Le bleu du malheur
Le bleu du malheur
di Augusto Petruzzi
“Ciò per cui troviamo le parole è spesso già morto nel nostro cuore.
Vi è sempre una sorta di disprezzo nell’atto del parlare”
[Friedrich Nietzsche]
Rileggi alcune note, sono trascorsi 10 anni, per una collana editoriale mai nata, “scritture del disastro”. Quel che ti separa da loro, lo ritrovi insieme ad alcune foto, è un tempo trascorso che ha già seppellito se stesso. Scegli soltanto di ricordare intorno a qualche frammento.
Alcuni uomini hanno scelto la scrittura come pratica d’impossibile, non per assecondare un tentativo o una tentazione ma alla stregua di esseri affetti da particolari disturbi dello spazio che possono attraversare unicamente a condizione di non toccare quei fili invisibili di cui, unici depositari, sono a conoscenza. Tra loro, alcuni hanno scelto, al posto di delimitate porzioni d’aria, il movimento instancabile accanto a quei fili. Percorsi dove il tempo e la materia sono soggetti a perturbazioni. Assistiamo dunque ad accelerazioni e glaciazioni repentine, la scrittura ne è contagiata, brulica, brucia o si arresta fino ai limiti di pura registrazione. Altri, provando talvolta a spezzare l’ordito di quei fili invisibili, scelgono volontariamente di esporsi al disastro…
Immagini sbiadite di altri, ascoltati in famiglia. Soldati tedeschi armati della loro lingua, anche… pane nero, fuga in campagna, mio padre piccolino con sua madre.
Surriscaldato da forze centrifughe, il ‘900 si torce al centro intorno ad una catastrofe, l’unica vera tragedia del nostro tempo.
Quel che i documentari ci hanno mostrato dell’orrore dei campi non restituisce la verità perché nessuna macchina potrebbe. Anni fa hai avuto l’occasione di assistere ad alcune sessioni di montaggio di un documentario sui sopravvissuti toscani. Le parole filmate, ascoltate e ripetute tra impassibilità e commozione, continuavano solo a rivelare una verità che nessuno conoscerà mai. Alla presentazione c’erano alcune delle persone intervistate. Il loro sguardo, dopo la proiezione, lo ricordi bene. Ricordi cosa hai visto nei loro occhi, la prova del tuo non sapere…
Chi testimonia per il testimone ?
Alcuni studi dicono che molti dei sopravvissuti riuscirono a superare quei giorni grazie al canto, ricordi “Abbiamo lasciato il campo cantando” di Etty Hillesum, che non ritornò. Ricordi il “Quartetto per la fine del tempo” eseguito per la prima volta nel campo di lavoro di Görlitz.
Messiaen ha cercato di esprimere qualcosa di umanamente impensabile, la scomparsa del tempo, un tempo che si estingue. Il tempo si estingue nell’esperienza interiore e come tale non può essere trasmessa.
Nomi… storie… troppi come i libri attraversati dai tuoi 19 anni su ogni aspetto di quel che accadde e poi voler ritrovare tra le pieghe di altre pagine le narrazioni. La coscienza dell’impossibilità di sapere segnò l’arte ed il pensiero nella ricerca della verità e Alcuni uomini… Pensi ad Ingeborg Bachmann che della catastrofe portò sempre con se un livido sonoro, il suono dei tamburi delle SS che sfilano a Klagenfurt, la sua città natale, per lei bambina fu un evento traumatico. Rievoca l’episodio in un racconto “Giovinezza in una città austriaca”. Pensi a Samuel Beckett che durante la guerra diventò null’altro che un anonimo raccoglitore di patate per aderire al paesaggio campestre nel miglior modo possibile… Ricordi quel che scrisse uno sconvolto Michel Foucault spettatore di “Aspettando Godot”.
Le blue du malheur…
Tradotto potrebbe divenire L’azzurro della catastrofe, impossibile restituirne le molteplici sfumature. Accostamento simbolico tra il titolo, “L’azzurro del cielo”, di un celebre romanzo di Georges Bataille e malheur, un termine caro a Simone Weil che nel suo pensiero evoca sconfitta, catastrofe, disastro. Nel romanzo, il personaggio di Lazare è Simone Weil. Rileggo, dopo tanti anni, alcune pagine, la prima parte, le pagine dove appare Lazare e le ultime due; quando a prendere il posto dell’oscena depravazione dei corpi è l’oscenità sonora di una parata di giovani in divisa. L’atmosfera torbida, che pagina dopo pagina ha violentato le vite dei protagonisti, alla fine si dispiega nei segni premonitori dell’imminente disastro…
Un tempo dove “le macerie non hanno più tempo di diventare rovine” come afferma Marc Augè, rendendo profetiche le parole che Alfred Jarry fa pronunciare alla sua creatura in Ubu incatenato “non avremo distrutto niente finche non avremo distrutto anche le macerie”.
“…attraversare il male senza prendersi per una incarnazione del bene”
(Tzvetan Todorov)
Credits Immagini
Senza titolo – Studio su Fallimento I – V di Samuel Beckett (tecnica mista su carta 2003)
Senza titolo – Studio su Fallimento I – V di Samuel Beckett (tecnica mista su carta 2003)
Senza titolo – Studio su Fallimento I – V di Samuel Beckett (tecnica mista su carta 2003)
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Sola la parola letta mi ha fatto toccare il disastro.
Non era il cielo blu della lettura, la paura finta delle favole.
Fu la paura vera-mentre leggo il diario di Anne Frank- ho dieci anni. Trovo somiglianza tra il suo viso e il mio. Leggo e sento la paura entrare in me. Ogni albero mi rammento il suo ,di bellezza lontana.
Il suo diario abbandonato e l’assenza, il vuoto.
Le miei domande.
Poi ho saputo con i libri di Storia. Ma l’ho sentito con le parole di testimonianza.
Impossibile di chiudere gli occhi la notte dopo la lettura.