Sei prose
di Giovanni Duminuco
Da Dinamiche del disaccordo (silloge vincitrice dell’ultima edizione del Premio Lorenzo Montano per la raccolta inedita).
I
Che poi è strano non abitare il corpo, disattendere le promesse del nutrimento, soccombere a questo silenzio liquido, nella forma del disaccordo: sentirla addosso, sentire questo esito fatale, inseguendo le impronte sulla sabbia, nei sandali insanguinati, come bestie in direzione ostinata, verso valichi che aprono a nuove pretese dell’indicibile. Una volta e non più, dicevi, una sola volta, nient’altro che una pretesa per scrutare sotto la crosta, la lingua tra i denti, il sorriso stanco di chi ha lasciato la linea del compi-mento, le prerogative della madre, piangendo lacrime (un po’ come) irregolarità sulla pelle, sorrisi aperti a mezz’asta.
III
L’idea che le verità sia intollerabile appartiene alla schiera dei tentativi mascherati, tra i più sospetti inganni, ai fondamenti delle metamorfosi perpetue, un’interpretazione topologica del senso, smembrato dalle analisi logiche e dai sintagmi imperscrutabili: certe cose appaiono come l’antitesi di un’agognata perfezione, l’occhio della colpa, la violenza collettiva dell’inganno, sono in linea con le regole del gioco, riprodotte in azioni sacrificali, all’insaputa dei corpi, a livelli archetipici, dentro la scia dei binari, nelle traiettorie di un annullamento costante. Io vivo nelle cose, tra i vetri, nell’aria satura di polvere, forse dentro una percezione sopita: non esiste il verso del perdono se non nel lamento, la cessazione del battito è un’ipotesi sospesa nella cura.
VI
Mentre anneghiamo, l’acqua ha superato in abbondanza la soglia di sopportazione, il sangue alle tempie sembra arrendersi all’onda che travolge i sensi, vanificando i tentativi del nuoto, l’ipotesi della risalita verso l’opale tremulo: in lontananza il suono ovattato di un pianoforte, forse, un forte pianto.
XI
Costringersi ad una riflessione sulla pornografia della parola fine, ostentando l’idea di una crisi generale, in bilico, nel tentativo di esperire il significato del perturbamento perenne, i lamenti della carne, il tremore delle chiome, il peso degli anni contati sulle vertebre, un passo alla volta, sulla strada gialla e nera, inseguendo il massacro del giorno, l’enigma dell’occhio che testimonia l’inganno, un pugno di virgole lanciate per aria.
XVI
Restano da colmare i vuoti, i punti di sutura sulle ginocchia, ad uncinetto, le dinamiche del vento e della carne, uno sguardo complice, la necessità del sonno, respirando a pieni polmoni l’aria densa di polvere, le mani strette attorno alla testa, il percorso minuzioso del filo che ci attraversa. La morte che inseguivi sulla tovaglia a quadri, attorno al segno del bicchiere, lo schizzo di Bruegel il vecchio, una macchia dispiegata a forma di stella, la materia impastata, al di là di ogni ipotesi, la morte, quella incarnata, tessuta sull’erba umida, a tratti nascosta nelle palpebre del finto sonno, perduta tra quelle nevi, nei cani oblunghi e malefici, nelle reliquie degli sguardi calpestati.
XIX
Prossimi impegni: preconizzare il vuoto, l’idea archetipica della forma, senza pensare al baratro, inghiottire il sale, la bava, sulla punta della lingua: altra cosa sarebbe un’inversione di rotta, intraprendere la strada del silenzio, colmare le distanze della materia, il tempo dello sfacelo, soffermarsi sulla sillaba senza tener conto del ritmo, le conclusioni ultime e inevitabili, nei tempi di una politica dell’abominio, gli estinti presupposti di una fuga.
una prosa che si regge su paradigmi concettuali e che si contorce su se stessa, svigorita dalle ripetizioni dei sintagmi preposizionali, a conti fatti il tutto si riduce ad un elenco e attira come può attirare un elenco…
bellissime