da “Inventari” (2001)
di Andrea Inglese
RILIEVI
.
Belletrista dai nervi
scoperti sotto scossa
elettrica inarcato: stacco
dal silenzio un fumetto
per schizzo cinetico o furia
o soltanto facezia
lo allungo e lo gonfio con zeppe
lo taglio con chimiche scorie
quando scoppia è rumore bianco
copriti il volto: te lo spedisco.
* * *
Cose stesse
Il ragionamento sta in piedi
e poggia sulla frase falsa
che fa da assioma, detta
dalla maschera che non cela
un volto, ma forse un ritratto
ormai stinto sulla parete
bianca, dentro una cornice vuota
e se qualcosa è stato (qualcuno
colpevole ha colpito) lo sai
al risveglio, per il pugno
senza traccia ma dolente ancora
sul sopracciglio, che poi è finto:
matassina di lana e acrilico
di un già passato carnevale.
* * *
Forma chiusa
Paesaggi scomponibili
ad esemplare unico: l’albero
a cavolfiore, la loggia, il sasso,
l’inclinato viandante.
Li dispongo di giorno
e li ripongo di sera
nella scatola quadra.
Vario quel tanto che basta
a suggerire il moto
del mondo, un intreccio,
una didattica favola
di rana e lupo.
Ma sparecchiato il presepio,
pulita la scena della storia,
è l’incontenibile fondo
che albeggia, lampo
d’insaturabili spazi
che nessuna cornice
finale felice o truce
obbliga nella forma chiusa,
nell’orma finita.
* * *
Dettaglio
lasciate che appaia un’asola,
un’unghia, un angolo di carta
da sotto il mantello,
un’otturazione di metallo
dalla testa reclinata
sul marmo, lasciate
che la scena immane sbocciata
tra cavalieri, banchetti, ascensioni
sia lacerata, rasa
da un dettaglio, e che un chiodo
sporga, luminescente, dal legno
e l’impronta di fango
sul muro, e la piega affilata
della veste, lasciate che remoto
il rammendo
come una lebbra sfiguri
cena, deposizione, martirio
e una venuzza spaccata
sia rasoio nell’occhio
dei papi di Velasquez
* * *
Ospiti
Dove alloggi tutta questa folla
che non sai se amica o nemica,
che ignori da che attimo e mondo,
da che fallo di senno sortita?
Come la sfami, la disseti, la vesti?
È gente che ti conosce, esce
da ogni angolo ghignando,
ti s’impiglia nei passi, è sparsa
ovunque, ciondolante, vacua,
pencola da pareti e parapetti,
infila braccia tra le grate
dei tombini, passa la testa
dallo sfogatoio di grondaia,
accampa nel camino murato,
ti sfrega le mani sul petto,
ti s’appende alla cinta, tutti
li ritrovi: lamie dagli occhi
sporgenti d’insetto, tutori
a squadre dentro le aule vuote,
alcolisti dai denti rari, bimbi
che girano ululando per le stanze,
amici che ti porgono aghi, pubi
d’amanti tappezzati di zecche
e commercianti azzimati, sporti
da chilometrici banconi. Devi
dargli nome, alloggio, razza,
provenienza, intreccio, in luce
porli sopra un piedistallo,
farli passeggiare in greggi
sotto porticati, con mano
dolce portarli sulla via maestra,
a suon di flauto sull’argine
del pozzo, nel buio dell’oblio
a uno a uno, per sempre,
rovesciarli.
* * *
Ecosistema 1
Un intrigo di cinque o sei formiche
in riga, sballottando febbrili un cadavere
di mosca (torso senz’ali e zampe),
tuba squillante, vittoriose infrangono
il dormiveglia delle mattonelle,
gli echi macchinali di cane
rimbalzati a scoppi uguali dal cortile,
l’inesistenza che moltiplica anonima
dentro le teste ragionanti, guardinghe,
tese con liste di clausole allo scatto
d’un becco, al creparsi improvviso
della scorza, al capillare esploso.
* * *
Clausole di felicità
Un tuffo di frodo un attimo solo lassù
a gomitolo, un salto, usurpando un posto
nel bene sommo, sul pasto di perle,
nel fiore utero di divina eroina,
stando come sabbia su sabbia, rinchiusi
a mollo nel velluto, mallo di papi, globi
di loto nel sangue, come lische in midollo,
nutriti, cullati dal siero, educati dalle voci
ovattate: senza tutte le fatiche, il taglio
delle felci giganti con le seghe e le falci,
le zolle voltate e rivoltate con le vanghe,
il pezzo scuoiato di montone, cotto, messo
a digestione nel sacco, in veleno ridotto,
e dopo ancora conato, buio uguale di fame.
Voglio, per formula succinta, l’essere
all’ingrosso, stagno, senza crucci, feci,
pori, sogno blindato senza fori di fiato,
moto ignaro, vivo non specchiato,
chiedo tepore di seni su senziente
palmo in ozio, privo di callo e sudore,
né vizio di talenti o semi da far frutto,
ma mani in mano, a maniglia sull’aria,
solo valve di vasche e paperelle a nuoto
sul ventre di pesca, barlumi di more
nel palato asciutto, senza falle d’esofago
o denti, ma piedi in lutto di passi, obliati
piedistalli nell’erba, e non sia mai lotta
di vespe o vermi, di germi nei buchi,
ma risaie di stelle sfuocate, godendo
caldani di galassie, a flutti d’amore
endovenoso, non tagliato, puro.
* * *
Comparse
non c’è da dubitare, saranno ancora
individui cosmico-storici a fare
quel tanto di storia che basta, da zone
a noi remote sorgono dettagliate
realtà, s’insinuano nell’aria, viaggiano
celate in una frase accattivante
e s’incarnano, batterio per batterio,
come a caso: un mal di testa, una tosse
tutto qui dentro è obsoleto, senti
come fuori cambiano gli affetti, i timbri
delle voci, i lineamenti, gli umori,
la plastica respira in fotosintesi, l’acqua
di fonte è colorata e solida, il latte
in polvere polverizza gli stomaci,
tutto qui dentro è lento, caduto,
noi siamo puri accidenti nel corso
del mondo, non abbiamo neppure
depositato un marchio, inventato
un modo sagace di fare denaro
il tuo neo sotto l’ombelico passerà
inosservato, non ne parleranno
in nessuna storia ufficiale,
non comparirà neppure in un porno
amatoriale, come una gemma
rimarrà incastonato in un punto
della mia mente, tra la memoria
olfattiva e tattile, senza una trama,
un tema preciso, una funzione,
non lo conosceranno le questure
né i confessori pagati, ma solo
fluttua come cometa, stemma, idolo,
nei nostri vaneggiamenti vegetali
assieme al mio taglio sotto il labbro
che tasti assorta, i poli sono questi
e questo il mondo: le pareti, gli abiti
in terra, i paraggi dei corpi, le pose,
le cose organiche, inorganiche,
gli scorci del volto quando ti posi
sopra di me come un’ombra di pioppi
ma non c’è mare o sabbia e siamo desti,
non stiamo sognando, sono labbra vere
le tue, le mie mani non scompaiono
come miraggi quando ti serrano
la nuca, eppure non abbiamo orologi
e vaghe sono le nozioni geografiche
(storicamente siamo comparse
già uscite, liquidate, ma ancora
s’ode il canto e il ballo del corso
del mondo: uomini acrobatici
si danno fuoco davanti alle ambasciate,
i cingolati a gara accostano fuggiaschi
in bicicletta, sotto di noi si urla, si spacca
un labbro per una giacca fuori posto)
* * *
[Grazie all’iniziativa di Indypendetemente e alle sollecitazioni di Maestro Forlani ho riproposto in rete Inventari, il mio secondo libro di poesia edito da Zona nel 2001. Qui presento alcuni testi di una delle sezioni intitolata Rilievi. Spero che 13 anni non siano stati sufficienti per far invecchiare troppo velocemente questo lavoro. L’iniziativa Indypendentemente mette a disposizione gratuitamente in rete libri che non sono più in circolazione o che in ogni caso circolano al di fuori dei grandi distributori. D’altra parte, nel mondo non solo poetico, ma più in generale di tutta la letteratura nulla rimane per lungo tempo in circolazione. a. i.]
grazie! ottima iniziativa.
Ho sempre pensato e detto che era una delle migliori opere di poesia degli ultimi 30 anni; adesso riconfermo e dico che è tra le migliori degli ultimi 40. Inglese non ha mai scritto meglio (ma l’anitra cotta da poco è comparabile), solo doveva lasciar perdere i meticciamenti postindustriali, ma questo è pensier mio; solo doveva essere lui a presentare i vari Maiorino e Cepollaro, e non il contrario, ma questo è pnsiero mio. Ma quando parlo di poesia difficilmente mi sbaglio, poi Crono-Saturno è un galantuomo.
Il problema della poesia è, oltre alla sovrapoduzione, l’assenza di ascolto critico, leale, e reale. Vorrei tanto che si leggessero i poeti e non li si citasse per modo di dire o quando sono morti.
Tra poche settimane esordirò con una collana di poesia da me diretta che si chiamerà ‘Il drago verde’ (Lupo Editore). Il primo autore è Alfonso Guida, uno dei primi 12 poeti italiani. Ne farò collana assoluta: 2 titoli all’anno, tra i migliori.
Mi piacerebbe avere Inglese in catalogo.
Caro Mich,
per l’intanto, come ti dissi nella grotta-enoteca materana, Alfonso Guida, che già fu presente alla Festa di Nazioneindiana a Mesagne, sarà ospite gradito qui.
“ecosistema 1” è la più viva (sarà che trovo una particolare umanità negli insetti) e lascia il segno indagando in modo “capillare” l’equilibrio (o meglio il corto circuito) dinamico che lega esistenza e inesistenza.
bellissima poi, l’iniziativa *Indypendetemente*, con cui non posso che entrare in risonanza affettiva copylefterata.
: )