificante . Era da un secolo che non lo si faceva. Questo diventa un fatto di cronaca. Perché? Poco importa l’aneddoto (potremmo trovarne di ben più miseri); due termini sono stabiliti, che inevitabilmente richiamano a una certa relazione e sarà la problematica legata a questa relazione a costituire il fatto di cronaca; la pulizia del Palazzo di Giustizia da un lato, dall’altro la rarità della cosa, sono come i due termini di una funzione: è tale funzione ad essere viva, regolare e dunque intelligibile; possiamo supporre che non esista alcun fatto di cronaca semplice, costituito da una sola annotazione: il semplice non è significativo; quali che siano la densità del contenuto, la sorpresa, l’orrore o la sua esiguità, il fatto di cronaca inizia laddove l’informazione si sdoppi fino a comportare così la certezza di una relazione; la brevità della dichiarazione o l’importanza della notizia, altrove garanzia d’unità, non potranno mai cancellare la natura articolata del fatto di cronaca: Cinquemila morti in Perù ? L’orrore è globale , la frase è semplice; eppure, l’importante qui è già il rapporto della morte e di un numero. Indubbiamente una struttura è sempre articolata; tuttavia, qui, l’articolazione è interna al racconto immediato, mentre nell’informazione politica, per esempio, la stessa la troviamo al di fuori dell’enunciato, in un contesto implicito.
Quindi, ogni fatto di cronaca comporta almeno due termini diversi, o, se si preferisce, due annotazioni. E si può eseguire una prima analisi del fatto di cronaca, senza alcun riferimento alla forma e al contenuto di questi due termini: alla loro forma, perché la fraseologia del racconto è estranea alla struttura del fatto segnalato, o, più precisamente, perché questa struttura non coincide inevitabilmente con la struttura del linguaggio, per quanto non si possa raggiungere che attraverso il linguaggio del giornale; al loro contenuto, perché l’importante, non sono i termini in se stessi, il modo contingente di cui sono saturi (per un omicidio, un incendio, un furto, ecc.), ma la relazione che li unisce.
È su questo rapporto che dobbiamo innanzitutto interrogarci, se vogliamo cogliere la struttura del fatto di cronaca, vale a dire il suo significato umano. Sembra che tutte le relazioni immanenti al fatto di cronaca possano essere ricondotti a due tipi. Il primo è la relazione causale. Si tratta di una relazione estremamente frequente : un delitto e il suo movente , un incidente e le sue circostanze , e ci sono beninteso, da questo punto di vista, degli stereotipi potenti: dramma passionale , delitto per denaro ecc. Ma in tutti i casi in cui causalità è in un certo qual modo normale, aspettata , l’accento non è posto sulla relazione in se stessa , per quanto continui a formare la struttura del racconto; essa si muove verso ciò che potremmo definire dramatis personae (bambino , vecchio , madre , ecc. ) modelli di essenza emotiva , caricati per dare vita allo stereotipo .
Così ogni volta che si voglia mettere a nudo la causalità del fatto di cronaca, sarà una causalità alquanto aberrante quella che si incontra. In altre parole, i casi puri (ed esemplari) sono affetti da disturbi di causalità, come se lo spettacolo (“il degno di nota”, dovremmo dire), iniziasse laddove la causalità, senza cessare di essere affermata, contenesse già un germe di degradazione, come se la causalità non potesse che consumarsi solo quando inizia a marcire, a disfarsi. Non ci sono notizie senza stupore (scrivere, è stupirsi); ecco che, riferito a una causa, lo stupore implica sempre un disturbo, dal momento che nella nostra civiltà, tutto l’altrove della causa sembra posizionarsi più o meno dichiaratamente ai margini della natura , o quanto meno del naturale. Quali sono questi disturbi di causalità, su cui si articola il fatto di cronaca ?
Si tratta innanzitutto, ovviamente, del fatto di cui non si può dire immediatamente la causa. Bisognerebbe un giorno tracciare una cartina dell’inspiegabile contemporaneo, così come se lo rappresenta non tanto la scienza, quanto il senso comune; sembra che nel fatto di cronaca, l’inspiegabile sia ridotto a due categorie di fatti: i prodigi e i crimini. Quello che un tempo era chiamato prodigio, e che indubbiamente avrebbe occupato la maggior parte dello spazio a disposizione dei fatti di cronaca, se la stampa popolare fosse allora esistita , ha per spazio il cielo, ma negli ultimi anni , si direbbe che non esista ormai che un solo tipo di prodigio : i dischi volanti; nonostante un recente rapporto delle US Army abbia classificato sotto forma di oggetti naturali (aerei, palloni , uccelli) tutti i dischi volanti identificati, l’ oggetto continua ad avere una sua vita mitica: viene equiparato ad un veicolo globale, inviato di solito da marziani : la causalità è così rinviata nello spazio, non è abolita; inoltre, il tema marziani è stato significativamente messo a tacere dai voli reali nel cosmo: non c’è più bisogno dei marziani per entrare nella stratosfera visto che Gagarin, Titov e Glenn ne sono appena usciti : tutta la realtà soprannaturale sparisce.
Per quanto riguarda il delitto misterioso, ne conosciamo la sua fortuna nel romanzo popolare; la relazione fondamentale è formata da una causalità differita; il lavoro della polizia consiste nel colmare a ritroso il tempo affascinante e insopportabile che separa l’evento dalla sua causa; il poliziotto , emanazione dell’intera società nella sua forma burocratica diventa allora la figura moderna dell’antico risolutore di enigmi ( Edipo ), che fa cessare il terribile perché delle cose; la sua attività, paziente e testarda, è il simbolo di un desiderio profondo: l’uomo intasa febbrilmente la breccia causale, si adopera a porre fine alla frustrazione e all’ansia. Nella stampa, indubbiamente, i delitti misteriosi sono rari, il poliziotto è poco personalizzato, l’enigma logico annegato nel lato patetico degli attori; del resto, la vera ignoranza della causa in questo caso costringe il fatto di cronaca a estendersi su diversi giorni, a perdere quel carattere effimero, così conforme alla sua natura immanente; ecco perché, in tanto che fatti di cronaca a differenza del romanzo, un delitto senza motivo è più inspiegato che inspiegabile : il “ritardo” causale non vi esaspera il delitto, lo disfa: un delitto senza causa è un delitto che si dimentica: il fatto di cronaca scompare allora , proprio perché nella realtà la sua relazione si estingue.
Naturalmente, poiché qui, degna di nota, è la causalità disturbata, il fatto di cronaca è ricco di deviazioni causali: in virtù di certi stereotipi, ci aspettavamo una causa, ed è un’altra quella che appare: donna pugnalata dall’amante: delitto passionale? No, non andavano d’accordo in politica. Giovane cameriera rapisce il neonato dei suoi datori di lavoro: per ottenere un riscatto? No, perché amava il bambino. Un vagabondo aggredisce donne sole: sadico? No, semplice scippatore. In tutti questi esempi, si nota bene come la causa rivelata sia in qualche modo più povera di quella che ci si attendeva; il delitto passionale, il ricatto, l’aggressione sadica hanno un lungo passato, sono fatti pregni d’emozione, rispetto ai quali la divergenza d’idee politiche, l’ affetto eccessivo o il semplice furto sono moventi ridicoli; vi è in effetti in questo tipo di rapporto di causalità, lo spettacolo di una delusione, paradossalmente, la causalità è tanto più degna di nota giacché non viene soddisfatta .
(à suivre)
- I fatti che appartengono a quelle che potrebbero essere chiamate le “gesta” delle vedette o delle personalità non sono mai fatti di cronaca, proprio perché chiamano in causa una struttura a episodi.↩
- In un certo senso, è giusto dire che la politica è un romanzo, ovvero, una storia che dura, a condizione di personalizzarne gli attori↩
- Alcuni fatti di cronaca si sviluppano su più giorni: il che non rompe la loro immanenza costituente, perché chiamano in causa sempre una memoria molto corta.↩
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Siamo entrati in un altro tempo, in un altro spazio che paiono circoscrivere il tempo e lo spazio di Barthes che ho conosciuto personalmente in un colloquio poi burrascoso e poi sdegnosamente troncato dal Maestro. Da italiano avevo sollevato i problemi nostri (di allora)e di questo il Maestro si offese….ricordo esattamente la sua conclusione e cioè l’unica lingua della quale lui era interessato e competente era la lingua di sua madre e delle sue zie, solo di quella voleva,sapeva e poteva ragionare. Un pò, mutatis mutandis, come il mondo di Proust. Io allora mi ribellavo ai mostri sacri, alla riverenza che pretendevano e ancora oggi, da vecchio,nel vedere queste figure sbiadire….