Professional killer

di Mauro Baldrati

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Il ragazzo è entrato alle 18 in punto. Ha richiuso la porta con gesto misurato, preciso. Si è girato verso il tappeto e ha camminato nella mia direzione. Si è fermato a tre metri da me, con le mani giunte, la testa chinata.

“Amituofo” ha detto.

“Amituofo” ho risposto.

Mi ha guardato, serio, con le braccia lungo il corpo. In attesa.

Il ragazzo è giovane. Ha diciotto anni appena compiuti. Ha scelto di andare avanti nel percorso di formazione, di diventare un novizio. Alto, magro, sentivo la sua agilità, tutta la sua tensione. Sentivo la sua giovinezza che scorreva nei nervi, nei muscoli. La vedevo, la sua giovinezza, mentre li faceva vibrare. La sua giovinezza mi colpiva. La sua giovinezza mi feriva. Avrei voluto schiacciarla, distruggerla.

La sua giovinezza mi offendeva.

Dopo due minuti di silenzio assoluto gli ho parlato con voce secca, tagliente: “non sei che un povero, piccolo illuso.”

Il ragazzo è rimasto perfettamente impassibile, con gli occhi che continuavano a fissarmi, fermi, decisi.

“Tua madre era una prostituta. Non si sa chi era il tuo vero padre. Quell’idiota che ha finto di allevarti chissà da quale fogna è sbucato.”

Il ragazzo non si è mosso. Studiavo le sue mascelle, per scoprire se i muscoli avevano una contrazione. Ma nulla alterava i lineamenti tesi, immobili, del suo giovane viso.

“Quell’uomo, il buffone che chiamavi papà, è un buono a nulla, un ubriacone, un fallito. Tua madre lo ha preso con sé per fargli lavare i pavimenti, come suo servo. L’ha preso per portarselo a letto, quando non era troppo sbronza.”

Guardavo le sue mani, per sincerarmi che le dita non si stringessero a pungo, con le nocche che diventavano bianche. Ma le sue mani non si muovevano. Le dita erano leggermente piegate, col medio che sfiorava il pollice, nella posizione giusta.

“A letto, tua madre e il tuo cosiddetto padre dicevano: ma quel deficiente, perché l’ho generato? Ci causa solo noia, solo problemi. E’ un peso morto, un teppista, una zavorra inutile. Speriamo che si tolga dai piedi presto, quell’idiota.”

Gli occhi. Solo gli occhi per un breve attimo si sono ristretti. E forse le labbra hanno avuto un fremito. Allora ho capito che era il momento. Con un balzo in avanti ho fatto scattare una sventola con la mano destra. Il ragazzo si è spostato all’indietro, mentre le mie dita gli sfioravano il naso. Si è bloccato in posizione Kai-Li-bu, gambe divaricate, piede destro leggermente avanzato, le braccia in posizione di guardia. Sono partito con un calcio sinistro, poi in sequenza un destro, un sinistro e ancora un destro. Il ragazzo arretrava, rispondeva con un calcio al mento, un diretto al tronco. Tutti schivati. Mi sono lanciato con la gamba sinistra tesa, puntando al petto. Sono atterrato alle sue spalle, dopo che si era scansato con una torsione a destra. L’ho aspettato, girato di fianco, le mani a taglio perpendicolari, il piede puntato come un cuneo, pronto a fare leva. Ho continuato ad attaccare con raffiche di calci sferrati da fermo, in movimento e in volo. Ha evitato ogni colpo per almeno venti minuti, durante i quali ho attaccato senza posa, pur facendo attenzione a non colpirlo. La sua testa rapata mandava riflessi mentre la punta del naso e le sopracciglia spruzzavano gocce di sudore.

Infine mi sono lanciato in avanti e gli ho stampato un calcio col collo del piede sul plesso solare. Ho cercato il contatto medio, anche se colpendo in volo non era possibile un controllo totale dell’impatto.

Sono atterrato sul tappeto. Col colpo di reni sono balzato in piedi. L’ho guardato mentre, piegato in due, in ginocchio, si sforzava di riprendere il fiato.

Nessuno avrebbe potuto parare quel colpo. Neanche un maestro. La progressione, la velocità e l’esatta posizione lo rendevano assoluto. Non modificabile.

Si è rialzato. Si è rimesso in postura eretta, con una smorfia. Era pallido, ma il colore tornava rapidamente a diffondersi sul quel viso spigoloso.

“Sei stato bravo” ho detto, riprendendo fiato a mia volta. “E veloce. Molto veloce. La tua velocità di reazione è notevolmente migliorata. Perché la tua velocità nasce dalla quiete. Hai messo a frutto questo insegnamento, che è uno dei fondamentali.”

Il ragazzo non ha commentato. Respirava profondamente, con le narici dilatate e la bocca chiusa.

“L’unico difetto che ho riscontrato è la tua tendenza, che ancora non è risolta, a tenere le braccia troppo distese. Come sai, il braccio disteso è più vulnerabile, perché offre le vene.”

“Sì, Maestro Wu” ha detto il ragazzo, senza abbassare lo sguardo.

“Inoltre il braccio disteso non ti permette di caricarlo di tutta la potenza di cui disponi. Perde elasticità. E’ un oggetto rigido che si scarica sulla colonna vertebrale. Devi lavorare sulle braccia.”

“Sì, Maestro Wu.”

Ci siamo fissati per circa tre minuti. Senza parlare.

“Cos’hai provato mentre ti insultavo?”

Il ragazzo ha fatto un respiro profondo guardando un punto alle mie spalle. Poi ha abbassato gli occhi. Ha fissato il tappeto con la testa leggermente inclinata.

“Rabbia ” ha detto.

“Sì” ho detto. “Che tipo di rabbia?”

Mi ha guardato mentre un velo di tristezza scendeva nei suoi occhi, rendendoli vitrei.

“Rabbia. Un aumento del battito cardiaco. E la gola che si gonfiava.”

“Sì. E poi?”

“E poi ho pensato.”

“Hai pensato. Va bene. Cos’hai pensato?”

Il ragazzo esitava. Studiavo con attenzione le mascelle, le arcate sopraccigliari, il pomo d’adamo. Cercavo segnali di scatti nervosi. Scariche di tensione.

“Allora? Quali sono stati i tuoi pensieri?” l’ho incalzato.

“Ho pensato alla tua sventura.”

Un’allegria che sfiorava la felicità si è diffusa in me con un guizzo repentino. Lacrime leggere mi inumidivano gli occhi.

“Sventura?”

“Sì, Maestro Wu. Per l’oscurità che avevi dentro, che cercavi di riversare su di me.”

Ho lasciato che la mia bocca si allungasse in un sorriso. Gli ho permesso di osservarmi mentre sorridevo. Mentre gli dimostravo la mia soddisfazione.

E la mia gratitudine.

“L’hai pensato veramente? Oppure hai cercato di applicare alla lettera l’insegnamento del Buddha: Mi ha insultato! Mi ha colpito! S’è approfittato di me! Mi ha derubato! Quando smetti di tormentarti con questi pensieri l’astio riesce ad andarsene”?

“L’ho pensato davvero. E mentre ti guardavo il cuore ha rallentato e la gola si è rilassata.”

“Allora hai pensato anche col cuore. Hai capito che devi essere grato al tuo nemico, perché ti aiuta a capire. Ti offre la sua sfortuna, ti permette di rimanere calmo, di non sentirti migliore di lui. Il tuo nemico è prezioso.”

“Sì, Maestro Wu.”

“Ti aiuta a capire che l’insulto non esiste. Che non ha alcun senso. Perché è lui che ferisce se stesso, con la violenza che lo consuma.”

Il ragazzo aveva il volto rilassato, finalmente. La pelle era distesa, la sudorazione aveva ammorbidito lo strato superficiale. La ventilazione aveva reso di nuovo limpidi gli occhi.

“Hai visto come il tuo nemico spreca le sue risorse in attacchi inutili mentre tu elabori strategie di difesa. E se attacchi, lo fai unicamente per fermare la sua aggressione.”

“Sì, Maestro Wu.”

Ho unito le mani con le palme aperte, chinando il mento in segno di saluto.

“Vai, ora. Stanotte mediterai con posizioni semplici di Rou-quan, pugno morbido, fino alle ore due. Alle ore cinque sarai qui, per un’altra seduta. Pugilato con contatto medio, per lavorare sulle braccia. Tecnica del Sud.”

“Bene, Maestro Wu.”

Si è girato. Ha camminato con passi elastici fino alla porta. E’ uscito senza girarsi.

Ho guardato la porta chiusa, col cuore allegro. Il ragazzo ha fatto progressi. Ha imparato a controllare la rabbia, a renderla produttiva con le tecniche di difesa. Ha imparato a pensare anche col cuore superando la mente disgiunta, che inganna e confonde. E ha imparato a controllare la verità. Perché la verità può ferire. Può distruggere.

Perché ciò che gli dicevo nell’insulto, sulla sua famiglia, era la verità.

La sua verità.

E anche la mia.

(questo è l’incipit del thriller letterario, come lo definisce il prefattore Alan D. Altieri, “Professional Killer”, di Mauro Baldrati, Anordest, pag. 304, € 13,90)

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1 commento

  1. Ottimo attacco, e la lingua di Città nera, potente, misuratamente gelida, e come giustamente sostiene Alan D. Altieri, letteraria.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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