Frattanto…

di Daniele Ventre

Quando il trattato di Parigi del 1951 e i due trattati di Roma del 1957 ebbero poste le basi delle comunità europee, le classi politiche delle nazioni uscite dall’ultima guerra definirono un preciso piano di integrazione, che avrebbe dovuto condurre col tempo, attraverso il passaggio necessario di uno Zollverein continentale, al costituirsi in Europa occidentale di un organismo politico sovranazionale federativo, che bandisse per sempre dal continente il pericolo di conflitti sanguinosi e il ritorno di bioregimi totalitari di stampo nazi-fascista. Con il trattato di Maastricht e la creazione dello spazio Schengen fra il 1992 e il 1995, la nascita dell’Unione Europea sembrava aver dato inizio a una nuova fase, di cui l’approdo ultimo al costituirsi degli Stati Uniti d’Europa, tutela del benessere e dei diritti di tutti i cittadini europei, sembrava l’esito naturale. Nel 2013, a cinque anni dall’esplosione della crisi globale, e a sei dall’ingannevole trionfalismo del cinquantenario dei trattati di Roma, lo scenario socio-economico dell’Unione è alquanto diverso da quel che ci si attendeva.

L’Europa delle vestali dell’austerità appare troppo compiaciuta del suo misticismo finanziario cieco e sordo, per prestare ascolto ai moniti del FMI in tema di eccesso di rigorismo (né certo si può accusare il FMI di perverse inclinazioni neo-bolsceviche). Mentre l’Inghilterra, chiusa nel suo tiepido isolamento, celebra fra battute giustamente maligne, omaggi ipocriti postumi e revivals dei Pink Floyd la memoria di Maggie Thatcher the milk-snatcher (evocata peraltro come modello  da qualche improvvido idiot-savant del giornalismo d’opinione e del saggio socio-politologico), l’Europa della BCE e dei debiti sovrani, l’Europa dei Draghi e dei Van Rompuy, appare di fatto sempre più lacerata sul piano politico, ed economicamente sempre più esposta all’alea delle trame speculative, dove che sia il loro punto di origine nel moto browniano della finanza transnazionale. La Germania, in cui non è tutt’oro quel che luce, vista la passività media di 4600 euro annui delle famiglie più povere, la locomotiva Germania che ha per lungo tempo scaricato sull’Europa orientale e sull’area mediterranea i residui semicombusti delle passività potenziali della sua economia, guarda ora con freddo disprezzo (e ansia crescente) al deragliamento progressivo, e forse irrecuperabile, dei PIIGS, denominazione quanto mai omologante, e perciò erronea, della periferia dell’euro-impero. I sacerdoti del rigorismo finanziario teutonico, sordi alle sinistre insinuazioni di un Soros in tema di eurobond e di eventuale uscita della Germania dall’euro, premono per l’attuazione, dal centro, di provvedimenti estremi, fra prestiti forzosi e congelamenti dei prelievi agli sportelli. Di quale decisionismo dia prova l’Unione in fatto di materia bancaria, ci si è accorti nel caso della crisi delle banche cipriote, quando i tecnocrati contigui alle politiche di egemonia finanziaria della Germania sono stati fin troppo inclini a puntare il dito contro gli interessi finanziari russi, dimenticando che l’altra metà della putrefatta torta di Cipro era appannaggio quasi esclusivo della speculazione finanziaria tedesca. E nel frattempo iniziative di relativa autonomia e di recupero parziale di sovranità bancaria, quali quelle attuate, nemmeno tanto di soppiatto, dal governo irlandese, nell’ambito dello spazio di manovra ancora concesso, hanno lasciato interdetto il centro egemonico dell’Eurozona, costituendo un pericoloso precedente, e un fattore di collasso, di cui non a caso non si parla poi molto.

Frattanto, la Grecia, a suo tempo costretta a dissanguarsi con inutili spese militari, ammessa nell’euro con conti truccati e ora “salvata” dagli interventi della Trojka a prezzo di ripetute manovre lacrime e sangue, la Grecia di fatto collassata, tocca livelli di insicurezza alimentare paragonabili a quelli degli Stati nord-africani. Mentre disoccupazione, suicidi e fallimenti si susseguono, il parlamento di Atene è di fatto barricato e difeso da mercenari, e la polizia è in gran parte in mano ai neo-fascisti di Alba Dorata, e i territori fra l’Epiro e la Macedonia vivono travagli da pre-guerra civile. Frattanto, l’Ungheria di Viktor Orban si è avviata verso una deriva autoritaria, in un crescendo di misure e proclami i cui toni ricordano sempre di più l’attivismo delle Croci Frecciate e gli slogan di Ferenc Szálasi. Frattanto, elementi di natura populista e francamente neofascista infiltrano la politica italiana, affacciandosi tra le fila dell’anomalia M5S, che rischia nel tempo di tradire non poche aspettative, essendosi Grillo dimenticato che il tentativo di ricostituzione del partito fascista e l’apologia di fascismo si sarebbero dovuti annoverare fra i reati che escluderebbero, per statuto, la possibilità di candidatura nelle fila del suo movimento. Frattanto, le tensioni sotterranee rischiano di sfociare, in Spagna, in una dialettica fra secessionismo catalano e centralismo neo-autoritario. E nel frattempo la Francia di Hollande, meno sana di quanto si vorrebbe sperare, si è lanciata in non risolutive imprese larvatamente neo-imperiali, prudentemente messe in ombra dai media, come la campagna in Malì (per non parlare del peso avuto da Parigi nelle cosiddette primavere arabe). Frattanto il lavoro, fondamento presunto di alcune costituzioni fantasma (quella italiana, per esempio), è diventato utopia per aree sempre crescenti della popolazione giovanile, così che ormai l’intera Europa non è uno spazio geografico per giovani. Frattanto la stessa Italia, “salvata” da super-Mario, contende alla Grecia la palma dei suicidii e delle imprese fallite, e diventa campo d’azione di Emergency al pari dell’Afghanistan o della Libia. Frattanto l’Unione si dota di una polizia, l’Eurogendfor, sottratta formalmente a ogni controllo da parte di qualsiasi organo di garanzia giudiziaria. Di quale lentezza e inettitudine politica l’UE dia prova, quando in gioco sono i diritti umani, e non le tasche degli azionisti, può ben rendersi conto anche il meno accorto interprete delle vicende di questo plumbeo scorcio di secolo.

Il panorama che ne deriva è quello di un’Unione che doveva preservare il benessere e i diritti dei cittadini europei, e li sta conculcando in nome di interessi oligarchici. Dietro il frastagliato panorama dell’UE sembrano riaffiorare i tratti del particolarismo nazionalistico europeo nella sua forma più trita e retriva, a partire dal punto di minor resistenza (Europa centro-orientale e mediterranea), dove i nodi degli interessi che hanno dominato l’economia del continente nell’ultimo quindicennio sono venuti al pettine nella maniera peggiore. Quale trucco di prestidigitazione finanziaria abbia in mente il direttivo dell’Unione, quali strategie sublimi abbiano in mente le classi dirigenti politiche ed economiche, che dalla tribuna mediatica straparlano di crescita (col pareggio di bilancio divenuto alfa e omega di ogni architettura costituzionale) in un tono di tale superficialità da indurre reazioni violente anche nell’ascoltatore meno avveduto in fatto di macroeconomia, non è dato sapere, né è agevole congetturare.

Ora che si è rivelato l’arcanum imperii, potersi costituire uno spazio finanziario conveniente senza alcuna tutela, nemmeno formale, dello Stato di diritto, più facile a immaginarsi è il futuro che l’Unione ci prospetta, in séguito a questa fase di irreversibile contrazione. Un arretrare delle vecchie classi dirigenti “democratiche”, di fronte ai neopopulismi nazionalistici e razzistici, che verranno buoni quando il capitalismo industriale superstite, strangolato da una finanza predatoria e senza controllo, si abbandonerà a scelte disperate, disintegrando definitivamente organi federativi diritti umani e distribuzione del benessere pur di sopravvivere per qualche altro anno. Dopo un convulso e semi-violento tentativo di accentramento, la diaspora delle piccole nazioni, dominate da oligarchie aggressive e popolate da semi-schiavi precari, con pause-bagno rigidamente cronometrate da pastoie elettroniche e informatiche, sullo sfondo di una distopia dello sfacelo sociale e del contrarsi della disponibilità dei servizi essenziali che contraddistinguono un Paese civile, e di risorse primarie come l’energia, o il cibo, o l’acqua.

In questo scenario in rapida involuzione, la ridicola scena politica italiana, incapace, dopo la monarchia videocratica  collusa e la tecnocrazia degli incompetenti, di indicare guide credibili, inetta a superare i gretti limiti delle sue dispute da porcilaia, e con la caratteristica sovraesposizione mediatica delle rubriche aperte sui peli del papa, è solo un nero tassello di declino fra tanti, nel quadro generale del processo di disintegrazione europea. Frattanto, le vere leve decisionali sono state per tempo e definitivamente tolte dalla portata dei bambini, cioè dei cittadini europei, nel caso in cui l’eccesso di potenziale partecipazione politica avesse potuto dar loro alla testa.

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8 Commenti

  1. Eccellente. Per completare il quadro, a mio modesto avviso, occorre ricordare il ruolo delle banche d’affari americane (detentrici di titoli sovrani e di una somma di derivati più cospicua del pil mondiale). Occorre forse anche ricordare che, sebbene l’origine della crisi venga generalmente ricondotta a banche e intermediari finanziari (lo fa anche Ruffolo nell’articolo “La mutazione del capitalismo”), essa va ricondotta a Clinton: fu infatti una legge voluta da Clinton a permettere il facile indebitamento immobiliare (e la conseguente rinegoziazione del debito); legge poi confermata da Bush. Fu ancora Clinton ad abrogare la legge che vietava alle banche commerciali di comportarsi anche come banche di affari. Insomma, il ruolo della politica, prima ancora del mercato (anche di quello finanziario) è stato determinante.

    • Già, ma non è possibile per le piccole nazioni competere coi giganti. L’aborto dell’unificazione politica e i presupposti erronei dell’unione monetaria lo dimostrano.

      • Lo scenario distopico descritto nell’articolo è verosimile. Perciò bisogna uscire dall’euro e dall’Unione. E’ da ingenui pensare in una svolta democratica di Bruxelles: il Parlamento europeo non conta e non conterà mai nulla.

        • Uscire dall’euro e dall’Unione…ma come? con quali conseguenze? Per affrontare la sola questione economica, non è più il tempo delle svalutazioni competitive, non almeno per una nazione come l’Italia.

  2. senza considerare l’annosa questione della competizione sempre più serrata per le risorse in via di esaurimento, dei probabili shock climatici, ambientali e alimentari futuri. si sta gettando le basi per gestire un grave new world, come se nulla fosse. l’austerity non è follia, solo un modo classista e ordinato per gestire la famosa decrescita e il declassamento di un’area non più centrale nell’ordine politico mondiale. amen?

    • Sì certo. Comprendo. Il fatto che per ognuno che sostiene l’uscita dall’euro ne trovi uno che sostiene il contrario, ovvero sono tutti d’accordo che si può uscire dall’euro, ma c’è disaccordo sugli scenari. Per quanto mi riguarda, non ho una strumentazione economica adeguata per potermi fare un’idea netta. Ho però l’impressione che sia un po’ tardi, ormai, per un’uscita dall’euro. D’altre parte, rimane possibile che l’euro imploda da solo.

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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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