GIGI GIGI GIGI (strascichi di fascismi domestici)
di Giacomo Sartori
Gigi Gigi Gigi
quando l’estate spuntavi
erano selvagge abbuffate
con i tuoi fratelli
(le consorti guardinghe
noi figli incantonati
in un opaco presente)
girandole di bottiglie
e sghignazzamenti
feroci rievocazioni
politicamente scorrette
poi verso il dolce
fioccavano le tue granate
sui bersagli più fragili
impudiche provocazioni
offese precise
e ben tese
(un’arte che non si impara)
seguivano memorabili incazzature
delle mogli
una contro l’altra
o una contro tutte
(non parliamo di mia madre)
per me la famiglia era quello
i bagordi una volta all’anno
e le incazzature
(duravano poi anni)
Gigi Gigi Gigi
vivevi in Francia
con un bassotto obeso
(a ogni scalino
strusciava la pancia)
e una contessa russa
noi la chiamavamo Wanda
(il vero nome
è emerso solo di recente)
fragile e ialina
bella e indignata
anche lei inviperita
(la tua palestra quotidiana!):
la stessa guerra domestica
di mio padre
di vostro padre
l’esistenza come corpo a corpo
all’ultimo sangue
l’essenza del fascismo
(come potevano pensare
di avervi vinti?)
anche in casa
soprattutto in casa
(nessuno storico
ha scandagliato
questo intimo inferno)
Gigi Gigi Gigi
fumavi sigaretti
e adoravi le ostriche
i bianchi tondi
i rossi semitrasparenti
i liquori barricati
(senza peraltro snobbare
le trippe e le lumache
gli aperitivi gialli d’anice)
la tua specialità comunque
restava provocare
rendere pazze le persone
come altri amano far ridere
o pontificare su questo o su quello
ferivi con crudele buon umore
e peristaltici soprassalti
di gaia voluttà
una cattiveria non solo nevrotica
(la baionetta della verità
– la cosiddetta verità –
brandita da mio padre)
più folle e sguaiata
ridevi del sangue
vomitato dalle ferite
ridevi degli schizzi
sulla tua persona
del tuo stesso sangue
(l’intrinseco masochismo
del fascismo)
Gigi Gigi Gigi
alle partite di calcio
davanti agli italiani
tenevi per la Francia
sfottendoli
e offendendoli
coi francesi
tifavi per l’Italia
canzonandoli
e insultandoli
un caso molto istruttivo
per tutti gli emigrati
gli esuli
gli espatriati
(pure il sottoscritto):
non si può estirpare
ciò che alligna dentro
si può solo annacquarlo
o rovesciarlo come un guanto
(dicevi peste e corna dell’Italia
e avevi sempre
automobili italiane)
Gigi Gigi Gigi
anche tu fascista
come il nonno e gli altri zii
(beninteso tutti maschi)
ognuno a modo suo
(per quanto possa suonare strano
ci sono tanti modi
di essere fascisti)
eri un camerata godereccio
e dissacratore
virtuoso del sarcasmo
sei scappato
dalla democrazia
che ti voleva ancora militare
di nuovo la naia
(per di più con i vincitori!)
meglio spingere carriole
da buon rital
e pulire cessi
poi ti sei introdotto
hai trovato la russa bianca
(staffetta peraltro
nella resistenza!)
ti sei convertito
alle cravatte a farfalla
su camicie a bande azzurre
come le sedie a sdraio
un rispettabile bourgeois
(benpensante per provocazione?)
la salda alcova del centrodestra
Gigi Gigi Gigi
quando siamo venuti a trovarti
(invero una sola volta)
ci portavi in locali
dai soffitti alti
restavamo a bocca aperta:
il fois gras nella sfoglia
leggera come l’aria
gli ovetti marezzati di quaglia
le distese di formaggi
spampanati sui taglieri
come obese matrone
il gelato nella spumiglia bollente
i vini da duecentoventi franchi
(tu stesso recitavi il prezzo
di ogni bottiglia)
era un modo di ferirci
attaccata sul suo stesso terreno
mia madre
non trovava che le macchie
della vostra vasca da bagno
i francesi sono proprio porci
fanno schifo
diceva
Gigi Gigi Gigi
quando in un’era più recente
ti ho presentato mia moglie
l’hai studiata bene bene
ci hai provato con
i dipendenti pubblici imboscati
(t’avevo detto che insegnava)
poi con le femministe frigide
(qui razzolavi d’intuito)
lei incassava con sorrisi indulgenti
senza tentennamenti
(per ogni evenienza
l’avevo allertata
e per così dire preparata)
poi finalmente hai scovato
il suo tallone d’Achille:
sotto il fascismo gli italiani
stavano molto meglio
di adesso
hai detto
trionfando fin da subito
del suo furore
e rincarando la dose
tirando in ballo anche gli ebrei
che se l’erano cercata
(anche lei furente per anni)
Gigi Gigi Gigi
le tue offese
erano suadenti fendenti
portati da suoni nasali
(l’accento ormai frôncese)
la tua risata si incagliava
in un ghigno
anch’esso francofono
(l’impudenza agile dei lumi
imbolsita per l’eternità
nel pedissequo ottocento)
la tua brama monocorde
restava un po’ terra terra
come anche le battute
a sfondo sessuale
(perfino da terminale
davi i voti
ai seni delle infermiere)
non so nulla però delle tue amanti
(mi stupirebbe che ti astenessi
visto lo zelo di mio padre
e degli altri fratelli
senza parlare del nonno)
volavi più basso
di mio padre
ti mancava
la dedizione austera
e quasi mistica
di montanaro
(il fascismo dannunziano
e per così dire pseudoetico)
ma non bassissimo
con le tue piroette strafottenti
riprendevi quota
Gigi Gigi Gigi
nelle famiglie incarniamo ruoli
come negli eserciti
e nei circhi
tutto deve quadrare
il marchingegno deve girare
perpetuarsi in generazioni
inconsapevoli delle parti
ignare delle reiterazioni
tu officiavi
il guascone che gioca con la vita
che dileggia e ghigna
non rispettando nessuno
tanto meno se stesso
(quale signorotto trecentesco
incarnavi?)
senza peraltro bizze artistiche
(per queste c’era il fratello pittore)
e anzi con afflati d’ordine
un saldo impiego d’assicuratore
baffi e borsello
sigaretti e cravatte
a farfalla
Gigi Gigi Gigi
t’eri fatto più vecchio
di mio padre
l’avevi sorpassato
(il suo contatore s’era grippato)
t’era riuscita quest’altra beffa
battere il primogenito
il preferito
il grande esempio
il fascista più fascista
mano a mano che t’incavavi
e incedevi più anchilosato
con ondeggiamenti
di ubriaco che si da un contegno
assomigliavi sempre più a tua madre
i suoi occhi insolenti
ti sfavillavano
dietro gli occhiali da donna
anche la voce affilata
era ormai quella
e la curva liscia dei polsi
per non parlare
del vento scostante
e cattivo
dell’impazienza
le stesse interiezioni
(tu certo non sapevi)
dopo tanti anni
riviveva in te
la sua opposizione domestica
e viscerale
(violenta anch’essa)
al fascismo
(niente a che vedere
con l’antifascismo)
Gigi Gigi Gigi
adesso che sei morto
come chi non crede a niente
(anche tu
arenato alla materia
ignaro d’infinito)
anche tu crepato
senza rimpianti
o lasciti
o ponti di qualche tipo
(come muoiono i fascisti)
mi domando
cosa ci sia in me di te
(per mio padre già ho
provveduto agli scavi
ho inventariato i reperti
redatto i rapporti)
alcuni miei ingredienti
li trovo solo in te
(parlo di fragilità
e manchevolezze
di sensibilità impiegate male)
lui non c’entra
e nemmeno gli altri fratelli
la segregazione dei geni
smazza bene le carte:
prima che certi tratti
si diano appuntamento
su una stessa faccia
va via qualche generazione
(le memorie
non vivono tanto)
Gigi Gigi Gigi
per tuo espresso volere
le tue ceneri
torneranno
in quell’Italia
che hai irriso
per decenni
che hai sprezzato
quello zoccolo di partenza
che non conoscevi più
ormai un profumo vago
sonorità di vacanze
ma a quanto pare
anche un conforto
una via di casa
a cui tornare
(siamo proiettati
per tutta la vita
fuori di noi)
Gigi Gigi Gigi
quando son venuto da te
in un mattino indeciso
di questa strana estate
cercando il solito qualcosa
(sapevamo entrambi
che era l’ultima volta)
non mi hai chiesto di me
mangiavi e bevevi vino
con tetra applicazione
(le metastasi
risparmiavano l’appetito)
nemmeno tu
come mio padre
mostravi
un qualche interesse
lo scampolo d’un sentimento
il guizzo di un’emozione
un sospiro di benevolenza
anch’io mangiavo e bevevo
come punendomi
di nuovo arreso
di nuovo nudo
questo per me
è il fascismo
il mio fascismo personale
(il resto sono
le ormai repertoriate
e sempiterne
geometrie
della violenza:
la Storia)
Gigi Gigi Gigi
dopo mezzo secolo
di cruda guerra
la russa bianca
sempre più esile
e più minuta
(poco più di
trenta chili)
e più bella
un’indomito filino biondo
(il calice di Martini
sembrava enorme)
ha ritrovato in lei
la staffetta partigiana
che è stata
la giovane intrepida
(quella che poi non ha voluto
sentir parlare di medaglie
o di encomi ufficiali)
ha finito per dire basta
ha voltato le spalle
all’ultima risacca
del fascismo:
sei morto da solo
Gigi Gigi Gigi
ora tornerai in Italia
ti infilerai
nella tomba scassata
di tuo padre
e mio padre
(senza consorti:
il fascismo
è cosa da uomini)
nel vento di conifere
aspettando la neve
la pace della neve
ora siete tutti morti
cari fascisti miei
ora signoreggiano
altri poteri forti
con altre macchie
altre introiezioni
stili più accattivanti
ora il fascismo
vive in me
ora lotterò
con me stesso
Eh… il fascismo intrinseco, che non ha simboli, luoghi, tracce visibili: un nemico strisciante, trasversale, invincibile.
Ci sono immagini e personaggi di una forza così viva e inusitata per la forma poetica, per solito dedita a ellissi e/o dolorismi, una scelta molto felice per sintesi, ironia fulminante e asciugarsi di ridondanze narrative.
,\\’
⇨ AUGUSTO TRETTI
⇨ Il potere [ 1972 ]
ti ringrazio, Orsola (e non so se merito); ma in effetti per le intenzioni – ci hai acchiappato anche questa volta – miravo proprio a quel rasciugarsi delle ridondanze di cui parli; che poi come sempre non è nemmeno un vero e proprio mirare: è una voglia di, un piacere a, un bisogno; e restando sempre nel mio dominio; la poesia, quella vera, mi sembra essere altra cosa;
(a Trento si apre peraltro una casa Pound, e nelle sentite e sane proteste nessuno parla della compromissione della città con il fascismo, figuriamoci del fascismo intrinseco)