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Profumo di lago

Zargani Gli amici di Doppiozero hanno pubblicato un nuovo ebook, Profumo di lago. Eccovi di seguito un breve un estratto.

di Aldo Zargani

Il settembre del 1939 a Lugano è mite, assolato, un po’ triste, non più di quanto accada sulle rive dei bei laghi del mondo all’inizio di ogni autunno.

Le nari inspirano odore di lago appena usciti dai vagoni fumosi: non sono ancora elettrificate… neppure le ferrovie svizzere. Una specie di profumo sottile che rivela l’umido e le vite che ci stanno dentro, di quelli che non si smette di sentire nel fondo dei polmoni perché non è un aroma mummificato da boccetta, ma esala da condizioni che mutano: il mattino, la pioggia, il sole, il vento, la notte, un branco di pesciolini, le foglie morte che si sparpagliano sull’acqua, le alghe fradice subito sotto il lungolago…[1]

Immersa in quell’effluvio, c’è, davanti alle colline, la lunga fila di case, strette per non perdere spazio. Ogni tanto dei vicoli spezzano la parata di palazzi, vicoli bui, che si addentrano nella città vecchia – tutto italiano e abituale, come a Como, come sul Garda o sul Lago Maggiore… Ma la città vecchia non sembra esistere, c’è solo una specie di buio, o fuori fuoco, il luogo dove il balsamo della memoria è svanito, là, vicino al confine del deficit, dove inizia il nulla del dimenticato.

Dalla stazione ferroviaria, anch’essa sfocata, scende verso il lago un ripido declivio, non lungo, con alberi e palazzi senza luce. Luce invece sulla funicolare ad acqua, con due vagoni rossofiamma per 20, 30 persone, piccoli tramvai di quelli di una volta, col balconcino davanti e dietro e il conducente in divisa col kepì. Ci si deve contentare degli splendori dell’idraulica: il vagone che sta in alto si abbevera d’acqua, vicino alla stazione, finché pesa tanto da trascinare il suo fratellino rosso sul lungolago. Quello giù ha intanto fatto la sua pipì, tutta l’acqua se n’è andata, ed è diventato leggero leggero per essere tirato su.

Il papà ci spiegò con il dovuto sussiego quel capolavoro gravitazionale al servizio del progresso. Che serviva poi solo per andare gratis dal lungolago alla stazione e dalla stazione al lungolago senza dover fare le scale con tutti i bagagli.

Sulla riva deserta c’era, e c’è ancora[2], un pescatore svizzero, solitario e immobile con la sua lenza, sotto gli alberi forse con le foglie già un po’ gialline, seduto sui margini del lastricato, con le scarpe che quasi toccavano l’acqua diafana e luminescente del mattino.

Eravamo passati da Lugano con un’ultima speranza nel cuore. La speranza crudele che non riuscisse ad arrivare il violista polacco, ebreo come noi, che aveva vinto il concorso per insegnante del Conservatorio.

Sperammo che a causa delle contingenze belliche – dieci giorni prima, il 2 settembre, era scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, ma non sono sicuro che tutti se ne fossero già accorti – fosse impedito a raggiungere il posto di lavoro che gli spettava in quella disperata corsa di migliaia di violinisti ebrei in fuga verso il sicuro rifugio dei Conservatori svizzeri: aerei Stukas in bianco e nero che abbattono palazzi di Varsavia in bianco e nero, ghigni in bianco e nero della soldataglia tedesca che avanza… Come poteva, quello là, da Varsavia, arrivare in Svizzera dal dilagante mondo in bianco e nero?

E invece il mio papà era già lì, nei dolci colori dorati dell’autunno di Lugano, pronto a presentarsi nella sua qualità di extrema ratio. Per non tornare mai più in Italia.

 

Aldo Zargani è nato a Torino nel 1933 da famiglia ebraica. L’infanzia e l’adolescenza sono state segnate dalle leggi razziali fasciste del 1938 e dalle violenze dell’occupazione nazista. Sfuggito con i famigliari alla deportazione, ha lavorato per la Rai e ora vive a Roma. Ha pubblicato Per violino solo. La mia infanzia nell’aldiqua (1938-1945) (Il Mulino, 1995, ristampato nel 2004) e Certe promesse d’amore (Il Mulino, 1997). Il primo è stato tradotto in inglese, tedesco, spagnolo e francese; e molti testi e testimonianze su giornali e riviste, in particolare su “Lettera internazionale” e “Il Mulino”.



[1]     Inebriata anch’essa dal profumo, quello però del lago di Ginevra, Elisabetta d’Austria fu assassinata durante una promenade l’11 settembre 1898, 41 anni prima di me. A lei , che morì sul serio, fu risparmiata, a me no, la deprecabile serie di tre film (“La principessa Sissi”, Austria 1955, “Sissi, la giovane imperatrice”, Austria, Germania ovest, 1956, “Sissi, destino di un’imperatrice”, Austria, Germania ovest, 1957) che la RAI, Radio Televisione Italiana, si ostina a trasmettere da quasi mezzo secolo nell’afrore di ogni estate.

[2]    Il pescatore assente nel passato, ma presente nell’adesso, giustifica il guazzabuglio di passati remoti, imperfetti e presenti che il lettore incontrerà.

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3 Commenti

  1. C’è una grande differenza tra il lago di Lugano e il lago di Como, ed è la chiusura per il primo…per il resto ho apprezzato tantissimo la descrizione dell’odore pungente del lago che, più che un profumo, è un persistente odore di profondità…
    Complimenti a Zargani per la bella atmosfera lacustre che ha saputo ricreare non ostante il trascorrere del tempo.

  2. Ciao,ho letto questo breve estratto di “Profumo di lago”.Ho iniziato a leggerlo perchè io sono sempre stata innamorata dei laghi…forse perchè vivendo a Milano ogni giornata libera era occasione di gita al lago di Como, di Lecco, Maggiore,d’Orta, di Garda, di Varese e altri ancora.Tutte bellezze naturali “a portata di mano”:che fortuna! Si:mi è piaciuto il racconto ma forse è un pò troppo descrittivo…? Sicuramente ora mi procuro il libro di Aldo Zargani.Perchè comunque amo leggere e mi piacerebbe che anche gli altri leggessero e condividessero i miei scritti.Io ho scritto una poesia sul lago, eccola:
    “Velo di seta blu
    danzi accompagnato dal vento
    lui ti ama e ti consola
    in movimenti oscillanti,
    ti accarezza con le sue infinite mani delicate
    che sembra voglia rapirti
    ripensando alla tua voluta forse solitudine.
    I miei occhi si ammorbidiscono a questo ballo sensuale
    e si riaprono alla tua dolce immensità
    Velo di seta blu
    che danzi a ritmo della mia nostalgia,
    della mia felicità,
    tutto solo per la mia libertà.”

    Il mio blog è questo: sarapederzani.blogspot.com
    Chiunque volesse condividere il mio blog è libero di farlo con mio immenso piacere e io potrei condividere i vostri blog.
    Ciao, da Sara

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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