La prova del cuoco: Ivan Ruccione
Stiamo attraversando il cortile. Stefano ha in braccio un’intera forma di Parmigiano Reggiano che ha scaricato dal furgone di un fornitore e sta soffrendo come una bestia perché, oltre alla fatica dei cinquanta chili che sta trasportando, io ho arrotolato lo straccio su se stesso e, con abili e decisi movimenti di polso, glielo schiocco ripetutamente sul suo grosso culone flaccido.
“Su, lavora bestiaccia!” urlo, standogli alle calcagna.
“Smettila, per l’amor di dio, smettila che se mi cade mi spacco i piedi!” frigna, paonazzo.
“Giustappunto per l’amor di dio voglio farti capire quale sia stato il significato de la Passione!” e lo colpisco ancora e ancora e ancora e ancora.
Giunti in cucina, Stefano sbatte la forma sul tavolo e si piega in due per riprendere fiato, poi allarga quei cotechini di braccia per sgranchirsi la schiena, e la giacca si alza scoprendo la panza che cade sulla cintura. Ha il viso imperlato di sudore e atteggiato a una smorfia di strazio.
“Lo sai che anche oggi pomeriggio te ne stai qui, vero?” dico arrotolando il torcione in segno di minaccia, dopo aver bagnato la punta nel cuoci pasta.
Non risponde, tracanna acqua da una bottiglia da mezzo litro. Il gozzo si muove spaventosamente manco fosse un tacchino.
“Che devo fare…?” chiede ansimando.
“Chef!” urlo.
“Sì?” risponde senza levare gli occhi da un ricettario.
“Dobbiamo fare le sarde in saor per domani, giusto?”
“Certamente”
“Le dispiace se faccio tagliare le cipolle a Stefano?”
“Mi dispiace? DEVE” dice, sbattendo la mano sul ricettario.
“E pulire le sarde?”
“DEVE” dice, e sbatte di nuovo la mano sul ricettario come se avesse la faccia di Stefano lì sotto.
“Bene, cicciopasticcio, mentre io vado al mare e lo chef va a scopare,” e ‘scopare’ lo dico sottovoce, “ tu hai trovato il modo di trascorrere questo bel pomeriggio di sole e gnocca facendo qualcosa di utile”
“Sinceramente anch’io sognerei di andare al mare, qualche volta…” dice, innervosito.
“QUESTO è il tuo sogno, non ricordi?”
Torno dalla cella del pesce che Stefano si è messo già all’opera per sbucciare e tagliare a filangé cinque chili di cipolle. Appoggio la cassa di polistirolo sul piano della plonge e chiedo: “sai pulire le sardine?”.
“Sì…”, mormora.
Lo osservo, appoggiandomi al lavandino. Mi fa una tenerezza immensa. Tornano alla mia memoria le stesse giornate, trascorse alla stessa maniera. Dalla mattina alla sera dentro queste pareti, in cui il sapore del sangue di bestie morte e di cento altri cuochi agonizzanti è tanto amaro che dalla bocca non riesce ad andarsene, come se nelle gengive ci fossero piantati rafani anziché denti. Dalla mattina alla sera senza vedere la luce del sole, senza avere il tempo di fumare una sigaretta. Senza il tempo per abbracciare una volta in più mia moglie. Senza il tempo per dare la buonanotte a mia figlia. Come se fosse l’ultima. Prima che fosse l’ultima.
Sulle guance di Stefano corrono due lacrime.
No, le cipolle non c’entrano.
(secondo frammento di un discorso che diventerà un bel libro. effeffe)
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Molto, molto contento che NI e Francesco Forlani diano ad Ivan Ruccione l’attenzione che merita.
Grazie mille, Jacopo. Un abbraccio.
pure noi :-)
effeffe
Io mi appellerei al sindacato!!!…
… a già non esiste più.