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Porno e dot-com. Trasfigurazione di San Francisco

di Silvia Pareschi

BDSM

“Qui, prima dell’aids, il sesso era dappertutto. Quando andavo a una festa, spesso mi ritrovavo in mezzo a un’orgia”, mi racconta un amico nostalgico. San Francisco, con la sua vasta comunità gay, venne colpita duramente dall’epidemia, che ne modificò almeno in parte l’atteggiamento gaudente nei confronti del sesso. Ma il trauma dell’aids non è l’unico avvenimento che ha cambiato la faccia stravagante e anticonformista della città. Alla fine degli anni Novanta arrivò il primo dot-com boom, la bolla speculativa del settore informatico con epicentro nella vicina Silicon Valley. La città si riempì di giovani imprenditori e programmatori strapagati, e l’afflusso spropositato di denaro, con il conseguente aumento del costo della vita, contribuì a espellere dalla città quelli che non potevano più permettersi di abitarci, fra cui una buona parte degli artisti e degli eccentrici che riuscivano a rendere interessante un posto un po’ provinciale e sonnacchioso come San Francisco.

Come ho già raccontato qui, oggi la città sta vivendo il suo secondo dot-com boom, e non è un bello spettacolo. Una clausola della legge sul rent control, la versione locale dell’equo canone, ha consentito negli ultimi anni il verificarsi di migliaia di sfratti, e sempre più vecchi residenti della città, appartenenti soprattutto alle minoranze e alla classe media in via di estinzione, sono stati rimpiazzati da un’omogenea maggioranza giovane, bianca e ricca (per ora disturbata solo dall’incongruità del Tenderloin, il quartiere dei poverissimi disperati che spunta come una strana escrescenza nel bel mezzo dell’opulenta downtown.

Gli abitanti del Tenderloin sono per lo più neri, quasi gli unici neri rimasti in città oltre a quelli delle case popolari di Hunter’s Point, una zona contaminata da sostanze tossiche e radioattive lasciate in eredità dai cantieri navali dell’esercito) che pensa solo a diventare ancora più ricca. San Francisco è oggi la città con il mercato immobiliare più caro degli Stati Uniti. Un monolocale (lo stesso di cui parlavo nell’articolo precedente, quello che si affittava per $5000 al mese) in un vicolo malfamato del popolare Mission District oggi si vende per 1.2 milioni di dollari, mentre in un altro monolocale qualcuno offre un posto-divano per 1075 dollari al mese. È il mercato, bellezza.

Ma una città piena di ragazzetti ricchi e viziati (la mia nuova vicina del piano di sopra, un perfetto esemplare della specie, dichiara ad alta voce che non ha mai imparato a cucinare perché quando abitava con i suoi genitori a Santa Barbara un celebrity chef veniva tutti i giorni a cucinare per loro) non è affatto divertente. San Francisco è bella, ma dopo averla girata tutta e averne ammirato le bellezze naturali e architettoniche verrebbe anche voglia di incontrare qualche persona interessante. Di vedere qualcosa di diverso dai soliti locali per fighetti e dalla solita gente fanatica di yoga e della dieta salutista del momento (l’ultima è quella dei voluntarily gluten free, che aboliscono il glutine non per allergia o intolleranza, ma perché è cool). Di trovare persone e storie fuori dal comune. Che esistono, per fortuna.

E io sono andata a cercarle in due ambiti molto diversi: la religione e il sesso. Mentre il mio interesse per le religioni degli Stati Uniti risale a molti anni fa, e non si limita al territorio di San Francisco, quello per il sesso “anticonformista” è nato proprio qui, nella città più libertina del paese, che malgrado la sua crescente omologazione conserva ancora una discreta quantità di stimoli pruriginosi. E così un giorno ho chiamato un’amica e le ho detto: “Ti va di accompagnarmi al Palazzo del Porno?”

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Un bidone di lubrificante

The Porn Palace è il soprannome dell’Armory Building, un’enorme fortezza di mattoni rossi che sorge all’incrocio di 14th e Mission, in una delle zone oggi più ambite della città (quella del famoso monolocale). L’edificio, costruito nel 1912, venne usato come arsenale della National Guard fino al 1976, dopodiché rimase inutilizzato per trent’anni, a parte qualche sporadica incursione come quella di George Lucas, che nell’enorme cortile interno – dove un tempo si svolgevano le esercitazioni – girò diverse scene ambientate a bordo di astronavi per la trilogia di Guerre Stellari. L’importanza storica dell’edificio venne siglata dal suo inserimento nel National Register of Historic Places nel 1978, e nell’elenco dei Designated Landmarks di San Francisco nel 1980, eppure nulla sembrava in grado di salvarlo da uno stato di degrado che a metà degli anni ’90 si stava facendo preoccupante. Tra il 1996 e il 2006 vennero avanzate diverse proposte per riutilizzarlo (magazzino per self storage, clinica di riabilitazione, palestra di arrampicata, uffici per imprese dot-com, centro di telecomunicazioni, condominio di lusso, edilizia popolare), che però si scontrarono con l’opposizione della comunità locale, preoccupata per l’impatto sociale e ambientale dei progetti.

Di queste divisioni approfittò l’inglese Peter Acworth, il fondatore di Kink.com, un sito di pornografia specializzato in BDSM (un acronimo “compresso” che contiene i termini Bondage & Disciplina, Dominazione & Sottomissione, Sadismo & Masochismo. La comunità BDSM vive felice e indisturbata nella tollerante San Francisco, dove ogni anno si autocelebra con la rinomata Folsom Street Fair, un festival di strada molto permissivo).

Alla fine del 2006 Acworth acquistò l’Armory per soli 14.5 milioni di dollari, e a partire dal 2007 cominciò a utilizzarlo come studio cinematografico. La nuova, superbamente ironica destinazione d’uso dell’Arsenale della National Guard suscitò altre reazioni contrastanti nella comunità locale. Molti l’accolsero come un modo per rivitalizzare l’edificio senza alterarne l’aspetto, un modo che oltretutto rientrava nella tradizione cittadina di tolleranza verso le minoranze sessuali. Altri, invece, si opposero con forza all’apertura dei nuovi “studios” nel bel mezzo della città. Melissa Farley, un’importante attivista anti-prostituzione e anti-pornografia, lottò strenuamente – ma invano – contro Acworth, paragonando la violenza dei film BDSM a quella praticata dai soldati americani ad Abu Ghraib (e dimostrando così di non avere ben chiaro il concetto di “consensualità”).

Oggi gli Armory Studios sono aperti al pubblico, e offrono visite guidate e seminari sul bondage. Le visite guidate costano 25 dollari, durano circa due ore e si ripetono tutti i giorni, due o tre volte al giorno. Io e la mia amica, un po’ tese e con un’ombra di ridarella isterica, veniamo introdotte in una sala arredata con velluti rossi e opulenti divani, decorata con quadri a olio a soggetto BDSM molto esplicito. La nostra guida ci aspetta seduta su un tavolo, coreograficamente collocato davanti a un paio di suggestivi panorami di corpi legati e ingabbiati. È un tizio bassetto e tutto nervi, con un anello al naso e la testa rasata, e parla con le mandibole serrate, rendendo molto difficile la comprensione di quello che dice, a partire dal suo nome. Lo chiamerò Ramón. Gli altri visitatori sono divisi equamente fra coppie etero – fra cui un sessantenne uguale a Roman Polanski accompagnato da un’amica ventenne, e una tizia con scollatura ombelicale e tacco 20 insieme a un giovane con l’aria da seminarista – e un gruppetto di giovani gay palestrati e molto divertiti. In tutto saremo circa una trentina.

Il tour del Porn Palace parte dal seminterrato, che con la sua atmosfera da segreta offre una serie di set perfetti. Per cominciare entriamo in una stanza di forma irregolare, dove un materassaccio laido troneggia al centro del pavimento. Dopo averci informati che nessun cambiamento è stato apportato alla pianta originale dello storico edificio (al massimo sono state erette alcune pareti in cartongesso, e naturalmente in ogni stanza sono stati installati gli indispensabili ganci da soffitto), Ramón spiega che ci troviamo nella stanza dei provini, dove i candidati al ruolo di “modelli”, dopo aver compilato un questionario online e aver firmato alcune liberatorie, sono chiamati a dimostrare la loro competenza e passione per la materia. La paga per i modelli va dai 200-400 dollari per un uomo etero “attivo” agli 800-1200 dollari per un transessuale “attivo”. Alcuni di loro fanno carriera e diventano attori e/o registi, come la famosa Princess Donna Dolore (ideatrice di Public Disgrace, una serie online che si svolge in luoghi pubblici come bar e parchi, e prevede una “interazione” fra una “modella” e un pubblico “attivo”. Princess Donna è anche una delle protagoniste del recente documentario Public Sex, Private Lives), e magari arrivano a recitare con grandi star come James Deen, che ha acquisito una preoccupante popolarità fra le adolescenti ed è anche noto per aver recitato insieme a Lindsay Lohan nel film di Paul Schrader The Canyons, scritto da Bret Easton Ellis.

Gli aspiranti modelli devono innanzitutto dichiarare cosa sono disposti a fare: la loro volontà viene rigorosamente rispettata, e le riprese vengono interrotte al minimo accenno di disagio. A questo scopo i modelli possono usare le ‘safe words’, ossia parole in codice: ‘yellow’, per avvertire che qualcosa non va, e ‘red’, per fermare tutto. In alcune pratiche BDSM la safe word è sostituita da un gesto concordato, necessario nel caso in cui il sottoposto sia fisicamente impedito nella parola. È necessario stabilire in anticipo una parola o un segnale di stop, perché limitarsi a gridare “no, no!” potrebbe sembrare una finzione legata al ruolo di vittima e non essere interpretato come un rifiuto reale.

Ora Ramón ci esorta a metterci in ginocchio: io obbedisco senza pensare, ritrovandomi pericolosamente vicina al materasso. Subito pentita, mentre calcolo rapidamente la quantità di germi che ho raccolto sui pantaloni, trovo però conferma di una cosa curiosa che avevo già notato entrando nella stanza: il pavimento è morbido. Kink.com desidera che i suoi modelli, mentre girano scene S&M, stiano ben comodi e non si facciano male alle ginocchia. Se questo sembra discostarsi dalle pratiche generalmente associate al sadomasochismo, basta fare un giretto su wikipedia, alla voce BDSM, per scoprire che “queste pratiche, che fuori da un contesto di piena consensualità sono comunemente assimilate alla violenza sessuale, diventano, all’interno del BDSM, fonte di soddisfazione reciproca nonché stimolo per la costruzione di un più profondo rapporto interpersonale. (…) Le tre regole fondamentali e necessarie del BDSM e i principi fondamentali per la sicurezza delle sue pratiche possono essere riassunti con la formula inglese Safe, Sane, Consensual (Sicuro, Sano, Consensuale) (…). Una ricerca basata sulla somministrazione di questionari psicologici a soggetti praticanti il BDSM e a soggetti ‘neutri’, ha evidenziato che gli amanti del BDSM risultano più estroversi, più aperti a nuove esperienze, più coscienti di sé e meno nevrotici rispetto al gruppo di controllo. Secondo i ricercatori, gli appassionati di BDSM avrebbero una maggiore consapevolezza dei propri bisogni e desideri sessuali, con conseguente diminuzione della frustrazione nelle relazioni fisiche ed emotive.” Non prendiamo certo per oro colato quello che dice wikipedia, ma i risultati di questa ricerca di “The Journal of Sexual Medicine” sono comunque piuttosto sorprendenti.

Dopo una serie di celle e cellette con le immancabili catene appese al soffitto, e dopo l’Abbattoir, una stanza piuttosto laida con finti quarti di maiale penzolanti usata soprattutto per le scene di water bondage, passiamo a un ambiente nudo e asettico con luci al neon e una misteriosa macchina con la scritta “Electrosluts”. Nel vasto e variegato mondo del BDSM, una delle miriadi di possibili varianti consiste nel fare sesso con la testa chiusa dentro una scatola (head box); ma perché limitarsi a una scatola, quando si può infilare la testa dentro una botola nel pavimento, appesi a testa in giù e stuzzicati nel frattempo da scariche elettriche? Più avanti c’è anche un appartamento perfettamente borghese, per quelli che preferiscono il sesso vanilla (cioè “normale”), a letto, o magari, per colmo della trasgressione, sul tavolo della cucina.

A seguire: stanza con pareti imbottite e specchio unidirezionale; bar perfettamente ricostruito ma con bottiglie piene di acqua colorata perché una legge della California vieta la compresenza di “nudity and alcohol” nella stessa scena; stanza dei robot; sala degli attrezzi (ordinatamente disposti per tipologie: fruste e frustini; cinture; collari, manette e museruole; varie ed eventuali, tipo una mano finta e una maschera antigas; scatole da testa; secchi pieni di catene arrugginite. La ruggine è finta, per motivi d’igiene); aula scolastica.

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La parte più interessante del palazzo è però un enorme seminterrato con le pareti scrostate e chiazzate di muffa verdognola, il pavimento di terra battuta solcato da canaletti nei quali ristagna dell’acqua ricoperta di una gromma arancione. Il seminterrato dell’Armory Building è l’unico punto di tutta la città in cui si può ancora vedere il Mission Creek, uno dei tanti fiumi che attraversavano la città e che oggi sono tutti coperti. Uno dei film più famosi girati qui dentro contiene una scena di sesso di gruppo con uomini travestiti da panda giganti (che però pare non sia piaciuto molto al pubblico. Si veda per esempio l’articolo Local Panda Porn Receives Mixed Reviews). Scopro così che esiste un vero e proprio feticismo dei pupazzi, in inglese plushophilia (da plushie, pupazzo di peluche), che rientra nella sottocultura del furry fandom e, negli ambiti strettamente legati al sesso, prende anche il nome onomatopeico di yiff. Un’esplorazione anche breve del glossario BDSM può regalare molte sorprese.

Al piano di sopra l’atmosfera cambia: dal sotterraneo ammuffito agli interni edoardiani con pannelli di quercia e velluti rossi. Qui si svolgono le cene BDSM con gli schiavi volontari. Chiunque può offrirsi come schiavo-cameriere non retribuito: i candidati vengono selezionati dal pubblico (l’evento è trasmesso in live-chat) e i prescelti vengono ammessi alla cerimonia d’iniziazione finale. Spesso alle cene partecipano ospiti d’onore, come Laura Antoniou, famosa scrittrice di romanzi BDSM sicuramente più ricchi di sfumature di quelli noti al grande pubblico. Dopo un breve passaggio per il gift shop, dove si possono acquistare magliette, tazze, tappetini per mouse e oggettistica a tema, Ramón ci mostra l’uscita. Fuori ci sparpagliamo tutti in fretta e scappiamo via senza salutarci, per paura che qualche conoscente ci veda uscire dal Porn Palace.

Prossimo appuntamento: la Folsom Street Fair, quest’anno giunta alla sua trentesima edizione, resa possibile dal lavoro di più di mille appassionati volontari. Una bella domenica di settembre, come recita il sito del festival, “Vestiti con finimenti di cuoio, al galoppo su carrozze edoardiane tirate da splendidi cavalli, coperti di lattice e gomma o di paillettes, perline e piume, appesi a un gancio o danzanti in una gabbia, in abito succinto o senza niente addosso, ci siamo ritrovati tutti insieme.” E chissà se anche loro sono voluntarily gluten free.

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3 Commenti

  1. “La comunità BDSM vive felice ”
    perversione e felicità non possono coesistere. Che differenza c’è tra una violenza sessuale e un BDSM tra un sadico e una masochista che avendo subito traumi nelle sue esperienze sessuali precedenti si è autoconvinta che le piace subire atti di violenza? Che avendo la psiche disturbata sarà disposta a sottoscrivere l’accettazione di pratiche che a una persona psicologicamente matura apparirebbero per quello che sono, ovvero pura violenza? Data la matrice di psicologia disturbata dei praticanti il BDSM, la ricerca è semplicemente carta straccia. Se una persona dalla psicologia disturbata da palesi traumi infantili è convinto che gli piace essere pestato (o che è eccitante avere un amante dell’età del proprio nonno, e guarda caso, spesso e volentieri chi ha di queste fantasie è stato davvero molestato da un padre anziano o dal lnonno) e trova un violento che non cerca altro che qualcuno da riempire di botte, si dichiareranno soddisfattissimi. Ma dire che lo sono davvero è assurdo.
    “Un’esplorazione anche breve del glossario BDSM può regalare molte sorprese.”
    ma anche no, non c’è limite alle perversioni umane. Ma chiamiamole col loro nome. Non è che siccome il capitalismo riesce a macinare profitti anche dall’abiezione umana (ci sono svariate ricerche che dimostrano che quasi tutti i massimi dirigenti delle maggiori aziende del mondo hanno un profilo psicologico che fa apparire i serial killer assolutamente equilibrati al confronto), che le perversioni meritano di essere sdoganate. Il BDSM è suprema degradazione di almeno una delle due parti, e violenza suprema da parte dell’altra, che gode sia per la violenza inflitta che per il piacere mentale di avere una vittima che accetta il suo ruolo senza discutere.

  2. sono un perverso generico e potrei dire che mi è estraneo solo il sadomasochismo, tuttavia trovo che l’imperante neopuritanesimo, rappresentato dalle posizioni di giovanni, in tutte le sue manifestazioni che vanno dal carfagnismo con le sue leggine inutili quanto repressive a certi ipocriti quaresimalismi tipici ahinoi della sinistra, come tutto ciò che va contro la passione, sia non solo moralistico ma controproducente socialmente. se i capitani di finanza di cui dici si sfogassero col BDSM probabilmente farebbero meno danni. perversione? ma spero avrai riflettuto sul fatto che un bacio fa della bocca – la cui funzione è strettamente alimentare e respiratoria – un uso estremamente perverso. con ciò non dico che bisogna prendere per buone tutte le pacchianate descritte nel pur valido post…

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Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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