Frammenti dalla fuga di un fuggiasco (1)
Di Giorgio Mascitelli
Sento i latrati dei cani nelle mie orecchie, sulle mie spalle, lungo la spina dorsale. Ma dev’essere uno scherzo della tensione o il frutto di un’immaginazione troppo viva: chi, realmente, nel 2013 con tutti i mezzi tecnologici a disposizione e senza la necessità di localizzarlo con il fiuto inseguirebbe un fuggiasco con i cani? Credo che oggi un buon satellitare o un buon suv o meglio ancora un’accorta combinazione del loro uso possa svolgere il lavoro di cento molossoidi. Sì, non è possibile che ci siano i cani: vuol dire che sento le voci, porca miseria!
Questo è il risultato dei troppi film che ho visto: sono un fuggiasco dovrei occuparmi di suv , di satellitari, di vie di fuga, di procurarmi vestiti nuovi e invece sono qui a preoccuparmi dei cani. Veramente il mondo era più tranquillo quando Hollywood non c’era. Se anche le orecchie mi tradiscono, la mia mente sa bene che non è possibile oggi, in un 2013, che mi inseguano ancora con i cani come se fossi fuggito dalla piantagioni di cotone o dai Piombi. C’è la tecnologia, ci sono i metodi raffinati. E’ che alle volte io penso troppo; anche in un momento d’azione come questo mi fermo a pensare e la fantasia sbrigliata si mette a correre: c’è un eccesso di produzione nella mia fantasia e occorrerebbe davvero un piano d’austerità. Per fortuna c’è una mente razionale che non si lascia ingannare dagli improvvidi conati della fantasia.
Ora, però, è meglio che corra.
Non c’è il fiato. E’ vero che la disperazione fa muovere le gambe, ma non c’è il fiato. Il fiato è un parametro oggettivo. La lena con cui fai le cose può dipendere da fattori soggettivi: dovrebbe esserci sempre, invece talvolta c’è e talvolta non c’è, ma quando manca il fiato, allora non si può discutere, non c’è spazio per la psicologia. Quando ero un ragazzo, si dava grande importanza ai bioritmi; poi questi sono scomparsi. Oggi si ritiene che la verità sia nei numeri, che è una gran bella verità, peccato che non ci sia un’adeguata formula numerica per espimerla.
Allora, se non ce la faccio a correre, non resisto a voltarmi indietro per un attimo, a osservare i miei inseguitori e nella penombra le vedo. Sulla cima della collina di fronte attorniate da suv e satellitari e numerose bocche da fuoco ci sono tre cagne magre, studiose e conte.
Non posso avere anche le allucinazioni, oltre a sentire le voci, non posso tradirmi anche gli occhi, oltre alle orecchie. Statisticamente è più probabile che mi inganni un solo organo ( la mente razionale) anziché due, gli occhi e gli orecchi.
Essi hanno davvero i cani, porca miseria!
Benchè non abbiano l’imponente maestà delle vette alpine, gli Appennini sono provvisti di un loro ruvido fascino che li rivela montagna faticosa, tignosa, poco generosa, perciò degna di imprese insolite quale la mia fuga. C’è in tutto questo una nota rassicurante e sono i lontani echi dei rumori motoristici provenienti dai viadotti autostradali che con intermittenza crescente in ragione della notte che avanza giungono alle mie orecchie. Abbiamo già visto prima che non devo diffidare delle mie orecchie. La stagione è indeterminata: ha piovuto da poco e il terreno è bagnato, ma non fa propriamente freddo. Potrebbe essere una fine d’inverno tiepido o una primavera così così o un inizio d’estate molto fresco o un autunno che, pur conservando ancora il ricordo dell’estate, già si predispone all’arrivo della stagione morta. D’altronde non ci sono più le stagioni.
Non ci sono più neanche i rumori dei cani o dei suv. Ma dal pendio in cui mi trovo non riesco a vedere nulla e poi è scesa completamente la notte. Non mi sembra neanche una notte di luna piena, cosa che fa il mio gioco non perché abbia timore dei lupi mannari, ma perché così è difficile scorgermi. Non mi devo rilassare, però, non devo pensare neanche per scherzo che abbiano rinunciato a seguirmi. Essi non rinunciano mai. Può essere che essi ritengano che anch’io dorma da qualche parte e che possano raggiungermi con tutto agio al mattino presto oppure essi sanno meglio di me dove mi trovo e ogni via di fuga è bloccata. Potrebbe essere una situazione come quella in un libro di fantascienza che lessi tanto tempo fa, in cui il protagonista veniva inviato in un piccola colonia umana in un pianeta disabitato lontano dal sistema solare, ma poi quando erano stati uccisi quasi tutti gli abitanti della colonia, perlopiù dei rottemi umani, scopre di essere sulla Terra. Certo io so di essere sulla Terra e non mi trovo in una colonia umana, ma a parte questo la situazione è uguale. Nella piccola bisaccia che ho con me ci sono solo dei wafer alla nocciola, che si sono sbriciolati, e un formaggino Mio, che tiene abbastanza dignitosamente; inoltre sono due giorni che non mi cambio le mutande e mi sono pulito con una foglia quando ho espletato le mie funzioni fisiologiche. Questo tanto per chiarire che i problemi del fuggiasco non sono soltanto relativi agli inseguitori, al dove andare, al che fare, ma anche una grave assenza di tutti i comfort che in una vita moderna sono degli standard ormai.
Quando giungo a mezza costa d’un colle, vedo i bagliori di un fuoco in lontananza alle mie spalle e capisco che sono loro che si sono accampati. Se essi hanno i cani con loro, possono anche accendersi un falò, porca miseria!
C’è già buio, un buio pesto, ma sono arrivato in cima a un altro colle e la discesa è breve perché mi imbatto in uno stagno. Allora mi viene in mente un piano astutissimo, che ho già visto una volta in un film: adesso mi metto a dormire qui vicino, poi prima dell’alba mi immergo nello stagno fino alla testa, nascondendomi con le ninfee o addirittura immergendomi e respirando con una canna che spunterà dall’acqua come un giunco, quando essi passeranno e andranno oltre. L’unica cosa che devo studiare con attenzione è un nascondiglio sicuro per la bisaccia nella quale metterò anche i vestiti, salvo le mutande che così si lavano e nel deprecabile caso che mi dovessero beccare, avrei comunque un minimo di dignità.
Nel caso di cattura e, più in generale, di sconfitta non sono mica sicuro che bastino le mutande per salvare la dignità; anzi ho l’impressione che, anche se fossi vestito di tutto punto perfino con i gemelli da cresima ai polsini della camicia, non ci sarebbe alcuna dignità. Per coloro che perdono o scappano non c’è nessuna dignità ed è tornata la scelta tra essere nulla ed essere male. A tal punto il mondo è stanco di me da cacciarmi così con ignominia?
Se solo avessi un’altra via d’uscita. Invece ora che è mattina sono immerso fino al collo nell’acqua dello stagno e certo non è il luogo adatto per cercare altre vie d’uscita. Mi ricordo che, quando ero bambino, c’era una pubblicità in televisione di un signore con l’acqua fino al collo in un bagno in camicia e cravatta, che reclamizzava una nota ( allora) marca di detersivi. Anch’io sono come lui, ma sono senza camicia e cravatta e non reclamizzo nulla: come cambiano i tempi!
La rana in Spagna gracida in campagna. Però poi starnutisco e faccio scappare i girini. Il raffreddore, avevo sottovalutato il raffreddore, ma per fortuna non passa nessuno. Non si sentono i latrati dei cani, degli uomini e dei suv. Non si sente nulla di nulla.
Le grandi fughe nella storia sono riuscite certo anche per l’intraprendenza individuale, ma soprattutto per un adeguato sistema di appoggi esterni. Insomma le grandi fughe sono un po’ come le grandi imprese sportive in solitaria: sì in solitaria, ma solo da quel lato della telecamera. Devo ammettere che ho sottovalutato questo aspetto al momento della mia fuga. Devo anche aggiungere che questa cosa mi è venuta in mente solo stando nell’acqua per un certo lasso di tempo. Evidentemente l’acqua, a dispetto di un’imponente tradizione che la indica come foriera di oblio, rafforza invece la memoria o la ristabilisce. Ma forse perché questa è acqua stagnante e l’altra che scorre. Comunque nel mio piano di fuga non avevo tenuto abbastanza in considerazione o sarebbe meglio dire per nulla tale dato della storia. L’idea di corrompere il guardiano a cui scadeva tre giorni dopo il contratto a progetto con trenta euri non è stata male. Gli ho chiesto di lasciarmi pisciare contro un albero nel corso di un trasferimento e poi si è ferito da solo con un sasso di modo da simulare una mia aggressione, non senza avermi dato prima la mia bisaccia, nella quale avevo messo qualche genere di conforto. Tanto lui sapeva che non gli avrebbero fatto storie perché sarebbe stato maggiore lo scandalo che la traduzione di un prigioniero sia sorvegliata effettivamente da una sola persona, per di più non di ruolo, anziché dalle due previste dalla normativa. Sì l’inizio della mia fuga può essere definito brillante, ma poi francamente di brillante non c’è stato più nulla.
E nessuna sa nemmeno che sono fuggito, porca miseria!
( continua)