Il cacciatore di larve
di Gianni Biondillo
Amir Tag Elsir, Il cacciatore di larve, Nottetempo, pag. 191, traduzione di Samuela Pagani
Dopo anni di impeccabile servizio – spiare, nel nome del governo, gli eventuali sovversivi – ‘Abdallah Harfash, detto scherzosamente Farfar (Farfalla), perduta una gamba durante un pedinamento, gira con uno sconcio arto di legno in uno stato forzato di inattività. Ma Farfar ha deciso di dare un senso alla sua nuova vita scrivendo un romanzo. Non avendone però mai letto uno, troppo impegnato nella sua attività di delatore, decide di rimediare. Inizia così a frequentare, da neofita, un caffè letterario bazzicato dalla classe intellettuale cittadina: scrittori eccentrici, scrittrici vanesie, adepti codini alla ricerca di una qualche notorietà.
Il cacciatore di larve è un romanzo comico e grottesco, dove nessuno dei personaggi rappresentati appare simpatico. Le miserie umane di Farfar, che cerca di nobilitare il suo passato ricercando una fama effimera, sono le stesse dei suoi comprimari: grasse zie, becchini nevrotici, teatranti da strapazzo. Persino l’involontario mentore di ‘Abdallah, lo scrittore A.T., pieno dei suoi rituali estetizzanti, per quanto tecnicamente bravo (Farfar nel frattempo ha persino letto un suo romanzo, il primo della sua vita), si dimostra incapace di reagire al potere costituito. Di fronte all’immotivata cattura da parte degli ex colleghi di Farfar, vive l’umiliazione a capo chino, tanto quanto al caffè gioca a fare il dissidente.
Amir Tag Elsir scrive con una lingua ingenua, calco dell’incapacità del protagonista di usare le parole. Ma ogni tanto si permette digressioni stilistiche: quando, ad esempio, stila un rapporto di polizia, o quando riporta un intero capitolo del romanzo di A.T.
La determinazione di Farfar nel voler diventare uno scrittore è schietta. Ha capito che le storie che gli affastellano la mente sono solo larve, non tutte potranno crescere, svilupparsi, diventare farfalle. Così come lui stesso vive la contraddizione fra la sua volontà di libera espressione, fuori dalle regole opache del potere, e la macchina di una società oppressiva che potrebbe tarpargli le ali per sempre.
(pubblicato su Cooperazione, numero 11, del 12 marzo 2013)
Un romanzo in cui specchiarci (letteralmente).