Su “Scuola di calore”
di Giuseppe Montesano
Fa caldo, e in un Paese abituate alla menzogna come a un cilicio, fa sempre più caldo di quanto dicano i rassicuranti telegiornali, e nel caldo sto leggendo libri di poesia chiedendomi se la poesia serva. Sfoglio, leggo, sonnecchio, sosto, mi sveglio, rileggo Scuola di calore di Massimo Rizzante, 108 pagine pubblicate da effigie, e mi rispondo che no, la poesia non è utile, è indispensabile. Rizzante ha pubblicato raccolte di poesie e di saggi, tra cui Lettere d’amore e altre rovine e Non siamo gli ultimi, e ha tradotto Kundera e O.V. de L. Milosz antenato del più noto Czeslaw Milosz, ma con queste poesie è andato molto oltre, e ha scritto semplicemente uno dei più bei libri di questi anni di miseria dei sentimenti e della mente. Ma sentiamo Rizzante, subito, per esempio nel ritmo a lievi sussulti di Malia: “Lo stile di agosto, dopo un amplesso, è sempre lo stesso:/grilli moribondi, insonnia, torture al ventre, e infine troppe ore/a fissare i crittogrammi delle crepe che il tempo, quel piccolo/burocrate alcolizzato, si diverte a scrivere sui muri”, e poi l’attacco feroce di Jlham: “Il primo presentimento della mia morte/l’ha avuto mia madre, in auto, sulla strada per Essaouira,/mentre lo sperma di uno sconosciuto le sporcava il volto./ Nothing like something, happens anywhere//Il secondo è stato alcuni anni fa, a una mostra su Barcelò,/dopo un breve idillio nelle toilette del Prado. C’è un quadro, Yo,/un autoritratto corrotto dal tempo, invaso dalle termiti, corroso dai ratti,/con macchie di umidità atlantica al posto degli occhi…” con la chiusa commossa e tenera: “Ma, a questo punto, ci vorrebbe un erede/o almeno un lattante con due labbra d’annegato/che sbalzato dal grembo di una carcassa sul ciglio della strada/giungesse fino al mare e lì, per incanto, non avesse più fame”; poi ancora dei frammenti a caso da Khadjia, un poème en prose: “C’è uno che si sente diverso, un profeta che gioca con parole che non conosco: ‘essenza’… Poi si abbatte con i denti sul muschio bagnato della mia piccola caverna fino a farmi piangere. Poi grida: Lacrimae rerum!”; “Oggi i pensieri devono morire nell’eccitazione…” Che voce parla da queste poesie? In Scuola di calore si mescolano monologhi di donne e donne-uomini del Maghreb con voci storiche e letterarie del Novecento, i nazisti parlano di Picasso e la violenza del sesso è ovunque, ma la dolcezza trabocca dalle donne spezzate e l’arte diventa una forma di vita nel cui centro focale giace la rivendicazione della debolezza come la sola ricchezza da opporre allo sfacelo dell’aggressività, una scuola in cui il maschile sadomasochista si lasci insegnare tutto dal femminile liberato. Scuola di calore ha il tono inconfondibile dello scrivere quando è in viaggio verso l’essenziale, come la voce che parla in Gabriela: “So che il prezzo da pagare/per la libertà è la distruzione di Homo economicus. E’ così alto?/Davvero preferiamo un IPod a un nuovo amico?//Chi dice che nella storia dell’uomo gli imperi sono solo eccezioni/e che il regno di Homo sapiens è la democrazia, si ricordi dei Daiachi/e dei loro lobi deformati dal piercing, quando la sua testa mozzata/da un machete rotolerà ai piedi di un muro coperto di graffiti…” E se Scuola di calore è un vademecum per resistere alle mitologie del presente, e ingaggia una terribile battaglia frontale con l’oscena volontà di potenza sposata al Capitalismo spettacolare che è la sola religione del presente, è anche un taccuino sui cui foglietti sono segnati i luoghi dove andare ad abbeverarsi nella poca sapienza che ci resta, quella di Fatima-Zahra, la voce profonda che parla qui e chiede che sia fatto spazio a una civiltà fuori dalla sopraffazione, una civiltà che chiede sogni per vivere e non incubi per morire: “Che altro, mio profeta?/Primo, la povertà è al di sopra di tutte le leggi. Poi, non c’è salvezza/in nessun gregge. Infine, l’amore è mendicare senza orgoglio…” Fedele a una modernità troppo spesso sbertucciata dai post-qualcosa, Rizzante dà forma a una poesia che racconta e fa entrare il tempo narrativo della prosa nel verso in modo originale proprio perché volutamente pieno degli echi dei Maestri. Le poesie di Scuola di calore sono scritte in quartine in apparenza slabbrate e stremate, ma si inseguono ritmate su un parlato lapidario e cantato, colto e semi-colloquiale che concentra il lirismo in una punteggiatura che si fa misura e metrica, in un tono discorsivo che è in continuazione reso febbrile dai salti narrativi e dalle fratture linguistiche. Rizzante ci dice che la poesia può raccontare di noi qui e ora senza finire nei cul-de-sac dei Bonnefoy che hanno dimenticato che la poesia è sempre una visione della realtà come è, e non un gioco di specchi: Scuola di calore va esplorato e letto da soli, misterioso e insieme aperto e accessibile, perché è un raro esempio di cosa potrebbe ancora fare la poesia per dire cosa siamo e come potremmo trasformarci. E il tono colloquiale sembra vivere anche in altri libri usciti in queste settimane: Datura di Patrizia Cavalli, per Einaudi, e Il fumo bianco di Renzo Paris, per Elliot. In Datura la Cavalli si sottrae al carcere amato delle rime e dei metri esattissimi, e distende la voce in una poesia a tratti lieve e “alla mano”, nella quale le risorse di una signora della metrica sono al servizio di un ritmo quotidiano e lieve. Invece Paris continua la sua esplorazione della poesia colloquiale con terzine spogliate dalle rime e “povere”, rifacendosi in modo acuto e personale a Orazio e agli gnomici latini, mescolando all’ironia una commozione che il tono tra cantabile e quotidiano rende solo più forte. E in tono colloquiale ci parla anche l’Enzensberger di Chiosco, un libro del 1995 tradotto per Einaudi da Anna Maria Carpi, con Hans Magnus che ci porta in giro per il Moderno senza ripudiarlo e senza poterlo amare, attento e vigile a ogni spia di possibili uscite dal labirinto. Sì, in questo labirinto fa veramente caldo, e troppe Arianne sono state mutilate o si sono vendute ai padroni del labirinto: e allora facciamo il gesto minimo di sollevare piccoli libri e leggere poesia, non per svago, lo svago è l’ultimo giro di chiave alla cella della prigione, ma per respirare con ritmo umano, e ritrovare il filo, e Arianna, e la luce dolce in cui si potrà alla fine imparare ad amare.
bellissima questa nota di Montesano. Il libro di Massimo è davvero, indispensabile effeffe
Grande peccato che poi ho dovuto ridarlo indietro a Forlani questa estate in libri che mi ha anche aiuto a capire e. Oso adesso l’ho ordinato e questa nota rende il merito dovuto per la grazia e la profondità che si fondono in questa opera poetica straordinaria un caro saluto c.
Il libro di Massimo Rizzante è un gran bel libro. Un libro che te lo leggi immerso nel silenzio di una stanza ma che poi ti porti appresso per aprirlo prima di cadere nel sonno, quando vai al lavoro, nel dopo pranzo prima di ricominciare, quando sei incazzato o stressato o semplicemnte annoiato. Un gran bel libro questo libro di poesie di Rizzante
[…] di calore” di cui è possibile leggere alcune delle poesie su Nazione Indiana, ha scritto Giuseppe Montesano: “ha il tono inconfondibile dello scrivere quando è in viaggio verso […]