Acquabuia
testo e foto di Francesca Matteoni
QUESTO È IL MIO CUORE
Questo è il mio cuore cucito.
Nella cucina di notte
sul ripiano che porta alla stufa
mi rannicchio e cucio
piccole tigri dormienti
nella sua valvola rotta.
Filo di foresta dalla finestra sporca.
Ci sono molti strati di sonno
qua sopra –
ciglia che cadono sugli occhi
dal pelo delle tigri.
Luce che sfrigola, ringhia –
il cuore è interrato
nel congelatore.
Non lo puoi aprire.
Ha un gomitolo di ghiaccio
nella coda.
Quando lo guardi
lo vedo.
*
LA PALUDE
Sulle piastrelle il mondo è andato in pezzi.
Scarti appuntiti di mele.
Fuori la notte è una cruda intermittenza –
stritola i marciapiedi poi
ha il singhiozzo di un cane.
Il pavimento si annacqua nella palude.
Una vecchia da un libro di storie
sgrana il foro con un punteruolo.
Ci rifugiamo nel fango. La nebbia
bolle sull’orlo.
Verde di lana cotta in cui si scende –
stringhe smangiate chiuse nei capelli.
Nessuno ci seppellisce, ci guarisce,
nessuno ci sente mentre sospiriamo.
Siamo molto più piccoli, perduti
nel corpo minerale.
Scoppiano fiamme sotto le parole.
*
L’AUTOBUS NUMERO 41
Siedo sull’autobus numero 41
c’è la neve fuori. Una caduta obliqua
sulle fiancate rosse.
Odore di gelo e di benzina.
La strada inghiotte la neve come una borsa –
borsa delle malattie, borsa del tempo sonoro.
Quando le ruote stridono
si chiude la cerniera.
Ho freddo. Mi avvolgo nella sciarpa-coperta.
Gli altri passeggeri si voltano nei vetri,
sbattono gli occhi che quasi fanno luce.
Mi guardano dentro cappucci eschimesi.
Quasi li tocco, quasi salgono
come spettri nel cielo.
*
LE GRATE
Nel luogo dove mi nascondo
non hai voce.
La porta del grande magazzino è bloccata
da un carrello di abiti e ombrelli.
Danzano via tra i lampioni, si credono
persone nei reparti del supermercato.
Pendono nella brezza a stampe floreali.
Tu non parli alle cose importanti
che sfilano dentro le grate.
Facce-bottone, monete.
Nei sotterranei i sogni cuociono
le ricette dei bambini –
è tutto un frusciare di odori
– secco di terra, tiglio, cardamomo.
E qui hanno lasciato un occhio, un giorno,
un virgulto storto di fagiolo.
*
FINESTRE
Dall’altra parte della strada
le finestre non hanno tende.
Tinniscono oggetti dal soffitto
fibre ottiche, campanelli.
Una fotografia appiccicata al vetro
di una fiera dell’usato.
La stanza è vuota nelle luci. La guardo
fare un sibilo di foglie di novembre.
Scricchiola nella mente.
Scoiattoli salgono e scendono le grondaie
fanno cadere inviti scritti a mano
FESTA DI COMPLEANNO
lassù dentro il comignolo numero Uno.
Maschere di gatto, topo, pipistrello.
Nell’ora che sai, quando non c’è nessuno.
*
LA MAGIA
Viene un incantesimo bestiale –
gli occhi sono uncini, la coda
una corda per il bucato.
Sulla schiena c’è scritto
TROVAMI
lo stomaco trasuda naftalina.
Indosso un vestito di specchi –
in ogni specchio si rompe l’animale.
L’occhio diventa un nido.
La corda un cappio.
Le lettere si appendono alla schiena
gridano
LASCIAMI
la pioggia batte sulla spazzatura.
Tra le buche del cortile
galleggiano etichette, coaguli di sole.
L’acqua fa un tuono sul tuo nome.
*
I FIORI
E quando sono morti tutti
molti metri sopra le pance
sono comparsi i fiori.
E in ogni fiore un muso.
Nel giardino
ho staccato le foglie dagli steli.
I musi mi annusavano.
Dentro un sacchetto di dadi
le foglie si sono seccate a ossicini.
Ho cotto un infuso giù nella gola –
ogni sorso imparo un suono.
Questo per dire che tremo –
mio fratello flette le orecchie
sul pelo.
*
IL VICOLO
Alla fine del vicolo la porta
si versa sul fiume.
Il fiume è tutti i miei sassi
tutti i tuoi passi contriti
tutti i tuoi morti
– i miei vivi.
Nel vicolo le tigri si striano
di tutti i lamenti
si mangiano tutti gli errori
in una nube d’insetti.
Le tigri non hanno il coraggio
e nemmeno l’orrore.
Il vicolo si lega alle code
come un sonaglio.
Le stringe per farle annegare.
Senti, qui si interrompe il mio fiato.
Si chiude in un nodo al tuo male.
Sotto, più sotto dal greto del fiume
ti investe un colore, un trauma mi avviene.
Una promessa ci espone.
*
IL MARE
Abbiamo sognato l’amore.
La spiaggia è un emporio di brocche
e strumenti a fiato.
Le conchiglie tentano di essere stelle.
Dalle mani bevi dell’aria
premi la bocca sul mio braccialetto –
le stelle si smemorano.
Queste rocce si slargano da noi
come un tessuto.
Splendono due farfalle
due strappi di stoffa invernale.
Estrai dalla tasca un’ocarina –
il suo sibilo manda in frantumi
la massa spugnosa di squame.
Ci sono due grida nel mare
ci sono nel mare due stelle malsane
due ali che si respingono
gettate a macerare.
Corriamo. Un piede affonda
l’altro si artiglia a una duna di sale.
Via, in una bruma infantile
raggelano le ultime figure.
Azzardiamo un ritmo disuguale.
*
QUESTO È IL TUO CUORE
La notte esce dal libro alta
come un lampione.
Leggo la traccia nella tua voce.
Ora la città non ci assale.
Sognano le persone e io
non le temo –
si sposano ai cigni nei parchi
agli abitanti dei rovi di more.
Si ornano del rame dei nomadi.
Vanno cantilenando
tra i loro armadi e la luna.
Per ogni sogno sopporto
un inganno.
Tu non m’ingannare
non rimandarmi a domani
con il tuo sacco svuotato
di piume.
Quando si logora il libro
tu resta –
tieni una mano dov’ero.
Chiamami sempre sorella
nel ciglio d’erba.
Durano i sentimenti
più del tuo corpo
e del mio.
Da questa tregua si sfrangia un calore –
una memoria ci veglia.
*
LA RIVA
La casa è alberi brillanti.
Dicono cielo
scosso dalla neve.
Ogni passo fa un grano
di sabbia del mare.
Ogni pietra è una testa di animale.
Quando le teste parlano
fanno dolore,
gli alberi tremano nel bosco
il suono allaga la riva.
La donna si siede,
si lascia stormire.
L’acqua riflette relitti
da un essere intero,
profondo
viene a una striscia di sangue
sul bordo.
Prima che il tempo ritorni
la donna si avvolge in un’alga.
Con un sasso scheggia una pelle –
taglia una piccola barca.
un invito al viaggio coi fiocchi(“fino ai laghi bianchi del silenzio”)
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Bellissime, come sempre, Francesca.
Quando leggo poesie di Francesca Matteoti, cammino piedi scalzi per non fare scappare i sogni.
davvero belle. brava francesca.
Ho la tempia sinistra che pulsa. Ho gradito.
Sì, davvero bellissime. Complimenti, Francesca.
grazie a tutti voi per i commenti e ad Andrea per il post!
Cara Francesca, le tue visioni hanno una gran forza di convinzione. Sono visioni persuasive: ci persuadono che qualsiasi riduzione a discorso più piano, ordinario e razionale sarebbe una inaccettabile deformazione.
anch’io ho scritto una poesia sull’autobus n. 41. ma tu dove andavi?
l.
urpa, belle!
io invece una volta ho visto una poesia sull’autobus 41.Pensavo di andare in centro e non mi ritrovai più(ancora mi sto cercando)
@Luigi, diamonds:
http://www.tfl.gov.uk/tfl/gettingaround/maps/buses/?r=41 (il mio 41)
@ Andrea, grazie! diciamo che nell’Acquabuia, le cose viste sono andate proprio così.