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do you remember TQ?

Che fine ha fatto TQ?
Pubblicato il 4 giugno 2013 · in alfabeta2,
di
Vincenzo Ostuni

Che fine ha fatto TQ, gruppo di intellettuali trenta-quarantenni, le cui prime mosse vennero seguite con clamore dai quotidiani nella primavera del 2011, il seguito con qualche interesse, poi con degnazione, gli ultimi sviluppi passati sotto silenzio (se non da questa rivista)? Hanno pesato, sì, le caldane della stampa, sempre più disattenta, spettacolare, conservatrice. Ma c’è dell’altro.

Va detto: Generazione TQ, che oggi langue, è stata il tentativo meno fallito di articolare proposte collettive radicali – di stampo grosso modo marxiano – e di uscir fuori dal pelago d’irrilevanza, o d’ignavia che ha impeciato gli intellettuali di quella generazione. TQ ha lasciato documenti e forse qualche eredità; eppure ha finito di funzionare. Non perché le sue proposte non siano state realizzate; ma perché neppure sono state ascoltate: le parti con cui TQ avrebbe potuto dialogare le hanno opposto un muro di disinteresse. Si ricordi il bel manifesto TQ sui beni culturali, battezzato da Salvatore Settis su «Repubblica» e poi escisso, come cisti antiliberista, dal dibattito in cui giganteggiava il documento nano, e moderato, del «Sole 24 Ore». Ma c’è ancora dell’altro.

Le forze vitali di TQ, tutti i suoi membri più influenti, se ne sono progressivamente disamorati. Come anche, infine, il sottoscritto. Decisiva l’indifferenza delle controparti: stampa, politica, industria culturale; ma forse per alcuni è troppo tardi per scimmiottare un radicalismo che non hanno mai avuto, cresciuti negli anni Ottanta a retorica antiradicale, pasciuti nei Novanta a fine della storia. Troppe influenze negative, troppo pochi anticorpi. Prima generazione precaria nelle bolge della gerontocrazia, ci siamo fatti un «culo tanto» per un reddito decente, per pubblicare qualche libretto, per sciorinare in tagli secondari di quotidiani maggiori, o almeno in festival letterari, la nostra sfavillante tuttologia postideologica: ora dovremmo anche marciare contro il mercato, che ha già vinto ovunque, e nei resti del cui camembert abbiamo rosicchiato fin qui?

Noi siamo scrittori e – così si esprimeva qualcuno poco prima di confluire in TQ – nostro dovere è creare capolavori. Del resto si occupino i politici di professione, i nevrotici dell’idealismo. A noi cavalcare la tigre dell’arte. Anche se, come un’auto da corsa, tappezzata di adesivi del Male: è sempre stato così. TQ ha avuto anche il merito di una visione, oltre che radicale, intellettivamente impegnativa. Primo risultato: alcuni se ne allontanarono presto perché troppo moderati, troppo compromessi; altri perché consapevoli di non rispondere ai pur laschi criteri di qualità letteraria che si andavano promuovendo.

Ma, anche fra chi rimase, qualcuno è a disagio nel vedersi attribuire una difesa della «qualità», quest’incubo zdanoviano; arrossisce all’idea che lo si scambi per un movimentista da strapazzo; teme forse d’essere espulso da editori e giornali come un sottosegretarietto ammonito a più diplomatica mitezza d’accenti. E poi non ammette un grado eccessivo di intellettualismo. Ah, l’antintellettualismo, il culto pseudodemocratico della volgarizzazione non come alto strumento pedagogico ma come unica via alla conoscenza! L’odio – tranne salamelecchi d’obbligo – di qualunque specialismo, di qualunque scrittura che resista alla nostra facilità d’interpretazione, di qualunque discorso che implichi più di due subordinate per periodo!

È l’antintellettualismo la tabe della nostra generazione, il motivo per cui non reagisce alle più triviali apologie del mercato, all’appannarsi dell’editoria generalista in un giulebbe mid-low-cult. Esso coinvolge anche alcuni ottimi scrittori: che i loro capolavori, glielo auguro, rimangano; ma la loro coscienza politica è d’acqua fresca. Forse meritiamo la nostra, o meritano la loro, irrilevanza sociale, cognitiva e spesso, in fondo, estetica.

Forse dovremmo scioglierci e accostarci, come singoli, ai pochi barlumi che si apprezzano in giro, nei teatri occupati, nei movimenti politici. E ricominciare, novecentescamente da soli o in gruppi sparuti, a lanciare ormai flebili urletti d’allarme. Forse invece no: forse è ancora possibile e utile una voce radicale collettiva e qualificata, più omogenea e agguerrita di TQ. Le due chance sono separate da un crinale strettissimo, e alcuni di noi lo percorrono senza realmente decidere da che parte discendere.

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22 Commenti

  1. TQ è fallita per un motivo banale: era stata lanciata da 5 persone stimabili e alle quali tutti erano disposti a dar retta; quando poi, dopo il disimpegno di costoro, hanno tentato di prenderla in mano persone che – au contraire – non stima quasi nessuno, tipo il firmatario di questo tragibuffissimo post, ovviamente quasi tutti i coinvolti se ne sono tirati fuori

  2. questo articolo era già apparso su Alfabeta2 e la cosa più interessante erano i commenti. Vediamoli.

    – Autocritica su Generazione TQ. La stai facendo male

    – TQ è sparita non appena i suoi veri iniziatori (Grazioli-Lagioia-Vasta-Antonelli-Desiati) se ne sono tirati fuori. Sono rimasti giusto Ostuni e un altro paio di quelli che si sono aggregati dopo, in una mailing list vuota per anni e a cui nessuno dava retta. Siamo seri, su.

    – Come si può affermare che TQ “oggi langue”? TQ è morta in culla, solo i pochi che ci erano rimasti dentro, come l’autore di questo articolo, fingevano che esistesse ancora.

    – Nessuno li ascoltò http://www.alfabeta2.it/2013/06/04/che-fine-ha-fatto-tq/

    – Che fine ha fatto TQ? Ma soprattutto, qualcuno aveva davvero preso TQ sul serio?

    – I fuochi di paglia degli intellettuali italiani http://t.co/kZq6rx6K7z

    – che fine ha fatto TQ? dopo che era naufragata, Christian Raimo ha preso i suoi uomini e donne migliori e ha fatto Orwell (che infatti era bello). Il resto è fuffa.

    – La cosa che mi stupisce è come l’autore di questo articolo non provi nemmeno ad abbozzare un’analisi non dico autocritica, ma neppure critica del sonoro fallimento di TQ, quanto meno come collettivo, perché a livello di singole esperienze (vedi il citato Orwell) ha senza dubbio prodotto qualcosa di buono

    – Saranno ricordati come un gruppo di quarantenni ansiosi di avere un ruolo sociale che nessuna società aveva la minima intenzione di affidargli.
    E Ostuni insiste, ne vuole fare un altro di gruppo che vada in giro a parlare del sistema marcio che non dà fondi alla cultura e attenzione ai romanzi sperimentali dei suoi amichetti che parlano del sistema marcio che non dà fondi alla cultura e attenzione ai romanzi sperimentali dei suoi amichetti…
    Il problema è che siete fuori dal mondo e non avete niente da dire a nessuno, altro che nuovi intellettuali.

    – Ma per carità.

    – Sono tutti brutti e cattivi. Questo, in sintesi, sembra essere il giudizio di Vincenzo Ostuni sul fallimento (« meno fallito » di altri fallimenti) di TQ, pubblicato sul numero di Giugno di Alfabeta 2.

    – io lo so! ha perso le chiavi di casa e si è impiccato per la vergogna.
    il povero Tiziano Quadernio era un tipo molto preciso e non poteva ammettere un errore così banale e così umanicchio dentro il suo impeccabile curriculum vitae di sfarinatore di grumi di sale marino.
    O si parlava di Tommaso Querulo?
    Comunque la tabe della vostra generazione è l’intellettualismo, quello che vi impedisce di capire come reagire alle apologie del mercato senza reagire al mercato* sia crearsi una posizione nel mercato equivalente a qualsiasi altra**.

    E poi a cosa ci serve gente che ha sostituito la considerazione brechtiana del “sol chi ha la borsa piena vive piacevolmente” con un terribile “sol chi ha la testa piena vive piacevolmente” che sa molto di Maria Antonietta (“la gente chiede pane? dategli un buon libro!”) nel mentre che si atteggia a Robespierre.

    *e passiamo pietosamente sopra la leggerezza con cui si feticizza una serie di sistemi complessi riunendoli in una parola vuota imposta dal campo che si presume di sfidare.

    **ergo, priva di quella sostanza morale che ne sostiene l’appetibilità sul mercato, ovvero totalmente contraddittoria e in quanto tale priva di utilità, ovvero parassitaria e truffaldina.

  3. Nella schiera dei TQ si collocano idealmente i miei figli, brave e coltivate persone che, appunto, si sono affannate parecchio per ottenere pochino. Confesso di avere non di rado giudicato irrilevante il loro ruolo socio-politico.
    Ma non per indulgenza materna li assolvo da incapacità o personali insufficienze. Sarebbero occorse forze “titaniche” per lacerare il tessuto vischioso della volgarità dominante e sconfiggere le logiche della semplificazione mercantile.
    Considero un successo educativo la manifesta ripugnanza; è già molto che il loro percorso se ne sia discostato.
    Si farà ora sentire una “voce collettiva radicale e qualificata”? Ho qualche dubbio…

  4. “l’eccesso talvolta è esilarante. Impedisce che la moderazione acquisti l’effetto mortale dell’abitudine” sosteneva Mauhgam. .Sotto questa luce,è perfino possibile considerare la mezza uscita di scena(o mancata entrata in scena)del movimento come una specie di redenzione catartica visti i toni roboanti con la quale si annunciava quella che doveva essere una rivoluzione,che a me a suo tempo erano sembrati poco temperati da quell’indispensabile ironia che consente di sentirsi “felici nel disastro”(cfr F.G. Hortelano )

    http://www.youtube.com/watch?v=zF7y67oOgFI

  5. TQ è nato come l’espressione di una generazione alla ricerca di una primavera artistica.

    Forse TQ si è trovato abbandonato, perché l’individualità di un artista è più grande nella nostra epoqua.

    Sembra che l’Europea crea movimenti effemeri..
    Sono piccoli luci. Febbre. Ma senza progetto concreto

    Forse TQ aveva troppo ambizione.
    Ma fu un movimento unico in Europea.

    Rimane la casa editrice Laterza con voci particolare.

    Credo che TQ non ha saputo unire politica, filosofia, scuola, letteratura, creazione.
    Era troppo vasto.

    Per me, era troppo chiusa nell’idea di generazione 30-40. E troppo d’ispirazione politica, nostalgica di un’epoca scomparsa 1968-1976.

    Era tardi: abbiamo perso il momento di creare un mondo nuovo.
    Solo venti anni puo affrontare la possibilità di inventare e vivere un sogno.

    TQ era forse nato di un rimpianto.

  6. Sono stanca dopo la scuola. Ho fatto errori. Mi scuso di maltrattare la lingua italiana:
    concordanza, congiuntivo.

  7. non si preoccupi, véronique, la stragrande maggioranza dei tiqqù scrive anche peggio
    e non possono nemmeno dire di essere stanchi…

  8. Però sti TQ li hanno trattati male, soprattutto in RAI. Ma scusate il programma di Volo, “Volo in diretta”, potevano darlo a uno max due dei TQ (ce n’erano tanti, sorteggiavano dall’urna di Losanna), facevano “TQ in volo”, oppure “Dirotta su TQ anche tu” e l’esperimento (pure un po’ futurista) dei TQ era riuscito, per lo meno a qualcuno.
    Mi dispiace che Ostuni ora scriva così tutto imbronciato perché è sempre un peccato quando un gruppo così importante di artisti veri, interessato esclusivamente al bene comune loro e al manufatto letterario, si muove per nulla. Penso veramente che li abbia fregati l’invidia degli altri scrittori più anziani o di quelli ventenni. La prossima volta dovrebbero fare il gruppo VC (voglio dire gruppo Da Venti a Cento, così possono lanciargli l’invidia solo quelli sotto a vent’anni… quanti ce ne saranno mo sotto i venti di scrittori?… giusto Rimbaud… ma è morto…).

  9. nel link che ho messo al bel pezzo di Vincenzo si accede a una pagina del sito TQ in cui è possibile leggere tutti i documenti prodotti, nelle tre lingue principali, francese, inglese e spagnolo. oltre ai redattori di quesi documenti molti traduttori hanno prestato in modo militante la propria opera a quella causa. Se dovessi riassumere l’impressione che ho leggendo questo thread, è da una parte la visione miope ciapaquabutalà di chi, da buon compilatore di classifiche e tabelle buoni e cattivi si concentra sui nomi, sul fuori i nomi, su chisittùchisongie, e dall’altra una visione più internazionale (da prima internazionale). Tacere su queste azioni come del resto su quella di Matera a cui tq ha partecipato in occasione del Forum del libro, scontrandosi con le logiche mainstream dell’affaire libro e letteratura di qualità significa, e questo accade spesso in questo paese miope e malandato, ancora una volta fissare il dito e non la luna. il mio più sincero augurio è che quel cazzo di dito, almeno una volta, sia un dito medio e chi s’è visto s’è visto. effeffe https://www.nazioneindiana.com/2011/10/23/basilicata-post-to-post/

    • caro Forlani, il problema non è il dito, è che la luna che indicate in verità è un lampione!

      cioè, ma se devo fare un manifesto minimo chiedo l’abolizione dello stato e la morte di tutti gli infami, che è sta robetta da educande stile giovani piddini che avete tirato fuori? battaglie per far inserire il nome dei traduttori nelle quarte di copertina? qua c’è da mangiare il cuore crudo estratto a mani nude dal torso dei banchieri e voi trovate il tempo per queste pinzillacchere? e poi vi lamentate che non vi si prende sul serio?

      ah, già, il primo manifesto fu pubblicato sul Sole 24 Ore, noto organo di collegamento della rivoluzione mondiale, mi si scusi.

      PS ho amicici che fanno split ep ardicore-antisistema con gruppi tedeschi, russi e financo malesi, essi tuttavia non arrivano a definirsi “internazionalisti” per amenità di questo tipo…

      • scusa tu, dimmi un solo punto in cui si parla di rivoluzione o di armiamoci e partite. Che io sappia, invece, si tratta di una “prima volta” in cui persone di campi diversi tra loro, editori, autori, traduttori, editor, professori, bibliotecari, librai, ecc ecc si sono messe insieme per elaborare dei documenti condivisi e che a mio parere rimangono un ottimo punto di partenza. Ti segnalo che il progetto, nato più di due anni fa, ha coinvolto oltre ai redattori degli stessi, testate come Alfabeta, nazione indiana, minima & moralia, lavoratori che si fanno un culo della madonna, come insegnanti, bibliotecari, traduttori e quant’altro per rendere questo paese un po’ più abitabile. Saranno pure, lampioni o magari lampare in mezzo al mare, però non da liquidare nel modo in cui hai fatto insieme ad altri. per quanto mi riguarda sono uscito da Tq dopo nemmeno un anno ma se dovessi rifare le cose che con dispendio non solo di energie ma anche di rsorse, ho fatto, ti assicuro che rifarei ogni cosa. Magari in quello stesso periodo caro tu, hai portato avanti qualcosa di molto meglio, scritto e pubblicato importanti manifesti e dimostrato come sia possibile reagire con cognizione di causa a questo stato di cose. dai, dici, caro tu, qui, parlamene, illustrami cosa hai fatto e fai.
        effeffe

        • « Siamo impegnati in un gioco in cui non possiamo vincere. Alcuni
          fallimenti sono migliori di altri, questo è tutto.» (G.O.)
          p.s. accessorio: resta affascinante una società di individui le
          cui due preoccupazioni principali sembrano essere dare la maggiore
          pubblicità possibile a tutto quello che fanno e tutelare al massimo
          la riservatezza di tutto ciò che fanno.

  10. e comunque,comunque il tempo non esiste.Quello che conta è il lampo:
    “Per lanciare un manifesto bisogna volere: A, B, C, scagliare invettive contro 1, 2, 3, eccitarsi e aguzzare le ali per conquistare e diffonder grandi e piccole a, b, c, firmare, gridare, bestemmiare, imprimere alla propria prosa l’accento dell’ovvietà assoluta, irrifiutabile, dimostrare il proprio non-plus-ultra e sostenere che la novità somiglia alla vita tanto quanto l’ultima apparizione di una cocotte dimostri l’essenza di Dio.

    Scrivo un manifesto e non voglio niente, eppure certe cose le dico, e sono per principio contro i manifesti, come del resto sono contro i principi (misurini per il valore morale di qualunque frase). Scrivo questo manifesto per provare che si possono fare contemporaneamente azioni contradittorie, in un unico refrigerante respiro; sono contro l’azione, per la contraddizione continua e anche per l’affermazione, non sono nè favorevole nè contr etc etc etc

    p.s. Cosa disse il tuono

    Dopo la luce rossa delle torce su volti sudati
    Dopo il silenzio gelido nei giardini
    Dopo l’angoscia in luoghi petrosi
    Le grida e i pianti
    La prigione e il palazzo e il suono riecheggiato
    Del tuono a primavera su monti lontani
    Colui che era vivo ora è morto
    Noi che eravamo vivi ora stiamo morendo
    Con un po’ di pazienza

    Qui non c’è acqua ma soltanto roccia
    Roccia e non acqua e la strada di sabbia
    La strada che serpeggia lassù fra le montagne
    Che sono montagne di roccia senz’acqua
    Se qui vi fosse acqua ci fermeremmo a bere
    Fra la roccia non si può né fermarsi né pensare
    Il sudore è asciutto e i piedi nella sabbia
    Vi fosse almeno acqua fra la roccia
    Bocca morta di montagna dai denti cariati che non può sputare
    Non si può stare in piedi qui non ci si può sdraiare né sedere
    Non c’è neppure silenzio fra i monti
    Ma secco sterile tuono senza pioggia
    Non c’è neppure solitudine fra i monti
    Ma volti rossi arcigni che ringhiano e sogghignano
    Da porte di case di fango screpolato

    Se vi fosse acqua
    E niente roccia
    Se vi fosse roccia
    E anche acqua
    E acqua
    Una sorgente
    Una pozza fra la roccia
    Se soltanto vi fosse suono d’acqua
    Non la cicala
    E l’erba secca che canta
    Ma suono d’acqua sopra una roccia
    Dove il tordo eremita canta in mezzo ai pini
    Drip drop drip drop drop drop drop
    Ma non c’è acqua

    Chi è il terzo che sempre ti cammina accanto?
    Se conto, siamo soltanto tu ed io insieme
    Ma quando guardo innanzi a me lungo la strada bianca
    C’è sempre un altro che ti cammina accanto
    Che scivola ravvolto in un ammanto bruno, incappucciato
    Io non so se sia un uomo o una donna
    – Ma chi è che ti sta sull’altro fianco?

    Cos’è quel suono alto nell’aria
    Quel mormorio di lamento materno
    Chi sono quelle orde incappucciate che sciamano
    Su pianure infinite, inciampando nella terra screpolata
    Accerchiata soltanto dal piatto orizzonte
    Qual è quella città sulle montagne
    Che si spacca e si riforma e scoppia nell’aria violetta
    Torri che crollano
    Gerusalemme Atene Alessandria
    Vienna Londra
    Irreali

    Una donna distese i suoi capelli lunghi e neri
    E sviolinò su quelle corde un bisbiglio di musica
    E pipistrelli con volti di bambini nella luce violetta
    Squittivano, e battevano le ali
    E strisciavano a capo all’ingiù lungo un muro annerito
    E capovolte nell’aria c’erano torri

    Squillanti di campane che rammentano, e segnavano le ore
    E voci che cantano dalle cisterne vuote e dai pozzi ormai secchi.

    In questa desolata spelonca fra i monti
    Nella fievole luce della luna, l’erba fruscia
    Sulle tombe sommosse, attorno alla cappella
    C’è la cappella vuota, dimora solo del vento.
    Non ha finestre, la porta oscilla,
    Aride ossa non fanno male ad alcuno.
    Soltanto un gallo si ergeva sulla trave del tetto
    Chicchirichì chicchirichì
    Nel guizzare di un lampo. Quindi un’umida raffica
    Apportatrice di pioggia

    Quasi secco era il Gange, e le foglie afflosciate
    Attendevano pioggia, mentre le nuvole nere
    Si raccoglievano molto lontano, sopra l’Himavant.
    La giungla era accucciata, rattratta in silenzio.
    Allora il tuono parlò
    DA
    Datta: che abbiamo dato noi?
    Amico mio sangue che scuote il mio cuore
    L’ardimento terribile di un attimo di resa
    Che un’èra di prudenza non potrà mai ritrattare
    Secondo questi dettami e per questo soltanto noi siamo esistiti, per questo
    Che non si troverà nei nostri necrologi
    O sulle scritte in memoria drappeggiate dal ragno benefico
    O sotto i suggelli spezzati dal notaio scarno
    Nelle nostre stanze vuote
    DA
    Dayadhvam: ho udito la chiave
    Girare nella porta una volta e girare una volta soltanto
    Noi pensiamo alla chiave, ognuno nella sua prigione
    Pensando alla chiave, ognuno conferma una prigione
    Solo al momento in cui la notte cade, rumori eterei
    Ravvivano un attimo un Coriolano affranto
    DA
    Damyata: la barca rispondeva
    Lietamente alla mano esperta con la vela e con il remo
    Il mare era calmo, anche il tuo cuore avrebbe corrisposto
    Lietamente, invitato, battendo obbediente
    Alle mani che controllano

    Sedetti sulla riva
    A pescare, con la pianura arida dietro di me
    Riuscirò alla fine a porre ordine nelle mie terre?
    Il London Bridge sta cadendo sta cadendo sta cadendo
    Poi s’ascose nel foco che gli affina
    Quando fiam uti chelidon – O rondine rondine
    Le Prince d’Aquitaine à la tour abolie
    Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine
    Bene allora v’accomodo io. Hieronymo è pazzo di nuovo.
    Datta. Dayadhvam. Damyata.
    Shantih sbantih sbantib.

    Thomas Stern Eliot

  11. Le forze vitali di TQ, tutti i suoi membri più influenti, se ne sono progressivamente disamorati. Come anche, infine, il sottoscritto. Decisiva l’indifferenza delle controparti: stampa, politica, industria culturale; ma forse per alcuni è troppo tardi per scimmiottare un radicalismo che non hanno mai avuto, cresciuti negli anni Ottanta a retorica antiradicale, pasciuti nei Novanta a fine della storia. Troppe influenze negative, troppo pochi anticorpi. Prima generazione precaria nelle bolge della gerontocrazia, ci siamo fatti un «culo tanto» per un reddito decente, per pubblicare qualche libretto, per sciorinare in tagli secondari di quotidiani maggiori, o almeno in festival letterari, la nostra sfavillante tuttologia postideologica: ora dovremmo anche marciare contro il mercato, che ha già vinto ovunque, e nei resti del cui camembert abbiamo rosicchiato fin qui?

  12. Caro Francesco, capisco l’amarezza e il fastidio che puoi provare, capisco il tuo essere in buona fede, ma perdere le staffe davanti all’ironia non è da te e non ti fa onore.
    C’è poco da scaldarsi, Francesco, siete stati voi TQ (tu ex) a fare proclami, manifesti, a tappezzare le cittadelle dei giornali e non solo di locandine e quant’altro con la vostra smania di “incidere la realtà”, non gli altri, voi… come e perché dovrei riconoscere merito e valore al vostro impegno (visto per altro che di risultati non ne avete avuti) quando sin dalla prima ora il vostro impegno m’è sembrato finalizzato a reclamare più palcoscenico e più prime file per voi, quando il vostro impegno invece di mettere al centro il fare arte ha messo al centro la militanza? Avete militato per entrare con tutte le scarpe nel protagonismo culturale. Perché dovrei e dovremmo riconoscervi questo merito? Che merito è? Che me ne importa se avete fatto le notti in bianco, le ho fatte pure io le notti in bianco per tirare avanti la carretta ma non vengo certo a chiedere l’elogio della gente dopo. La gente ha altri affari, più importanti dei TQ in fin dei conti e della loro modesta proposta culturale.

    Un saluto

    • Dinamo infatti come sai, per tutti quanti abbiano in qualche modo contribuito al progetto, questo corrispondeva di certo non alla totalità delle cose che si facevano, si erano fatte e soprattutto si sarebbero fatte. A questo si aggiunga il fatto che per buona parte anzi in maggioranaza si è rimasti invisibili e certamente TQ non ha fatto da megafono, riflettore, altoprlante a nessuno in particolare. La documentazione racccolta, le azioni performative a Matera e a Roma, più altre piccole cose secondo me, in linea con quanto ognuno di noi, come te del resto, fa e faceva normalmente, non toglie nè aggiunge nulla alla parentesi TQ. Ironia certo però la petite vague di commenti giudicanti e claudicanti non mi ha spinto al sorriso per niente e men che meno alla voglia di ridere e scherzare. E aggiungo che il problema della visibilità ce l’hanno proprio sti zombies che sono intervenuti, e infatti giù a fare nomi e a dire di questo e di quello. tutto qui, anzi il poco di buono che c’è. effeffe

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francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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