VOLPONI (dallo Zibaldone Norvegico)

di Luigi Di Ruscio

Mi proponevo poesie a comunicazione rapidissima e senza sotterfugi, la gente ha fretta e bisognerebbe scrive­re romanzi di un’unica frase, la mia è una affermazione di identità e mi irrita se mi confrontano con un scritto­re molto importante che magari stimo. Antonio Porta quando dirigeva “Alfabeta” voleva pubblicare il primo capitolo del mio romanzo il Palmiro, dovette rinunciar­vi, aveva trovato tutta la redazione contro, nella reda­zione c’era anche Volponi e Leonetti, strano che anni dopo, tanti anni dopo Volpini mi disse che il Palmiro era un capolavoro, erano presenti De Signoribus e Zinato. Leonetti farà la prefazione alla mia ultima raccolta. Alla gente occorre anni ed anni per capirle le cose e non è certo colpa mia, anzi è colpa mia. Lavoro nella solitudi­ne più completa, non so niente della situazione letteraria italiana, leggo giornali e libri norvegesi è chiaro che al lettore occorre tempo per capire. Ero un amico frater­no di Eugenio De Signoribus, le sue poesie neppure le leggevo, mi arrivavano le sue raccolte con dedica, davo una vista e mettevo nella libreria, non è questione di va­lori, siamo diversi, Volponi è un grande scrittore, però la scrittura del sottoscritto e quella di Volponi o De Signo­ribus è tutta diversa, ho l’ambizione di essere solamente me stesso, nessun pugno e neppure denti, la scrittura del sottoscritto è diversa da quella di tanti grandi scrittori marchigiani o milanesi e se trovate qualche somiglianza è perché certi grandi scrittori sono stati influenzati dalla mia scrittura, io non leggo poesie dei contemporanei, abito ad Oslo, gli ultimi libri italiani che ho compera­to sono i libri di Sbarbaro editi da Garzanti, le opere italiane di Giordano Bruno e la biografia di Zangrandi e Feltrinelli della Baldini&Castoldi figuriamoci se vado in Italia a comperare i libri di Cucchi per esempio o del Ricciardino, mica ho soldi da buttare e non ho neppu­re tempo da buttar via a 76 anni. Sono incastrato in due fenomeni opposti, perché diverso vengo rimosso, i critici illustri preferiscono il prevedibile, vengo rimos­so anche perché viene disconosciuta la mia diversità, in fondo adoperiamo tutti lo stesso alfabeto, anche se l’ita­liano del sottoscritto è leggermente insolito. La fedeltà alla stima di Volponi di certi critici che hanno stimato la mia poesia non dovrebbe disconoscere che grande è la diversità della mia ultima raccolta con qualsiasi scrittura di Volponi, la mia prima raccolta edita nel 1953 è: Non possiamo abituarci a morire, poco prima Volponi pubbli­cava la sua prima raccolta, possiamo paragonare queste due prime raccolte? Ci possono essere due raccolte tanto diverse? Una con prefazione Carlo Bo, il ricercatore del viscerale, l’altra raccolta ha la prefazione di un Fortini del primo dopoguerra che se non altro si era accorto del­la terribile tragedia dell’ultima guerra mondiale e sapeva che una certa poesia dopo l’olocausto era diventata im­possibile. Ho amato la Divina commedia, le grandi poe­sie di Leopardi, I sepolcri di Foscolo e i sonetti del Belli, dei contemporanei le prime tre raccolte di Montale, la prima di Ungaretti, poi poesie isolate dei maggiori poeti del novecento. Si tratta di poeti estremamente diversi, un Leopardi e un Belli nonostante fossero contempora­nei è come fossero poeti di pianeti diversi, I sepolcri non è certo le Rimembranze, la prima raccolta di Ungaretti è la cosa più diversa degli Ossi di seppia.

Conosco i professori, mio figlio insegna cibernetica in una università norvegese, qualsiasi cazzata mi dice mi domanda poi ripetutamente se ho capito, poi magari mi racconta delle cagnare con certi ricercatori anche ci­nesi che gli avrebbero fregato non capisco bene quale enigma. Capisco anche che tutto può essere uguaglia­to e tutto può essere distinto, per esempio Iddio e il sottoscritto sono molto dissimili, siamo simili in una cosa, siamo tutti e due essere viventi anche se per po­co, come ripeto ho 76 anni. Il sottoscritto e Volponi che un tempo confondevo con Volpini sono tutti e tre marchigiani, siamo tutti e due nello stesso periodo sto­rico, però caro critico amico, dopo aver eguagliato poi bisogna distinguere. Anche nella marchigianità ci sono differenze, io sono nato a Fermo, Marche sporche, Vol­pini è di Urbino che non risiede nelle Marche sporche, lassù sono puliti. Le distinzioni bisogna farle oppure non si capisce più niente. Tra un assassino e il sotto­scritto ci sono somiglianze, ieri con un colpo di giornale ho ammazzato una mosca e non ho mai ammazzato un uomo e neppure una donna per fortuna, e ancora per fortuna non ho causato neppure per sbaglio la morte di nessun uomo o donna. Le vespe che terrorizzano Mary ho dovuto farle fuori perché non sono riuscito a farle volare fuori della finestra. Volponi che è nato nel 1924, nel 1944 alla caduta del fascismo aveva venti anni, cioè come tutti è stato fascista sino a venti anni, durante il periodo fascista erano tutti fascisti, io ho portato la ca­micia nera per tutti i sabato del periodo scolastico che si chiamavano proprio sabato fascisti, c’era una carriera stabilita, figlio della lupa, balilla, avanguardista e giova­ne fascista, Volponi avendo anni 20 nel 1944 sarà stato giovane fascista, stessa cosa per Pasolini, questa gente ha raccontato tutto mai hanno accennato di aver portato la camicia nera sino all’età adulta, la prima raccolta di Volponi è tutto il contrario del Volponi dell’età adulta. Cioè di un Volponi della sinistra italiana, insomma vor­rei che non si facessero più apologie ma analisi critica, gli autori seri come Volponi sono sempre estremamente travagliati, per esempio il sottoscritto di oggi è diverso dal sottoscritto della mia prima raccolta dove mai mi sarei permesso a scherzare con le vespe. Ho scritto di queste cose a diversi tipi, vediamo cosa succede, proba­bilmente niente, figurati se prendono in considerazione quello che dico io. Io vorrei essere il fratellino minore di questa gente, come ogni fratello minore che si rispetti dovrei spiarli e riportare tutto ai miei genitori, chi sa­rebbero i miei genitori in questo caso? A chi raccontare le malefatte dei nostri fratellini maggiori? Ora cerco di raccontarle a voi. Figurati se i professori in belle lettere prendono in considerazione quello che scrivo io.

[questo testo di Di Ruscio fa parte dello “Zibaldone Norvegico”, in uscita da Luigi Pellegrini Editore, collana “Itaca Itaca” con una prefazione di Angelo Ferracuti e una nota finale di Mauro F. Minervino]

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8 Commenti

  1. Una pagina splendida. Coma la giri la giri, funziona. E’ un miscuglio perfetto.

    Per Sartori: ha qualche info di più sullo Zibaldone norvegico? Si tratta di un libro compiuto, incompiuto, ricostruito, rincollato… ste cose qua, insomma. Grazie. Dinamo

    • il libro è una bella novità.
      il grande luigi di ruscio, il suo formidabile “zibaldone norvegico” esce nella nuova collana “itaca, itaca” che dirigo da pelligrini editore a cosenza, e che esordisce proprio con questo primo titolo.
      da oggi il libro che ho curato con angelo ferracuti è in libreria.
      prenotatelo e compratelo, questo libro rappresenta il lascito poetico, l’ultima “racconta” di luigi di ruscio, uscita postuma, ma molto amata e accudita da noi fino alla fine.

  2. Luigi, come sa chi gli è stato vicino, aveva le sue splendide manie e travolgenti idiosincrasie. Talvolta poteva sembrare un personaggio volponiano, un eccentrico, geniale e vagante tra le pagine di Corporale o de La macchina mondiale.
    Dalla specola norvegese, spesso si figurava il mondo letterario italiano come un’associazione monolitica e compatta, capace di ordire nell’ombra i più biechi complotti e le più oscure trame. Non che manchino, ovviamente, trame e meschinità: ma pensare alla redazione di “Alfabeta” come a un comitato sistematico e pianificato, e a Volponi come uno che legga sistematicamente i testi e prima respinga e poi si scopra entusiasta di “Palmiro” è davvero poco verosimile. Poco prima dell’incontro a Urbino, credo nel ’93, con me , Eugenio de Signoribus e Luigi, Volponi mi aveva segnalato e donato “Palmiro”, in edizione Transeuropa, e me l’aveva descritto con precisione per quello che è: un libro strepitoso, vitale, folgorante. Eugenio, da parte sua, pubblicherà e presenterà la raccolta “Enunciati” di Luigi. Quel bellissimo incontro, fissato da una bella foto di Di Ruscio sulle mura della città ducale (della “nemica figura”), è del resto narrato in una poesia di Luigi con toni del tutto utopici e generosi.

  3. Luigi Di Ruscio
    FOTO RICORDO

    Paolo sembrava che ormai avesse la vita come uno straccio
    stretta tra i denti s’appoggiava alle mura si mormorava Esiodo
    la speranza è l’ultima divinità rimasta tra gli uomini
    tutti gli altri si sono ritirati nell’Olimpo
    come l’usignolo negli artigli del falco e tra le pietre delle mura
    cercavo di mettere a fuoco un fiore splendente da cogliere vivo
    appena lo cogli appassisce risplendeva nel tenue crepuscolo
    Eugenio era abbastanza tranquillo nel constatare che il tutto
    ancora esisteva ed era anche sopportabile e un tempo
    con una Brownie e l’esposimetro Weston Master fotografavo
    tutto l’universo immobile Emanuele disse che si ripete in maniera ossessiva
    il leopardiano aspettare bramosamente il dì festivo
    con la rivoluzione festa delle classi oppresse
    c’erano le improvvise rivelazioni e il sottoscritto
    già si preparava anche a scattare sul vicolo dell’orto
    la camera non era più la Brownie l’occhio dell’obbiettivo era enorme
    tutti e quattro vi ci specchiavamo
    mi rimuovevano perché dovevano scopiazzarmi così deliravo
    e tra noi e l’obbiettivo passò l’ombra
    nessuno riuscì ad essere come volevamo
    forse solo Eugenio rimase perfetto perché non voleva più niente
    più che la speranza è già un miracolo che siamo tutti in vita
    il meno angosciato rimase quello che dell’angoscia
    e della morte aveva avuto il coraggio di scriverne
    senza fine ridendo
    (in L’aria di Brocca”, luglio-dicembre 1993

  4. Naturalmente la rivista è “L’area di Broca”. Fa parte della strategia dei lapsus, voluti e non, di Luigi la storpiatura del titolo sulla sua lettera, dei primi del ’94, con cui ci trasmise il testo.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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