Ad esempio: il tempo. Sulla musica di Karlheinz Stockhausen
di Massimiliano Viel
(due brani dell’introduzione a Karlheinz Stockhausen, Sulla musica, a cura di Robin Maconie, Postmedia Books, 2014. Vd. anche qui.)
Stockhausen è stato di volta in volta additato come kitsch, elitario, intellettuale, naive, inascoltabile, troppo semplice, antiarmonico, neotonale, nazista, esterofilo, pazzo, antiespressivo. Insomma di lui e della sua musica è stato detto di tutto, ma questo è il prezzo da pagare per chi decide di smettere i panni civili per diventare non semplicemente una figura pubblica, ma un simbolo, un bersaglio in piena luce, specie se, come in questo caso, si tratta di una personalità complessa e non facilmente riducibile a un solo semplice stereotipo di massa e che è quindi perfettamente adattabile alle necessità di chiunque voglia costruire una propria identità.
Forse il punto culminante di questa “messa in crisi” di Stockhausen in quanto personaggio pubblico è stata la famigerata e controversa intervista del 16 settembre 2001 ad Amburgo in cui il compositore sembra fare affermazioni quanto meno avventate sull’attacco del 11 settembre. È un punto culminante sicuramente per l’entità culturale dell’argomento, così delicato e controverso, e anche per la diffusione a livello planetario dell’incidente, aiutata ancora di più da internet, tanto da far gridare la stampa alla fine della carriera di Stockhausen. Non è importante sapere esattamente cosa è successo: chi scrive sa che il compositore aveva l’accortezza di registrare in tutta autonomia le interviste proprio per proteggersi legalmente e moralmente dall’uso avventato e malizioso da parte della stampa di ciò che veniva detto durante le interviste. Le accuse rivolte a Stockhausen, con le conseguenti ostracizzazioni del mondo musicale e non, sono rientrate in breve tempo, una volta che la frase, secondo cui l’attentato dell’11 settembre sarebbe stato “la più grande opera d’arte mai realizzata”, è stata inserita nel giusto contesto di ciò di cui si parlava nell’intervista, e cioè della presenza di Lucifero nel mondo. Anche se l’opinione pubblica ha breve memoria, internet invece non dimentica: i filmati di accusa su youtube sono lì a dimostrarlo. E così dobbiamo concludere la nostra pars destruens, aggiornando la lista delle accuse a Stockhausen con quelle, che pur dimostrano la loro inconsistenza al primissimo approfondimento, di satanista e antiamericano.
Dunque Karlheinz Stockhausen, il compositore su cui forse abbiamo più documentazione in assoluto, è assurto, insieme a John Cage, al ruolo di icona, anzi di icona pop, come mostrano i suoi mai cessati rapporti con il mondo della popular music. Se John Cage è il compositore della destrutturazione dell’Io attraverso il contatto con l’altro, sia esso la struttura degli scacchi, le imperfezioni della carta o lo Yi Jing, Stockhausen è invece il simbolo del pensiero costruttivista, anche, e direi soprattutto, quando questo si colora di religiosità mistica, quella stessa che ha portato alla costruzione delle grandi cattedrali gotiche. È, se ci è permesso l’azzardo di una metafora psicanalitica, il padre da uccidere, il Super-Io, sia che lo vediamo dal punto di vista di un’arte che vuole rinnovarsi, sia che lo vediamo dal punto di vista delle culture extraeuropee, specie della cultura statunitense, nei confronti della vecchia Europa.
D’altra parte Cage, nonostante la natura culturalmente dirompente delle sue idee, è sempre stato trattato bonariamente dai media e considerato quasi innocuo. Sarebbe difficile immaginare uno Stockhausen docile nel prestarsi a vestire i panni dell’artista strambo per il divertimento del pubblico televisivo, come è avvenuto con la celebre partecipazione di John Cage alla trasmissione televisiva “I’ve got a secret” del 1960. Non che l’opera di Stockhausen non contenga momenti di umorismo anche solare, anzi l’intero lavoro del compositore è intriso di umorismo, ma è sempre così avvolto da un’aura di “necessità storica”, di “imperativo morale” da arrivare al punto di dichiarare “un’opera deve poter dare qualcosa di nuovo all’umanità oppure non vale la pena di essere scritta”. Ed ecco forse da dove nasce un certo accanimento del mondo della cultura e della stampa contro questo compositore; ecco da dove nasce la sua scomodità, al punto da essere stato talvolta considerato addirittura pericoloso per la società e cioè dalla celebrazione di un pensiero forte, quasi autoritario, supportato da un misticismo pan-ecumenico. Un miscuglio che fa tremare e che ha reso Stockhausen il bersaglio di battaglie che in fondo non avevano nulla a che fare con lui. Le polemiche verranno dimenticate. E rimarranno gli scritti e le musiche, a volte dei veri e propri “trattati sonori”, attraverso i quali il compositore ha riflettuto su una vastissima gamma di problemi musicali e non, e che lo hanno portato oltre il suo ruolo iconico, a diventare un punto di riferimento inevitabile per chiunque voglia riflettere sulla musica, nel senso più generale possibile, e per chiunque voglia produrre musica, riconoscendosi partecipe del percorso millenario della musica occidentale.
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Ad esempio: il tempo. Si dibatte oggi se la musica sia un’arte del tempo o dello spazio, perché se è vero che ciò che noi percepiamo deriva in essenza da vibrazioni più o meno periodiche, queste vibrazioni hanno bisogno di uno spazio riempito d’aria (o da un qualsiasi altro medium elastico) per giungere al nostro orecchio. Ogni musicista sa però quanto il tempo sia fondamentale nella pratica musicale e nella composizione, così che la storia della musica occidentale sembra dipanarsi attraverso successive innovazioni nel modo di rendere la componente temporale della scrittura musicale, fino a permettere il contrappunto, l’armonia, l’invenzione formale e così via. Stockhausen sviluppa ulteriormente questo percorso in primo luogo tematizzando il tempo nella propria produzione musicale. Forse il primo titolo che si riferisce in modo esplicito al tempo è ZEITMASZE (Misure di Tempo), del 1955, seguito da tre titoli dedicati alla circolarità della ripetizione (ZYKLUS, REFRAIN e MANTRA) e dal lavoro fondamentale MOMENTE (Momenti), in cui il compositore affronta esplicitamente il tempo dal punto di vista dell’esperienza, risolvendolo in frammenti costituiti da istanti eterni (i “momenti”, appunto), qualità esperienziali legate tra loro da memoria e speranza. Vi sono poi altri titoli come STOP (con il suo “spin-off” STOP UND START) e i brani del periodo “intuitivo” riconducibili al tempo, come RICHTIGE DAUERN (Durate giuste), VERKÜRZUNG (Accorciamento), ANHALT (Fermata) e anche VORHANUNG (Presentimento). Ma è a partire da SIRIUS (Sirio), un brano di 90 minuti per quattro solisti e suoni elettronici del 1975, che Stockhausen inizia a utilizzare esplicitamente sistemi culturali di misurazione del tempo per costruire la forma musicale. La sezione centrale di SIRIUS, ad esempio, intitolata DAS RAD (La Ruota) è strutturata come un intero anno e divisa quindi in quattro stagioni. Il compito di rappresentare lo scorrere dei diversi momenti dell’anno è riservato ai segni zodiacali, interpretati dalle melodie, che erano state composte nel 1974 sotto il titolo collettivo di TIERKREIS (Zodiaco). In particolare, alle melodie di Cancro, Bilancia, Capricorno e Ariete, associate a uno dei quattro solisti, spetta il compito di rappresentare ognuna un’intera stagione e sono sottoposte al complesso processo di metamorfosi compositiva che caratterizza la parte elettronica, mentre le rimanenti otto melodie sono utilizzate in modo molto riconoscibile, solo per scandire il passaggio da una stagione all’altra. Infine, la struttura circolare della Ruota permette di orientare il brano a seconda del periodo dell’anno in cui viene eseguito, così da iniziare con la stagione in corso.
DER JAHRESLAUF (titolo dalla difficoltosa traduzione che si può intendere come “Il Corso degli Anni”, ma anche “La Corsa degli Anni”) è un brano del 1977 direttamente ispirato alle sonorità del Gagaku giapponese, che per la sua struttura sonora a livelli gerarchici ben si presta a interpretare il rapporto tra anni, decenni, secoli e millenni. Nella versione scenica di questo brano, che non solo è incluso nel ciclo LICHT (Luce), ma che, con l’idea scenografica del finale in cui una luce si accende gradualmente, è stato la vera fonte ispiratrice almeno del titolo del ciclo di opere, quattro corridori, rappresentanti ognuno gli anni, i decenni, i secoli e i millenni, gareggiano tra loro per arrivare dall’anno 0 all’anno di rappresentazione del brano. Il tempo scorre affannosamente per raggiungere il traguardo del presente, ma quattro tentazioni lo interrompono: è il Lucifero stockhauseniano che vuole fermare il tempo in quanto segno della materia e della carne. Nella cosmologia del compositore Luzifer si oppone a Michael, in quanto il primo rinnega la possibilità di un successo nel mischiare spirito e materia, un esperimento che il personaggio di Eva conduce sotto la guida di Michael e che ha come soggetto proprio gli esseri umani. Gli incitamenti di Michael convinceranno i quattro corridori e i musicisti associati ad essi a continuare, dopo le interruzioni di Lucifero, il faticoso lavoro di svolgere il tempo e la Storia. Anche in questo caso gli elementi temporali sono individuati da musicisti e in particolare da gruppi strumentali. Il brano è stato originariamente composto per gli strumenti della tradizione giapponese che compongono l’orchestra Gagaku, ma ne esiste anche una versione per strumenti occidentali: clavicembalo amplificato, chitarra e grancassa (anni), trio di sassofoni soprani e bongo (decenni), trio di ottavini e incudine (secoli) e trio di harmonium (millenni).
A partire dal 1978 inizia la composizione del grande ciclo di sette opere intitolato LICHT, che verrà completato solo venticinque anni dopo, nel 2003. Ogni opera è dedicata a un giorno della settimana, la durata totale progettata dell’intero ciclo è di 16 ore e la matrice originaria da cui ha origine il materiale musicale di tutto il ciclo, cioè la cosiddetta Superformula, dura soltanto un minuto. In realtà non è la prima volta che Stockhausen progetta cicli o comunque modi che possano connettere e coordinare singole opere in un insieme più ampio. Quello che potremmo chiamare tensione verso l’unità era presente fin dagli inizi della sua carriera, almeno a partire dai pezzi per pianoforte che originariamente erano concepiti per essere ventuno e di cui solo undici brani sono in vari modi testimoni del primo progetto. D’altra parte il desiderio di arrivare a un durchkomponiren totale, e cioè la volontà di superare le forme a suite per individuare i criteri unificanti con cui organizzare estensivamente anche materiali disomogenei, in modo che anche la giustapposizione e il contrasto, non più semplici effetti, risultino emergere da un livello semantico sottostante, è stato dichiarato dal compositore fin dall’inizio. All’estremo, la vita stessa diventa una composizione di cui i brani composti sono soltanto i frammenti. La composizione diventa un modo per trasformare la propria vita. Allo stesso tempo, però, i numeri limpidi della progettazione devono scontrarsi con la carne e il sangue della vita e più i progetti sono ambiziosi, più rischiano di infrangersi contro il muro dell’estemporaneità. Così le 16 ore di LICHT diventano 29 per sottostare alle esigenze del teatro, di una rinnovata ispirazione o comunque dell’esistenza, grazie soprattutto all’aggiunta di “inserti”, di cui il più ingente è proprio DER JAHRESLAUF che diventa il primo atto del DIENSTAG (Martedì). Beninteso, le sette opere sono sì dedicate ai sette giorni della settimana da cui prendono il titolo, ma sono articolate attraverso le relazioni tra i tre personaggi, Luzifer, Michael ed Eva, all’interno di un universo simbolico che collega il tempo della vita quotidiana con quello del mito. A Michael (che è un esplicito riferimento alla figura dell’arcangelo Michele) spetta il compito di fare da tramite tra il tempo della vita fisica e l’eternità dei cieli proprio nell’opera dedicata interamente a lui, il DONNERSTAG (Giovedì), in cui a partire dalla sua presenza incarnata in un “uomo qualunque”, che in una scelta che non ha mancato di suscitare polemiche è il compositore stesso, attraverso un percorso dall’humano al mundano torna gradualmente ad essere se stesso, come trasfigurazione dell’umano in puro spirito. Al contrario, nonostante gli aspetti ritmici costituiscano la caratteristica musicale di Luzifer, il suo tempo è maliziosamente svincolato dall’umano e come tale viene celebrato nel brano per orchestra LUZIFERS TANZ (La Danza di Lucifero) all’interno del SAMSTAG (Sabato), l’opera a lui dedicata, come l’innaturalezza di una marionetta in balia di un meccanismo mostruoso di cui possiamo vedere il volto gigantesco frammentato in mille tic e smorfie. La progettazione di un ciclo di opere assomiglia molto alla tentazione luciferina di lottare contro il tempo, estendendo un istantaneo momento di intuizione su un intervallo di tempo più vasto (nel caso di LICHT, venticinque anni!). Si tratta di una vera e propria sfida allo scorrere del tempo, la ricerca di un frammento di eternità, che solo con la realizzazione del ciclo LICHT è riuscita a sfuggire ai vincoli della carne. “Dopo… vorrei comporre Il Giorno”, dice Stockhausen in un’intervista del 1987, “le 24 ore del giorno, così da dare un nuovo significato musicale ad ogni ora del giorno. E poi voglio comporre L’Ora, e poi Il Minuto e, come ultimo lavoro, il Secondo”. È il progetto di un vero e proprio “ciclo di cicli”.
E il compositore ha tenuto fede alle sue intenzioni quando, nel 2004 ha iniziato a lavorare al ciclo KLANG (Suono) dedicato alle 24 ore del giorno. Non si tratta più di opere che richiedono un ingente allestimento scenico, ma di ventiquattro brani relativamente brevi, con durata tra i 15 e il 41 minuti, scritti per organici cameristici con o senza la presenza di elettronica e divisi in due parti dalla tredicesima ora: un lavoro per soli suoni elettronici intitolato COSMIC PULSES (Pulsazioni Cosmiche), che raduna gli strati elettronici che verranno utilizzati nelle ore dalla quattordicesima in avanti. Se progettare è un modo per rinnovare la lotta tra Luzifer e Michael contro o a favore del tempo, un modo per cercare di portare un frammento di eternità, un “inserto” all’interno dello scorrere inesorabile del tempo, allora forse il fatto che la realizzazione di KLANG è rimasta incompleta è, per così dire, la migliore risposta di Michael. KLANG si interrompe con la ventunesima ora, PARADIES (Paradiso), per flauto e musica elettronica, basato sui primi tre strati sonori di COSMIC PULSES a cui si aggiunge, nella parte elettronica, la voce di Kathinka Pasveer che, seguendo la struttura prevista per i brani della seconda parte di KLANG, analizza in tempo reale la composizione.
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