Lo spirito dei miei padri si innalza nella pioggia
di Gianni Biondillo
Patricio Pron, Lo spirito dei miei padri si innalza nella pioggia, Guanda, 2013, 197 pagine, traduzione di Roberta Bovaia
L’io narrante è quello di un giovane scrittore argentino che è – e non è (magia del romanzesco) – Patricio Pron. Intellettuale transfuga, con alle spalle otto anni fuori dal suo paese, in Europa, immerso in un quotidiano annebbiato da alcol e droghe. Un modo forse di vivere il momento, come a scrollarsi di dosso un passato, personale e storico, che non si vuole a tutti i costi ricordare. Però il passato torna, inevitabilmente. Il padre del protagonista è ricoverato in ospedale, in fin di vita. Allo scrittore tocca tornare in Argentina, al capezzale del genitore.
Ottundere la memoria, sembra dirci l’autore di Lo spirito dei miei padri si innalza nella pioggia, non significa davvero dimenticarla. Il rimosso, freudianamente, torna sempre a farci visita, spesso nei modi più inaspettati. Il giovane scrittore, nei suoi giorni argentini, riscopre nella biblioteca paterna, un dossier di articoli di quotidiani che raccontano una squallida storia di cronaca nera. Perché il padre giornalista era interessato a questa vicenda?
La scrittura del romanzo è ossessionata dalla vertigine dell’elenco. Pron elenca e descrive sogni, articoli di giornale, titoli di libri, nomi di scrittori, avvenimenti minuti, fotografie, ricordi, medicinali. A tratti questa tecnica narrativa appare fin troppo stucchevole e compiaciuta, ma è anche il modo che ha l’autore per cercare di fissare, anche solo con un accenno, la realtà alla oggettività delle cose.
Questo è il romanzo di un giovane uomo che cerca il padre che sta per perdere, il quale cercava, prima della malattia, di ricostruire la vita di un uomo, il quale a sua volta era fratello di una ragazza desaparecida negli anni del regime militare. I legami con le persona, insomma, sono così profondi che non possono spezzarsi mai per davvero e gli insegnamenti di una lotta per la democrazia non possono e non devono essere dimenticati, pena, appunto, l’ottenebramento della volontà. La droga della quotidianità.
(precedentemente pubblicato su Cooperazione, n° 25 del 18 giugno 2013)