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Le coglionerie di Paolo Giordano, i romanzi merda, le vetrine delle belle librerie all’estero

di Giacomo Sartori

Cominciamo dai fatti. In quest’autunno ancora mite in tutte – dico tutte – le vetrine delle belle librerie della città estera dove mi trovo c’è la traduzione di una merda di Paolo Giordano. Ma no, già parto male, il prodotto di Paolo Giordano devo chiamarlo romanzo, non merda. Lo sappiamo tutti, fin dall’inizio romanzo ha voluto dire merda e nettare, borghesia ottusa e animi illuminati, baldanzosa ignoranza e monacale erudizione, bigottismi e trasgressione, logorrea e essenzialità, abissi spirituali e sgualcite banconote, accademici sovrappeso e geniali morti di fame, popolo e elite, nauseanti luoghi comuni e eterea intelligenza, inondazioni editoriali e tirature infime (o postume), piattezze letterali e strati sotterranei di senso, verità sull’uomo e prevenzioni del tempo, artifici retorici e libertà espressiva, romanticherie e rigore dell’analisi, frasi dozzinali e perle linguistiche. E anzi, proprio in questa dialettica tra opposti inconciliabili, e nell’impossibilità di tracciare precise linee di demarcazione (e ancora più di teorizzarle), sta forse l’essenza dell’inafferrabile genere. Quindi mi correggo, questa mercetta tipografica non la chiamerò più merda, ma romanzo. Romanzo a tutti gli effetti. Romanzo che io non leggo, e non leggerò mai, che non ha nulla ha a che fare con la mia idea di romanzo (e con i romanzi e non romanzi che scrivo io), ma comunque romanzo. E mi scuso anzi per aver usato quel vocabolo, per la mia volgarità: non volevo offendere nessuno. Chi mi conosce sa che a parte qualche asmatica intemperanza sono una persona mite e tollerante (e anzi sempre più con l’età). L’insignificante Giordano ha tutto il diritto di scrivere le inezie che scrive, e contento lui se ha tanti lettori. No, sbaglio: non solo ha diritto, ma deve assolutamente scrivere le coglionerie che scrive, il Romanzo, la Letteratura, ne hanno bisogno. Non potrebbero esserci i poli sublimi, senza i paoli giordani.

[È scontato che adesso sarò accusato di essere invidioso di Paolo Giordano, o insomma del suo successo, di essere il tipico scrittorucolo frustrato che sfrigola nel livore. Giuro sulla Bibbia, o sui volumi della Recherche, che non sono invidioso di Paolo Giordano o della sua notorietà. Come non potrei invidiare un signorotto che conduce una Ferrari, perché a me la sua Ferrari non dice nulla, e tanto meno la tipologia umana che ama possederla e fregiarsene. So però che sono parole inutili: già dalle prime righe sono stato bollato come un geloso fallito, quindi lascio stare.]

Riveniamo ai fatti: in tutte le vetrine delle librerie (e anche dei giornalai!) della città dove sto c’è questo lucido romanzo di Paolo Giordano, che è il contrario di quello che io reputo un buon romanzo, ma è pur sempre un romanzo (si noti che faccio dei progressi). Questo romanzo è pubblicato da un’ottima e gloriosa casa editrice del paese dove mi trovo adesso. Un editore che qualche anno fa (dico qualche, non dieci) non avrebbe nemmeno preso in considerazione uno scrivente come Paolo Giordano. A costo di andare a scovare (e magari in un periodo in cui la narrativa italiana non aveva la cote!) autori italiani poco noti, o non ancora noti, a costo di correre il rischio (succedeva) di vendere solo qualche centinaio di copie, per poi pubblicare un’altra opera dello stesso, che a sua volta vendeva qualche centinaio di copie (succedeva). Adesso invece questo solido pilastro delle lettere traduce Paolo Giordano, e a quanto intuisco non prende nemmeno più in considerazione autori italiani che non siano come Paolo Giordano. Questa è un’autentica rivoluzione, che io, che non so in fondo nulla dell’editoria (mi interessano i dettagli?), e che frequento sporadicamente persone che ci lavorano, e non vado alle fiere, e ho tutt’altro per la testa, rilevo nelle vetrine delle librerie davanti alle quali mi fermo. [Certo gli addetti al mestiere, se leggessero queste mie parole, avrebbero a questo punto un sorrisetto di condiscendenza: avrebbero perfettamente ragione.]

Devo del resto confessare che non entro spesso in libreria, nella città dove mi trovo, anzi molto di rado. Il problema è che se entro compro dei libri, perché a me i libri piacciono molto, e trovo sempre qualcosa che mi entusiasma. Se faccio l’erroraccio di entrare, acquisto tre, quattro, cinque libri (quando ne compro uno solo è perché sono di fretta, o la libreria proprio non mi garba, ma mi dispiace che il libraio mi veda uscire a mani vuote: oltre ai libri amo anche i librai), che qui sono molto costosi (in altri periodi erano meno costosi che in Italia, ora non è così). E insomma arrivo poi a casa con la mia piletta di libri nuovi fiammanti, e mia moglie vede che invece di aver fatto la spesa ho comprato solo libri, e il frigo resta vuoto. Mia moglie è molto comprensiva, e anche lei ama molto i libri, ci mancherebbe, però insomma le piace anche che nel frigo ci sia qualcosa, quando ritorna stanca dal lavoro. Questo è il motivo per cui lotto con me stesso per non entrare nelle librerie. Beninteso con la stessa difficoltà e gli stessi cedimenti che hanno i giocatori di azzardo nei confronti dei luoghi manigoldi dove si gioca. Però insomma in questo dominio posso essere fiero di me, di solito riesco a padroneggiare le mie pulsioni (per prudenza le vetrine le guardo soprattutto nelle mie passeggiate notturne, quando so che non corro alcun rischio di poter entrare a spendere i quattrini destinati al cibo).

Ma torniamo ancora ai nomi italiani nelle vetrine delle librerie della città di cui parlo. Se si trattasse solo di Paolo Giordano sarebbe niente. Il problema è che in questo momento affacciati alle belle strade ci sono molti altri romanzi italiani che nella mia testa finiscono nella stessa categoria in cui è cascato quello di Paolo Giordano. Veramente tanti. Troppi. E la maggior parte pubblicati da gloriose case editrici che fino a qualche anno fa avrebbero disdegnato mediocrità del genere. Adesso non voglio fare dei nomi (già mi sono inimicato per tutta la vita il simpatico Paolo Giordano, per un post può bastare), ma insomma ci siamo capiti, parlo di quella desolante medietà (talvolta con qualcosa di buono, e/o accattivante, ci mancherebbe) che più sopra mi sono lasciato andare a chiamare pubblicamente (in privato la mia testa fa quello che vuole) merda. [Del resto la pensano come me, è noto, l’ottanta per cento dei critici, anche se per vari motivi spesso si limitano a mugugnare in privato o a rimpiangere i bei tempi passati, il cinquanta per cento degli addetti nelle case editrici, il trenta per cento dei librai e il venti per cento dei giornalisti culturali)]. Ma intendiamoci, aguzzando bene lo sguardo qualche bel nome italiano, certo un po’ sul lato, o nell’angolino, qualche volta c’è. Siti, per esempio, confezionato da un editore molto elegante e molto prestigioso, anche se davvero di nicchia.

E allora mi accorgo, lì davanti alla vetrina notturna, che sono parecchio preoccupato. Ma i lettori di questo paese, mi chiedo, avvezzi a ben altri nutrimenti (almeno nel passato), ameranno davvero queste insulsaggini italiane? La traduzione concorre forse a mascherarne almeno in parte l’idiozia? O le leggeranno perché è quello che passa il convento, come mandano giù i pomodori senza sapore, ormai ineludibili sui banchi della verdura? [Quando chiedo a mia madre novantaduenne: ti è piaciuto Paolo Giordano? Lei risponde: . Guardandola negli occhi: Ma ti è piaciuto DAVVERO? Pausa, poi: No] O forse il pubblico é ormai costituito prevalentemente da zittelle con cagnolino e papille gustative atrofizzate, visto che i giovani non leggono più? Quanto pesa questo fattore sociologico? E questo supposto rincoglionimento dei lettori va forse di pari passo con il pensiero unico? Perché proprio l’Italia è all’avanguardia in questo genere di laccate mercine? Davvero i critici italiani non hanno alcuna responsabilità, con i loro scafati silenzi, con i loro inspiegabili imballamenti, la loro pigrizia a leggere, la loro lamentosa pavidità? E che dire degli addetti delle case editrici che presuppongono che mia madre e il resto della gente – che disprezzano (altro che altezzosità di chi crede ancora – candido e arcaico! – alle qualità!) – non abbia cervello? E questi politici, rei del genocidio della cultura? Ma che ne sarà allora della carica innovativa e ermeneutica del romanzo, che per qualche secolo ci ha regalato perle così belle? Se le cose vanno così in fretta, l’anno prossimo troverò ancora Siti in vetrina? La forma romanzo può sussistere, se si annienta uno dei suoi due poli? Resisterà un manipolo di catacombali buongustai, o saranno cancellati anche quelli? O tutto all’opposto per qualche motivo ci sarà un magnifico riscatto dell’intelligenza e dello spirito critico e dell’apertura mentale e del gusto, e si tornerà a un affastellamento di geni, come è successo in qualche epoca (anche recente) della storia letteraria? Tutte domande molto ingenue (e in parte anche interessate: anch’io scrivo romanzi), di un poveraccio fuori da tutto (e che certo non è stato alla fiera di Francoforte) e molto invidioso della mediatica coglioneria di Paolo Giordano.

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102 Commenti

  1. Ne convengo. Quando l’ho letto ho pensato che, come al solito, ero io a non capire. Poi mi rassegno , con contentezza, perché spesso sono fuori dal coro. Bravo Giacomo

  2. Oh, meno male che c’è qualcuno che ha il coraggio di chiamare merda la merda. Per quanto riguarda le riflessioni finali sulla sorte e le mutazioni del romanzo italiano, credo che ci sia tra il romanzo italiano e quello americano (per dire) lo stesso rapporto che c’è tra le fiction nostrane e le serie tv estere: da noi soap-opera dell’Italietta, narrativamente esauste, intrise di falso buonismo e prive della minima carica sociale, culturale o altro; all’estero strumenti di interpretazione della realtà, propulsive, capaci di suscitare dibattiti al di là delle cerchie nerd, intense ed elaborate dal punto di vista narrativo.

  3. C’è solo un punto su cui non sono d’accordo: queste “insulsaggini” proliferano anche all’estero. Non è solo un problema italiano temo.

    Forse bisognerà cominciare a cercare la letteratura in altri luoghi, riconoscere come il romanzo sia diventato il palcoscenico dove si esibiscono scrittorucoli che affettano un fastidioso birignao. Dopotutto chiunque può assemblare un testo mettendo un parola dietro l’altra e tingendo il tutto con pensieri da adolescenti frustrati. Le eccezioni son sempre più rare.

    • Quoto il sig. Alfredo!
      Gli statuti e le istituzioni, dall’arte alla politica: ovunque, stanno venendo smussati dall’unico valore rimasto: il cash.

      (cit. Nietzsche sbronzo se-fosse-ancora-vivo)

  4. MAh.. non sarei così critico, anche la merda ha la sua utilità: concima e permette la crescita di nuova vita, insomma sto ragazzo serve alle case editrici per sopravivere, il problema semmai è quando le case editrici si affidano solo a scrittori pop come Giordano e non investono un euro sugli scrittori capaci; forse le due figure, il produttore di merda e lo scrittore intendo, potrebbero convivere, tutto sta nell’intelligenza dell’editoria che deve saper giocare le sue carte. Capisco la rabbia e la preoccupazione di Sartori, che probabilmente non intravede quell’intelligenza imprenditoriale, ma sto ragazzo che c’entra.
    Scrive, avvicina alla lettura, non credo si possa pretendere di più; si farà.

  5. Par un paradoxe qu’elle partage avec le sexe, la merde s’entoure d’un silence qu’on méconnaît si on le mesure à l’aune des discours qu’elle suscite. Qui croirait en effet que sur cet objet d’opprobre les hommes se soient inlassablement montrés bavards, au point qu’il ne fut absent, ni de leurs divinités primitives, ni des croyances qui les animeraient encore lorsqu’ils auraient cru tuer en eux le barbare?
    Qui croirait par exemple que pour une banale histoire d’excréments la sainte église catholique ait frôlé le schisme?
    Mais gare à la dérision: l’obscène ne gît pas là où on croit, lorsque la merde est aussi cet objet dont le maître monnaie l’amour de ses sujets.

  6. C’è solo una cosetta che mi torna poco, diciamo più per una questione di educazione. “Romanzo che io non leggo, e non leggerò mai”.

  7. Mah, non apprezzo questo linguaggio. Che sia coraggioso e onesto, non semplicemente triviale, qui viene solo postulato.
    Il romanzo di Giordano non mi è sembrato granché, ma nulla so di quei misconosciuti capolavori cui i conformisti editori stranieri, purtroppo fuorviati da camarille pseudo-letterarie e critici venduti, dovrebbero riservare gli onori di traduzione e stampa.
    Occorrerebbe poterne giudicare (in quanto oscuri, risulta difficile: un circolo vizioso) e, soprattutto, conoscere l’opinione dei “normali” lettori. Dove l’aggettivo non può essere,tout court, sinonimo di imbecille.

  8. Questi ultimi anni avrebbero dovuto insegnarci almeno una cosa, che l’indignazione alla fine non serve a niente (un po’ come resistere)…. o meglio, serve al prodotto oggetto di indignazione per acquisire mercato e appetibilità presso un pubblico sempre più affamato di fumo. Fumo politico, letterario, artistico, economico. Evitiamo di fare pubblicità a chi non ne ha alcun bisogno.

  9. la merde (c’est à dire le livre de merde), est l’objet dont le maître monnaie l’anour de ses sujets (c’est à dire ses lecteurs)

  10. Lalo Cura, sempre lo stesso artificio retorico: da un lato “la cacca” e poi dall’altro “un neoplatonico motore di chissà quale universo”. Corretto certo secondo il livello intellettuale del proprio target.

  11. più che un arti-fic(i)o retorico era una canzone sulla merda, caro dm…
    in quanto al livello intellettuale, fa tu: ogni targèt è bello a papà suoje, c’est à dire ognuno tene ‘o targèt che se merita

    • io aspetterei di vedere se sono pubblicati in Francia, sky: in quel caso vai a colpo sicuro: manco col fucile puntato all’orifizio esteriorizzatore…

        • ma no, non mi sarei mai permesso, io sono tera-tera, volo basso
          è che mi è scappato l’invio nel post-o sbagliato
          voglia accettare le mie scuse

          • Se vuole risultare simpatico prego ritenti in un anno bisestile o con qualcuno che colga cotanta brillantezza.
            Dei francesi leggo sollo saggi sociopolitici snob. Sa com’è, bisogna difendersi dall’autotune.

  12. Uno scrittore si occupa della sua scrittura e non della scrittura degli altri.
    Questo scatenamento manca di delicatezza.
    Sono perplessa.
    Vale un post per una traduzione in una casa editrice francese?
    Vorrei indicare che da qualche anno in Francia sono tradotti molti libri italiani. Lo noto con piacere, quando entro in una libreria.
    Ma non preoccuparsi per P Giordano: in settembre la vita letteraria francese propone più di 300 titoli!

    • sì, certo, Véronique, ho mancato di delicatezza; quella delicatezza che anche per me è importante, nella vita;

      diciamo che il mio è un urlo, constatando quanto le cose siano cambiate rispetto a qualche anno fa, quanto lo spazio dei testi che per me sono così importanti si sia ridotto, stia – questa la mia impressione – quasi sparendo(chi ne parla, a parte gli addetti al mestiere tra di loro?)

      del primo libro di Giordano se ne è discusso molto approfonditamente (tra il resto con interventi di diversi scrittori, anche molto belli), qui su NI:
      https://www.nazioneindiana.com/2008/12/27/paolo-giordano-la-solitudine-della-letteratura-maggiore/

      ma qui siamo di fronte a un testo che non vale nulla, che viene pubblicato sull’onda del successo meritato o non meritato del primo (ci veda appunto il post citato), e soprattutto – è questo che mi sembra molto grave, e nuovo – per questo stesso motivo ripreso da una casa editrice estera di grande qualità, senza quel filtro che come tu sai fino a poco tempo fa c’era e era molto efficace; e vedo (senza essere un addetto al mestiere, tutt’altro, ripeto) che questa è ormai la regola (parlo sempre di case editrici di qualità); ma certo hai ragione, per fortuna si traduce anche qualcosa di buono, anche se in genere con molto ritardo (e appunto, tra cinque anni?);

      poi appunto l’impiego o meno del “merda” dipende come tu ben dici dalla delicatezza, che in questo caso mi è mancata;

      • Ma, sig. Sartori, lei ha fatto benissimo!
        Lei è un lettore ed è preoccupato e indignato con la stessa forza di me lettore ancora attorno ai vent’anni di vita!
        E per fortuna, ma veramente, che ci sia qualche infervoramento in un ‘adulto’, che il prurito annienti il pudore e si parli e si gridi che, porca miseria, se l’industria culturale produce altra melma (uso il belletto per non scrivere ‘merda’) le teste degli uomini non saranno più stimolate, l’arte andrà a finire dove? Roth disse che la qualità scrittoria nel tempo sarebbe scemata sempre più, processo inevitabile?
        Quindi sostegno da parte di ventenni-e-poco-più che trovano qualche adulto-o-poco-meno che almeno, possedendo uno spazio importante online, grida indignazione e lamenta rovina.

        Come si svia dall’industria culturale? Quanto può fare gente come lei che usa bene il potente strumento web? Io non lo so, ma ci si pensi su e si faccia contrasto e critica qua e si lasci che pontifichino, dagli scranni dorati di Repubblica & co, i vari giornalisti culturali baricchiani: qua, sul web, si segue (si tiene il filo di) quello che conta, vale, sta sopra.

        In attesa della prossima rubrica d’indignazione.

  13. Di più hai una visione totalmente cliché della lettrice zitella, -che forse è carina e non risponde alla tua visione, ha un gatto e non confonde realtà con finzione.

    Leggo romanzi, ma soprattuto poesia.
    E si scegliere i libri che hanno una voce.
    Non ho mai letto P Giordano.
    Ma ho visto les nombres premiers,ottimo film.
    Se qualcuno vuole leggere P Giordano, non vedo il problema.
    Ma scrivere merda per un romanzo mi sembra poco cortese dalla parte di uno scrittore.

    • du seuil divenne importante col successo in Francia dei libri di Guareschi (in particolare Don Camillo). Comunque Guareschi sapeva scrivere…

  14. il problema non è Giordano, Veronique, è l’industria editoriale nostrana che pompa solo questo tipo di libri, e direi che sì, sai scegliere, visto che non hai mai letto G.—)); un abbraccio, Viola

  15. Sì ma, Lalo Cura, difficile fare un discorso sulla merda che non si autonobiliti all’eccesso, diciamo. Per un target almeno poco più che rispettabile. Gli artifeci, pardon artifici retorici del Silvestri sono imparentati con quelli usati nel post.
    Ho detto una banalità, lo so; ma la presenza della merda nei discorsi legittima quasi tutte le banalità, ed è esattamente questo il punto.

    • ma lo sai, dm, che somigli sempre di più al tuo maestro? :)

      comunque penso tu abbia ragione sugli artifeci del Silvestri, ai quali nella mia ignoranza della materia ret(r)o-rica non avevo pensato, preso com’ero dalla ricerca di un(o) (s)hit in tema

      un errore grave, non giustificato nemmeno dal fatto che aspiro, e neppure tanto segretamente, a prendere il posto di diamonds come disc jockey ufficiale della riserva

      per farmi perdonare:

      https://www.youtube.com/watch?v=AbfyQF6qQCE

      • Lalo Cura, penso di avere imparato qualche cosa – certo non abbastanza – da almeno tre persone, e non considero nessuno di loro “maestro”. All’occorrenza, nel caso servisse una parola per definirmi in relazione a loro, preferirei invece di “allievo”, “mitomane” o “plagiario”. Mi starebbe bene pure “megalomane”, sempre rispetto alle esigenze del discorso.
        E Benigni, be’ Benigni parla di cacca molto serenamente, perché parlare di cacca con astio, o comunque con diffidenza, secondo me sai, dico per esperienza… può portar certi blocchi…

  16. Io invece trovo che chiamare “merda” la merda sia eticamente non solo legittimo, ma doveroso. Perché fin troppi magazine on line – soprattutto, va da sé, i più seguiti – in quella merda ci trovano sempre anche un po’ di cioccolato, concentrandosi soprattutto su quello, e con questo tutta la letteratura, bella o brutta, se ne finisce dritta dritta nel cesso. Già Schopenhauer avvertiva di stare attenti con gli eccessivi apprezzamenti, perché “per colui il quale nulla è cattivo, nulla parimenti è buono”. E quindi ben venga la merda, quando se ne deve gettare; per tutto il resto – il paraculismo, il buonismo, il todos caballeros, il se-non-sono-gigli-son-pur-sempre-figli-vittime-di-questo-mondo editoriali ci sono già magazine come Finzioni, che spandono parole buone a tutti i venti.

  17. Aggiungo che ho tra le mani la traduzione di un libro magnifico e poetico:” Les Promesses “di Marco Lodoli (casa editrice POL), prova che in Francia sono tradotti bellissimi libri italiani.

  18. questo post mi ha fatta piegare dalle risate.

    Visto che l’unica carta di “riconosciuto valore” sulla quale io abbia pubblicato qualcosa è la carta d’identità, sono invidiosissima di PG, dei suoi soldi e della sua fama. Però, ecco, mi chiedo come dorma la notte, lui. Sarà contento così?

    per il resto sono sfiduciata, le case editrici non cambieranno la loro politica se questa genera profitto facile e saturo di grasso in eccesso.

  19. Gentile sign. Sartori,
    Mi piace il suo modo di scrivere, la sua ironia pungente; mi piace un po’ meno la digressione sulla moglie e sul frigo vuoto: cosa ce ne frega? Ma assolutamente non condivido questo: “Romanzo a tutti gli effetti. Romanzo che io non leggo, e non leggerò mai, che non ha nulla ha a che fare con la mia idea di romanzo (e con i romanzi e non romanzi che scrivo io), ma comunque romanzo.” Cosa parla a fare allora se il romanzo non lo ha letto? Come puo’ esprimere un giudizio? O magari lo ha letto ma deve mostrare di essere sopra le righe a tutti i costi? Io non ho letto l’ultimo di Paolo Giordano e forse non lo leggerò, ma non mi permetterei mai di giudicare senza conoscere.

    • ma non occorre leggere tutto…bastano 2 righe qua e là….la scrittura è pò come il…il formaggio, basta un assaggio….dico scrittura di qualsiasi tipo o genere

  20. Mi unisco a chi vorrebbe conoscere quali siano gli altri romanzi italiani di infimo livello tradotti in altre lingue senza meritarselo.

    • agli scrittori che non vendono un cazzo consiglierei di dare un’occhiata all’AMA (Almanacco dei Mestieri Alternativi)
      ce ne sono alcuni veramente ricchi di soddisfazioni, anche se misconosciuti o poco e niente praticati
      cosa c’è di meglio, per vincere le frustrazioni, che la vendita casa per casa di spingule francesi?
      e di un bel carrettino di fumanti taralli pepe e nzogna da spacciare davanti agli stadi o nei mercatini rionali, che ne dite?

  21. Sartori,

    Paolo Giordano oltre a inviarLe in forma privata un messaggio di sentiti ringraziamenti non riesco a immaginare cos’altro potrebbe voler fare.

    Per amor di pettegolezzo per quanto di terzo ordine cioè culturale e di malafede chissà in quanti ora avranno voglia di leggere – leggere…. – di comprare un libro di Giordano per maturare il diritto di dirne qualcosa di brutto sentendosi autorizzati a farlo, sentendosi “più sensibili” riguardo a cosa sia romanzo e cosa no, per niente, anzi merda.

    La letteratura brutta la lascerei al suo corso. E vorrei così tanto sentir parlare della bella letteratura, italiana se c’è e dove c’è, che non viene raccontata, perché sommersa al solito dai discorsi su quella brutta.

    Se guardo alla mie letture mi rendo conto che gli scrittori italiani seguiti e stimati restano gli stessi da anni. Ai Busi e ai Moresco (il plurale è proprio retorica spicciola, non saprei chi affiancargli in realtà…) diventati in ogni caso mainstream ho aggiunto Massimiliano Parente; l’ultimo scrittore italiano impostosi da sé per la qualità della sua opera e non del pettegolezzo culturale che muove intorno è Alessio Arena, ma – e qui denuncio un mio limite da lettore – quali sarebbero gli altri grandi romanzi italiani ingiustamente trascurati? Chi sono gli scrittori a cui Paolo Giordano porterebbe via i lettori? Chi sono, gli altri? La Santacroce, Permunian, Frasca, Bajani, Mari, Tuena, chi?

    Parlare di buona letteratura, mi pare, è uno degli ultimi modi possibili per farsi largo nella brutta letteratura e dalle sue seduzioni.

    I miei saluti!,
    Antonio Coda

    • “Parlare di buona letteratura, mi pare, è uno degli ultimi modi possibili per farsi largo nella brutta letteratura e dalle sue seduzioni”

      Concordo! Anche per dare una svegliata a quegli sciocchi editori stranieri di cui s’è detto.

  22. Bon, mi hai convinto Sartori. Adesso mi ordino sia “La solitudine dei numeri primi” che “Il corpo umano”.

  23. Grazie per la risposta. Oggi in Francia, mi sembra che dobbiamo aspettare un anno per avere la traduzione di un libro italiano. Lo so perché compro libri e ho la traduzione un anno dopo.
    La traduzione viene dal successo incontrato nel paese della lingua originale.
    Anch’io vedo scrittori francesi tradotti che non avrei scelti. Altri scrittori non sono tradotti nonostante la bellezza della lingua.
    Vorrei solo aggiungere che P Giordano è un giovane scrittore. Ha tutto il tempo per inventare altri libri.

    • bof,in realtà se prendi i 2 emblemi della qualità narrativa italiana che sono stati tirati fuori anche in questo thread, Siti comincia a essere tradotto solo ora, e Moresco lo sarà in futuro; entrambi da una casa editrice prestigiosa, ma appunto molto di nicchia (e si dice fragile);
      è un caso?

      si è parlato molto di Giordano, in questi commenti; quando io l’ho preso solo – con una scelta per definizione soggettiva – come emblema di non qualità, per illustrare (ripeto, da non addetto ai lavori) la vera e propria rapida svolta – per me “epocale” – nella ricezione della narrativa italiana in un paese che ha sempre seguito da molto vicino le nostre cose (ma probabilmente si sarebbe potuto dire cose simili per altri paesi, in particolare la Germania), in un contesto di rapido cambiamento generale (appunto verso la medietà);

      gli addetti al mestiere, che potrebbero illuminarci, tacciono; che importa quello che dice e pensa questo sartorino?;

      • Se ho ben capito, il paese di cui si parla è la Francia e il tristanzuolo della faccenda è che in Francia, a fronte di un Giordano debordante dalle vetrine, a malapena si traduca Walter Siti e, vivaddio, ce ne vuole ancora un pochetto per farci arrivare Antonio Moresco.

        Moresco, che è del ’47, se è per questo ce ne ha messo per emergere anche in Italia, dove nemmeno si dovevano prendere prima il disturbo di tradurlo, e Siti, del ’47 pure lui, il primo romanzo l’ha pubblicato nel ’94, con alle spalle del meritevole lavore da saggista e curatore, quindi neanche per lui c’è stato niente di precocissimo, mi pare.

        La mia domanda – genuina e da lettore affamato che teme di essere malamente informato – resta: chi sono gli scrittori che la Francia sta mancando che invece in Italia hanno visto riconosciuto il merito delle loro opere per tempo o quasi?

        • di Aldo Busi, per restare a un altro nome “sicuro” che qualcuno ha citato, è disponibile attualmente un solo titolo:
          http://www.amazon.fr/s/ref=nb_sb_noss_1?__mk_fr_FR=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Dstripbooks&field-keywords=aldo+busi

          si potrebbero fare tanti altri esempi, però l’essenza del discorso mi sembra essere che fino a qualche anno fa c’era un filtro qualitativo (che spesso avantaggiava scrittori di merito senza grande successo in patria, o viceversa penalizzava scrittori molto noti …), mentre ora l’unico parametro guida è il successo commerciale in Italia; ripeto, è una rivoluzione;
          ma ripeto anche che io sono un osservatore, non un addetto al mestiere; certo altri potrebbero entrare nei dettagli con molta più cognizione di causa; però gli occhi li ho anch’io, non sono nemmeno cieco;

          • Sartori, le assicuro: non voglio incocciare e non mi sfugge la, eufemizziamola così, preoccupazione per le logiche mercantili che hanno la meglio anche in un paese fino a poco tempo fa orgogliosamente schierato con le belle lettere e non con le piacenti letterine, però lei mi porta come esempio Busi (classe ’48) che, al di là delle ilarotragedie relative alla traduzione di ogni suo libro (in cui la scrittura raggiunge una tale trasformazione che per tradurla a dovere ci vorrebbe un Busi della lingua d’arrivo, e questo per dire la qualità che Busi ha infuso nel linguaggio), neanche in Italia ha mai avuto un riconoscimento letterario, o comunque l’ha ricevuto in misura nettamente inferiore al misconoscimento patito per ragioni del tutto extra-letterarie. In sintesi, io aggiungo alla sua osservazione (la Francia non ricerca più la letteratura italiana per i suoi meriti letterari) la mia, che credo in parte spieghi anche il comportamento francese, e cioè: l’Italia con la sua letteratura migliore è ingrata, permalosa e finanche rancorosa, perché chi la legge tante volte corrisponde a chi quella letteratura smaschera ai suoi stessi occhi. Perché allora chiedere ai francesi quello che neanche gli italiani sono capaci di fare? E: ma uno scrittore che non sia del ’47 o del ’48 ma del ’74 o addirittura del ’84 c’è – e se c’è, chi lei crede che sia – o dobbiamo aspettare che campi almeno oltre i sessant’anni per poterne dire il bene se proprio non si è trovato da dirne male?

  24. Teorema. Gli italiani fanno brutte figure nelle classifiche internazionali sulla lettura. E le classifiche non mentono.
    Gli italiani sono un popolo di pochi lettori forti (più forti dei lettori forti di altri paesi) e di molti non lettori (molto più non lettori dei non lettori degli altri paesi, che almeno leggono qualche giornale).
    Si possono raggiungere le vette delle classifiche in due modi: far diventare tutti lettori forti (più forti dei lettori forti degli altri paesi), altresì detto diventare un paese di migliaia di cenacoli umanistici, oppure far diventare i molti non lettori (molto più non lettori dei non lettori degli altri paesi) dei lettori in sedicesimo, dei lettori da blockbuster.

    La prima è la via che l’umanesimo sogna di notte, la seconda quella che accade positivamente nella storia, e di giorno. Ma il risultato sarà raggiunto: la vetta della classifica.
    E visto che le classifiche non mentono, potremo infine dire che siamo come la Finlandia. Così finalmente la smetteremo di invidiare i primi della classe e capiremo perché i popoli del nord leggono mediamente più di noi. Non hanno Dante, Tasso, Montale, Pavese sul groppone. Hanno cose meravigliose come l’epica nibelungica, Strindberg e Ibsen, ma poi tanta ma tanta di quella che Calvino chiamava i libri “di buona fattura media”. Che bella la libertà dall’umanesimo. Evviva la democrazia, anche in arte.

    Ovviamente va notato che quanto il sottoscritto ha appena scritto è dettato da una notevole spocchia umanistica, cioè a dire aritocratichina. E va aggiunto che il sottoscritto, in qualità di insegnante, se l’allievo x proprio non leggeva e gli vede prendere in mano almeno Giordano, è costretto ad ammettere vergognandosi come un cane che va un po’ meglio di prima.

    Fuori dal teorema resta la libertà umana di provare a parlare ancora di Dante, Tasso, Montale, Pavese e di far amare quelli, se necessario passando anche per Giordano, nonché quella di ricordare all’allievo che esiste anche Walter Siti. Ah no, quello non posso dirglielo: se metto un suo libro in mano a un adolescente, il genitore mi fa carcerare per corruzione di minore…

  25. Condivido in pieno lo spirito del post. Oramai è risaputo che molti libri che vincono premi prestigiosi o che vendono molto sono delle immani porcherie frutto di campagne editoriali ben congegnate.

  26. Il romanzo qui classificato a priori come merda si intitola “Il corpo umano”.
    Per chi non lo sapesse racconta di un gruppo di soldati italiani in Afghanistan e scandaglia le loro fragilità individuali e di relazione.
    Non spettacolarizza mai la guerra, non indugia nel contesto esotico-selvaggio.
    Non si concede all’epica dello spirito di corpo, come fa invece (a mio avviso) molto credibilmente Melania Mazzucco con “Limbo” che ha per protagonista una donna-soldato negli stessi luoghi.
    Trovo che “Il corpo umano” sia un buon romanzo a prescindere dal fatto che l’abbia scritto un autore esordiente a ca 25 anni con un libro che ha venduto, credo, due milioni di copie.Il fatto che Giordano abbia scelto un tema poco attraente per i lettori ( e soprattutto le lettrici)di romanzi e che abbia impiegato cinque anni per uscire con il secondo libro, non dice nulla sulla qualità del testo; ma indica comunque una scelta precisa da parte dell’autore.

    So bene che la critica letteraria non dev’essere per forza sempre beneducata e costruttiva, che ha sempre incluso anche la sparata a zero e l’invettiva tra i suoi possibili registri. Però dipende da che cosa riesce poi davvero a colpire.

    Posso dirlo? Credo di sì, visto che rispondo con la stessa musica. Questo testo mi ha fatto schifo. E mi fa ancora più schifo che al posto del conformismo da bestseller questo pezzo non faccia altro che innescare un altro meccanismo di consenso, un piccolo rito tribale nel trovarsi tutti appassionatamente a spalare merda su un bersaglio che proprio qui è anche uno dei più facili e scontati.

  27. anche a me il consenso piace davvero poco, qui come altrove (e non a caso ho cercato di rispondere piuttosto a chi mi criticava, e ho linkato l’approfondita e non consensuale discussione che c’è stata all’epoca sul primo libro dello scrittore), e forse hai ragione, con il mio testo – che voleva essere centrato sul fenomeno, che mi ostino a considerare innegabile, non sull’exemplum – ne sono almeno in parte responsabile;
    però non disprezzerei affatto le voci dei lettori che si sono espresse qui, alias questa campana; io ne sento davvero tante, di voci simili; anche gente che per responsabilità accademiche o altro qui non interverrebbe mai; e che non ha luogo per esprimersi;
    in ogni caso io per la mia scrittura ne ho bisogno, di questa radicalità e di questa chiarezza; forse per certi versi ingiuste e fuori luogo e irresponsabili, per carità;

    forse prima o poi imparerò anch’io a stare zitto (ma non sarà un bel giorno);

        • non posso non essere d’accordo con te

          ma non posso, allo stesso tempo, non chiedermi quanta “paritas” ci possa mai essere in un “dialogus”, quand’essa non è la risultante di una “discordia concors” ma la supina “adaequatio rei et ordinis” (“l’ordre du discours”?)

  28. e comunque, a quelli del “se non l’hai letto, come fai a giudicarlo?” segnalo che di questi tempi, con la sovrapproduzione culturale e simbolica corrente, l’esercizio di un sano pregiudizio critico è un fatto di pura e semplice sopravvivenza.

    è un pregiudizio che si esercita giudicando l’extratesto in funzione della precomprensione del testo; banalmente, è ciò per cui esistono la pubblicità, le recensioni, le interviste, eccetera: dare in 5 minuti l’idea che valga la pena (o non valga la pena) spendere attenzione sull’argomento in questione per un tempo prolungato.

    perchè davvero: la vita è troppo breve per leggere qualunque cosa venga scritta in modo da poterne parlare, basta molto meno a capire se un libro ci può andare a genio oppure no.

  29. Helena,

    Non ho fatto parte desi commentatori che hanno stroncato il romanzo di Paulo Giordano.
    Ho criticato la violenza della parola “merda”.
    Giacomo Sartori mi ha risposto per difendere il suo punto di vista.
    Penso in ogni modo che uno scrittore non crea un libro per la critica.
    Scrive quello che ha fame di scrivere: è la sua libertà.
    La libertà è la sola gioia di chi scrive.

    Daniele Lo Vetere

    Ho un punto diverso. Gli Italiani leggono e comprano il giornale
    E’qualcosa che ho notato, quando sono in Italia
    Lettori si appassionano per un romanzo o uno scrittore.
    Non ho mai visto uno scrittore tanto stimato che Roberto Saviano. Uno scrittore capace di fare venire una folla in ogni angolo del paese.
    L’Italia possiede una poesia viva e originale con grandi voci di ieri e di oggi.
    Siate fieri della vostra letteratura.

  30. Macché volgare e indelicato, Sartori ha avuto i coglioni di dire pubblicamente quello che altri “piagnucolano in privato”.
    Mitico!

    • Sartori ha ragione, porcalaputtana! ‘sta minchia di perbenismo intellettuale non lo sopporto. Ogni cosa ha il suo nome: se si tratta di merda è merda! Perché chiamarla pupù. Le parole hanno un peso. Non sarà di certo un giudizio universale ma è quello di Sartori, che per altro è condiviso da una moltitudine di appassionati.
      Se, per esempio, quello che scrivo è merda, voglio che mi venga detto “è una merda”, non “c’è bisogno anche di quello che fai tu per la letteratura”. Mica me la prendo, si scrive perché fa star bene, non per girare in Ferrari. E poi ditemi voi come cazzo può venir fuori un bel romanzo da una persona che vive tra pomelli dorati.
      Ci vogliono le topaie. Ci vogliono la sofferenza, i paralumi impolverati.
      Roba scritta con le viscere.

  31. Non condivido il punto di vista. In Francia sono tradotti molti scrittori italiani:

    Giorgio Vasta, Valerio Magrelli,Tiziano Scarpa, Roberto Saviano, Valeria Parrella,Silvia Avallone, Andrea Bajani, Giacomo Sartori,Milena Agus, Erri de Luca, Helena Janeczek, Marco Lodoli,Sergio Atzeni,Elena Ferrante, Marta Morazzoni, Silvia Avallone, Andrej Longo, Umberto Eco…

    Spero vedere tradotti : Mario Desiati, Franco Arminio, Rafaelle La Capria, Antonio Moresco, Fabrizia Ramondino.

    La letteratura italiana è presente in Francia grazia

  32. grazia al lavoro dei traduttori. Ho comprato il libro di Paulo Giordano per avere un’idea.
    Per finire trovo che questo accanimento non dà un bell’esempio del mondo letterario.

  33. Gentile Detrito, lei dice:

    e comunque, a quelli del “se non l’hai letto, come fai a giudicarlo?” segnalo che di questi tempi, con la sovrapproduzione culturale e simbolica corrente, l’esercizio di un sano pregiudizio critico è un fatto di pura e semplice sopravvivenza.

    Non ho letto il resto del suo commento (gli altri 2/3, diciamo). Perché? Be’, “con la sovrapproduzione culturale e simbolica corrente, l’esercizio di un sano pregiudizio critico è un fatto di pura e semplice sopravvivenza.”

    • Gentile Detrito” è semplicemente fantastico, una formula che ci sospinge, volenti o nolenti, in prossimità del sublime

      che meraviglia! solo la rete è ancora capace di siffatte miraculose epifanie salutari

  34. volevo però aggiungere qualcosa, per rispondere a Véronique e a chi non ha gradito;

    come dire, questo è un RACCONTINO COMICO e PARADOSSALE, non privo di autoironia, in linea con molti miei testi per NI (in particolare gli “Autismi” e i “Nuovi Autismi”); non è una cronaca oggettiva, non è un’analisi rigorosa; e tanto meno è una dissertazione livorosa, o un’aggressione intrisa di acredine, odio, risentimento, o altro; il “merda” va letto in questo precisissimo contesto;
    questo non per esimermi da responsabilità per le parole che ho impiegato, ma appunto per relativizzarle;
    perchè sono insopportabili gli insulti dei dibattiti alla televisione(mi dicono, io non ho televisione)?; non per le parole in sé (che fanno parte del nostro linguaggio abituale), ma perchè sono piene di livore, perchè mancano di rispetto, perchè negano all’altro la possibilità di esistere e di pensarla diversamente;
    si legga bene quello che ho scritto: io rispetto Giordano, rispetto il suo lavoro;
    (sono esasperato per una proliferazione, e temo che questa proliferazione acquisti le vesti di una dittatura, stiamo parlando sempre di letteratura, non per i testi in sè)

    del resto io non mi offenderei minimamente, se Giordano o chi per lui mi “insultasse” in maniera garbata, come mi sembra di aver fatto io, e in base a una effettiva e sentita differenza di sensibilità e di visione della letteratura; se invece mi aggredisse con livore e/o violenza, la cosa sarebbe diversa;

    davvero c’è bisogno di dire queste cose?

    • Non ho avuto questa impressione di “garbo”. Sartori dichiara, con snobismo antipatico, di non voler leggere “Il corpo umano” in quanto incluso nella deplorevole categoria degli esposti-al-supermercato, o come chiamarli. Molti, me compresa, non conoscono i suoi, di libri (li definisce non-romanzi, mi sembra). Come giudicherebbe un non-lettore che li rifiutasse per principio in quanto, poniamo, roba-che-non-si-capisce-dove-vada-a-parare, definendoli comunque una m….?

  35. Sartori, da mò che l’avevamo capito che alla fine te ne saresti uscito che si trattava di una pagina di narrativa. Ma mi sa che ti sbagli. Questo non è né un racconto comico né un racconto paradossale. Non è nemmeno un articolo di critica letteraria (come c’è scritto nei tag). E’ solo un pezzo da denuncia…

  36. da denuncia, o di denuncia?
    e se da denuncia, potresti sottolinearne qualche passaggio a tuo dire incriminabile?

    dire che un libro è una merda è da denuncia?

  37. Giovanni Sartori: il suo testo è deprecabile proprio perché “non è una cronaca oggettiva”, e proprio perché “non è un’analisi rigorosa”; e, certo, sono d’accordo, “il ‘merda’ va letto in questo precisissimo contesto” ed è appunto in questo “precisissimo contesto” che il suo testo, come ho scritto, è deprecabile. Ma purtroppo è stato scritto, ed è stato pubblicato. Non mi parrebbe il caso di insistere.

    • Leggo e trovo un Giovanni. Chiedo scusa. Ultimamente un Giovanni mi fa arrabbiare, e naturalmente non è Sartori. Vale sempre al netto del lapsus.

  38. Lalo Cura Lalo Cura… ma ti pare che ti faccio una consulenza legale così su internet senza farti sganciare manco mezzo euro? E pe’ chi m’hai preso pe’ n’azzeccagarbugli di provincia? oppuramente pe’ no scribacchino mestierante?
    Eppoi non spetta a me pronunciarmi su ciò che è incriminabile e ciò che non lo è. Tutti incorriamo in situazioni di disagio, chi si può far maestro?, chi scrive è sempre un po’ soggetto a cadere in tentazione o in diffamazione che dir si voglia.
    Di certo l’articolo (se così lo vogliamo chiamare) mi sembra più rilevante per il tono insultante che per la sua qualità critica, assolutamente assente… dire come fa Sartori che Giordano scrive merda e coglionerie e gli dà pure dell’insignificante… come minimo mi sembra un vocabolario e un atteggiamento critico che tracima rispetto ad un oggettivo giudizio estetico. In questo senso, in senso critico, mi sembra più un pezzo da denuncia (puoi anche tradurlo: da cartellino rosso) che un articolo di polemica letteraria.

    Se poi vogliamo andare nel merito delle cose, penso, come ho già detto, che Giordano deve ringraziarlo a Sartori perché depone bene sulla sua vendibilità il fatto che un intellettuale e scrittore di qualità come Sartori l’abbia così virulentemente osteggiato, addirittura senza leggerlo (a poco vale che ce l’ha più col fenomeno del bestseller vuoto che con Giordano). Concordo poi con Helena quando dice che fare questo pezzo qui a NI, prendendo a bersaglio un bestesellerista, è davvero troppo facile. Una caduta di stile in piena regola.
    Pensa, e lo dico a Sartori, quanto sarebbe stato più interessante se ti fossi messo a fare l’elogio di Giordano proprio qui su NI. Ecco che avresti fatto un vero racconto comico, paradossale, un vero articolo intriso di muta ironia di critica letteraria come si deve. E magari mettevi sull’attenti il lettore facilone…. può esse’ n’idea per la prossima volta. Pensaci.

  39. Gentile Dinamo,

    mezzo-euro-ma-non-di-più glielo sgancio volentieri, ma solo, e unicamente, in ragione di quello che ha scritto nelle ultime quattro righe del suo commento.

    Ma, Gentile Dinamo,

    mi consenta una riflessione, anche se non è il mio mestiere.
    Lei e la sig.ra Helena redarguite il buon Sartori per la (s)caduta nel pessimogustismo del suo (retro)post: e sia, anche se io gli avrei rinfacciato tutt’al più la sciatteria del testo, a volerlo misurare con gli standard a cui ci ha abituato qui su NI.
    Non vi nascondo, però, che mi piacerebbe tanto leggere altri “Questo testo mi ha fatto schifo.“, soprattutto nei commenti a quei post-recensione dove il postante-recensore spompina in pubblico gli amici del gruppo (quelli a cui mi sento più vicino), essendo stato a sua volta, immancabilmente, adeguatamente spompinato in altri siti, su altre riviste, su altri blog…

    E’ solo la merda-chiamata-per-nome a urticarvi così tanto?
    A me fa molto più schifo l’altra pratica, spacciata, oltre&tutto, per critica letteraria…

    Così, en passant.

    lc

  40. Caro Lalo,
    il conformismo, le parrocchie e le pastette nel mondo della cultura stanno sugli zebedei sia a me che a te. Ci stanno sui coglioni pure il gusto degli italiani, il marketing dei colossi e gli scrittori facili. Per contrastarli però non serve né rischiare di beccarsi una denuncia dando fuori di merda per tutto un pezzo né arrivare alle mani (metaforicamente parlando, ovvio). E’ molto più utile, secondo me, criticarli nella maniera giusta, cioè sui contenuti estetici, e creare delle forme d’arte, di romanzo ecc accoglienti, valide e alternative a quelle degli scrittori che non ci piace che stiano dove stanno. Concludo infine dicendo che mettersi contro il mercato in questo modo come ci si mette Sartori è completamente inutile e suicida, nonché rafforza i convincimenti del grosso pubblico. Lalo, ti dico un’ultima cosa, tu sai bene che per me Saviano vale anche meno come scrittore di un Paolo Giordano. Ti immagini che cosa sarebbe successo se avessi scritto invece che delle argomentate riflessioni critiche nei suoi confronti un post come questo? Chi ci avrebbe guadagnato secondo te?

      • Vedi Ares il pezzo se la prende (a detta dell’autore) con Giordano per prendersela con il sistema che promuove chi scrive libri senza qualità che diventano bestseller, invadono le librerie, vengono tradotti a discapito di altri ecc ecc ecc. Se vogliamo rimanere sulla qualità, allora, per dirne una, ti faccio presente che il giovane Paolo Giordano (Mondadori) ha vinto nel 2008 col suo romanzo d’esordio il (piaccia o no poco importa) massimo premio nazionale italiano: Lo Strega (che è stato vinto davvero dai grandi nomi della nostra letteratura). Saviano (Gomorra – Mondadori) l’ha vinto lo Strega?
        Perché ce la pigliamo col bestsellerista Giordano e non con il bestsellerista Saviano?
        Ciao

        • Gentile Dinamo,

          mi consenta: non mi sembra affatto un atteggiamento consono, questo suo; non trovo per niente carino mettersi a fare i gracchi e irridere così la Signora Letteratura – a maggior ragione quando se ne va in giro a braccetto col Signor Ca-<em<pitale.

          E che diamime, s’ignor Dinamo! Si contenga!

        • La domanda da porsi non è:

          “Saviano (Gomorra – Mondadori) l’ha vinto lo Strega? ”

          ma è:

          “Come mai Saviano (Gomorra – Mondadori) non ha vinto lo Strega?”

  41. Anziché criticare scrittori che hanno successo, sarebbe meglio scrivere libri.
    Non soffocare la letteratura italiania con gracchi ma con canti.

    • cerchiamo di dare il massimo anche su quel fronte, ti assicuro, Véro!
      (è che poi mi dicono che sono gracchi insopportabili e dissonanti anche quelli!; dovrei forse fare uno stage di neolirismo (chiedo a Andrea I., che è un esperto), o iscrivermi a una scuola di scrittura, qualcosa del genere)

  42. Giacomo,

    Granchi della critica.

    Sono stanca du leggere una critica pronta a distruggere chi scrive un libro incontrando lettori.

    Sono stanca di leggere tra le righe che i lettori seguono la moda. Creduli.

    Non voglio aggiungere qualcosa du più.
    Non parlevo della scrittura, la tua, ma di questo post e dei commenti che ho letto.

    Ho trovato questo scalpore di pessimo gusto.

    • beh, posso dirlo? lo dico:

      quel che vi pare è il miglior libro
      che sia mai stato scritto.

      prima dell’invenzione della stampa,
      prima dell’invenzione della carta,
      prima dell’invenzione dell’inchiostro,
      prima che s’inventasse l’alfabeto,
      quel che vi pare era poema orale.

      e prima di codificar linguaggi
      di sviluppare l’apparato fonatorio
      quel che vi pare fu un gran bel gesticolare.

      quel che vi pare fu la fonte primordiale:
      non so quale degrado gli possano imputare.

  43. Posso tirare lo scarico, infine? Facciamo una cosa, infine, sensata, probabilmente voluta da quasi tutti? Giordano Paolo, non Bruno, che riappiccò per falò piromantici, possiede un trullo, davvero. Una costruzione a Tholos nei pressi delle provincie tarantine e brindisine. Posso farlo e se volete lo faccio, lo sapete: vita pericolosa, amicizie pericolose, nessun pelo sulla lingua, franchezza e arroganza (immagino la grazia di Veronique a questo punto: ma è la grazia di una Madonna delle nevi o della Bretagna). È amico di miei amici, ma non mio. Ogni tanto lo trovo che passeggia pensoso, altre che sorseggia bibite analcoliche con dei fighetti pensosi e tristi. Devo solo fare una telefonata, o un fischio: i trulli hanno uno scarico sulla pietra di volta (tutte le costruzioni lo hanno, ma con i trulli è più facile). Se volete mi sacrifico e lo faccio;ma qualcuno in altro Stato o continente faccia lo stesso con l’autore dell’articolo: che ho letto a suo tempo e che mi ha annoiato, quasi come Giordano Paolo, anche se non ha avuto l’equipe di editor, non è fighetto.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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