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Animus e Anima: Beppe e Maria tra Jung e Collodi

Beppe

Francesca Palazzi Arduini

Sembra incredibile ma oggi l’Italia offre due personaggi dai nomi biblici, Giuseppe “Beppe”, e Maria, come catalizzatori sociali dell’opinione pubblica e dell’affettività. Maria, severa ma compiacente amica che conduce all’espressione dei propri sentimenti, dell’affettività, del proprio talento artistico, e guida benevola le persone nell’espressione di sé, amorevole Avvocata (termine usato anche per la Madonna che intercede e aiuta) di tutti che permette a tutte/i di esprimersi perché ognuno può essere anche solo per un attimo al centro dell’attenzione. Maria la sacerdotessa della tv  fatta dalla gente, distinta e discreta manovratrice in sordina di un immenso potere gestito dietro le quinte, forse vestale di ritualità, di sottomissione e di gioco cruento paludato poi sullo schermo da una infinita dimostrazione di lealtà. Maria l’Anima, la parte permeabile e ‘passiva’ di noi, che gestisce le nostre timidezze e invita pacata ad aprire i cuori, poi si fa l’Altra, colei che ragiona, che ammonisce le passioni incontrollate e il trascendere, che invita all’equilibrio tra i desideri e la realtà.

A questo personaggio che “fa parlare” e spesso solo guarda e tace, dittatrice della scena televisiva, per ogni età, e regna nei salotti e nelle cucine, fa da contraltare il Re delle piazze, Giuseppe detto Beppe. Lo stereotipato principio maschile quanto cozza con Maria! Lui è incontrollato, la scena dal vivo è solo sua, non fa parlare gli altri se non per concedergli un millesimo del suo spazio, gli altri sono coloro di cui è portavoce, ai quali fa da promoter, che vuole portare con sé alla vittoria … ma sono pur sempre quasi muti e grigi nell’arena. Il pubblico, i militanti, gli elettori, possono se vogliono scrivere dei loro desideri in uno spazio che è il regno di Giuseppe, e anche sua proprietà. La rabbia, l’aggressività verbale, l’intolleranza di chi non ne può più, è espressa da Lui, che gesticola, urla, sfida e impreca. Compito della sua Massa è lavorare per giungere agli scopi indicati come comuni. Lì, nella banale e quotidiana manovalanza, c’è per loro soddisfazione e parola, lì le energie di Beppe confluiscono come a Pentecoste nel loro discorso. Viene in mente il breve saggio “Psicologia del reclutatore”, nel quale Patrizia Santovecchi, citando G. Le Bon, scrive: “Il leader deve saper cogliere le aspirazioni segrete della folla e proporsi come colui che è capace di realizzarle; come l’incarnazione stessa di tali desideri”. Ma chi oserà riconoscere l’incredibilità, e la scontatezza, di questa situazione psicologica? Pochi, in una società nella quale l’inconscio, lo dice bene Recalcati, è non più un sintomo di qualcosa da scoprire ma un difetto da truccare.

Se Maria gestisce quindi il suo potere con dedizione ma non si pone come modello con la sua vita privata e le sue opinioni personali, che semmai dirigono il gioco ma non si paludano da Verità, lui, contrariamente al Giuseppe evangelico, salta alla ribalta con prepotenza e afferma di possedere la Verità. Ogni cosa che dice è una trovata risolutiva, ogni accenno che fa è dimostrazione di saperne più degli altri, di avere in mano la soluzione dei problemi, con la parola. La parola diventa arma che sconfigge la complessità, le lunghe frasi e le tematiche pesanti per la loro storia e la loro composizione si sciolgono in poche frasi, la parola d’ordine è: unanimità. Così chi lo sostiene lo fa per disperazione politica, passando sopra a quella veemenza e allo strisciante superleaderismo (come  definito da Federico Boni), o perché “ha scoperto i problemi dell’economia ascoltandolo”. Qui Beppe è l’ago che rompe la bolla autistica del cittadino senza più classe sociale e appartenenze e lo introduce in una nuova più accogliente bolla totale, la “piattaforma”, progetto di una connessione web non più caotica ma da lui amministrata ed ispirata sulla base di una visione generale non del tutto esplicita.

Anche la vita privata di Beppe è poi oggetto che incarna i desideri del giovane maschio italiano: Beppe ha vissuto e vive di parole, artista e libero da condizionamenti, è ciò che  l’italiano mite, precario o sottomesso al lavoro non sa e non può; fa jogging, nuota e va in barca, ha una moglie (il nome non importa, non è nemmeno compagna di lotte o first lady, è lì e basta) piacevole e non italiana, un discreto conto in banca accumulato con i click degli AdWords di Google. Non vecchio né giovane, ondeggia nella mezza età, capace di catalizzare con spirito giovanile, la chioma brizzolata del saggio richiama il personaggio di Pinocchio. Ecco un’altra versione di animus e anima nell’inconscio collettivo italiano: La Fata turchina è Maria. Il Grillo parlante, che ha avuto il compito di fare da Super-io al burattino di legno, è Beppe. E si sa, il Super-io è bravo a stabilire le regole e ha il compito di punire le trasgressioni, è concentrato fuori da sé, un po’ come Travaglio (ma senza Complessità aperta in mano). Mentre Maria quindi è incarnazione dell’interno, del principio femminile, vero o falso che sia, del dialogo e dell’emotività, Beppe è l’incarnazione della rabbia punitiva verso gli altri e liberatoria verso se stessi, la fase finale della ricerca di libertà (dalle tasse, dai caporali? La libertà svolazzante del mondo virtuale diviene modello per quello reale,  ben differente nella sua concretezza materiale), quella libertà spesso venduta dai truffatori del Paese dei balocchi o della Casa delle libertà, a caro prezzo, agli ingenui cittadini. Giuseppe è a volte anche Mangiafuoco nella fantasia degli italiani (e di Bersani), la  volontà che si crede potenza, della finalità del rendere tutti unanimi, della conquista della maggioranza assoluta che trasforma tutti i burattini.

Così, gli adepti di Maria vengono scelti per ubbidienza e dedizione ma premiati con lo spettacolo di se stessi, mentre quelli di Beppe il Reclutatore restano incagliati nel sogno del potere assoluto, raggiungendo il quale, allora  e solo allora, sarà possibile ottenere ciò che si vuole, sconfiggere il “sistema” corrotto ed essere protagonisti, al fianco di Beppe, della Storia. Già le cinque stellette sembrano cucite sulle mostrine … riuscirà la massa a vedersi per quello che è e rendersi autonoma? L’Animus scuote la testa: l’altro, il contagioso, il marcio, il corrotto, il vecchio, l’ottuso, è il pericolo; facendo questo mostra una realtà inesistente, in cui tutti i mali sono stati causati da Altri. L’interlocutore, cioè, è presentato sempre come nemico e come un falso, al massimo come un inetto. Gli individui non iscritti, quindi  “nemici” o incapaci, scompaiono dietro l’ombra delle loro opposte e varie fazioni: non può esservi dialogo perché solo noi stessi rappresentiamo ciò che è degno e meritevole, non c’è bisogno di rappresentazione, di scenario e di soggetti differenti, con diverse storie, visioni ed esigenze. La politica dunque è un gioco senza senso (che brutta parafrasi del ‘Bene comune’ e di Simone Weil!), giostrato da chi si diverte a presentarsi “diverso” ma non lo è, perché l’unica “differenza” valida e vera deve essere contenuta in chi segue Beppe e lo sceglie come voce. L’iperbole del partitismo si accartoccia nel totalitarismo digitale per Beppe, l’iperbole dell’emozione si allarga nel circo della banalità per Maria. Così il qualunquismo diviene virtù, sia quello che ha solo amici, di Maria, che quello che ha solo Nemici, di Beppe.

 

 3 aprile 2013

*

 

[Testo preparatorio per il lavoro d’artista di Saverio Feligini alla quinta Biennale d’arte contemporanea promossa da Satura, Genova 2013. Di Saverio Feligini è l’immagine collage in apertura.]

 

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5 Commenti

  1. Interessante il contrappunto tra questa riflessione di Francesca Palazzi e l’articolo di Nicola Fanizza che lo precede: laddove quello si sofferma sul Movimento 5 stelle, su cosa muove sia l’entusiasmo che il sospetto nei confronti delle sue idee e procedure, qui si spiegano le ragioni della diffidenza verso certe sembianze digital-peroniste del suo principale promotore.

    Certo, dopo anni di personalismo berlusconiano (che sembra, peraltro, lungi dal tramontare) l’emergere di Grillo è davvero un colpo basso per i progressisti pensanti (che a sinistra hanno il loro bel daffare a gestire la crisi di personalità che ne ha ammalato l’azione, scissi come siamo tra buonismo partecipativo e disperato bisogno di direzione).

    Di questo pezzo due sono i punti che più mi interessano. Uno è il discorso sulla parola avvelenata del cinismo ridanciano, che disinnesca e banalizza qualsiasi discorso in nome non di un altro discorso ma di una identità ‘pura’, una presunta posizione a-politica di default. Dal momento che c’è un programma (e quindi ci sono progetti da presentare e condividere) come si può sfuggire alla negoziazione? Come si può evitare il gesto politico? Che è, già etimologicamente, una tecnica dello stare insieme tra altri.
    Il che mi porta dritta dritta al secondo punto da annotare: la soppressione della differenza, del valore delle differenze in nome della pulizia e del controllo della propria linea.

    Va detto, comunque, che tra gli “altri” ci sono anche coloro che hanno infuso magistralmente gestione interessanta del potere, sordità ai cittadini comuni e strenua difesa del patto col diavolo (anche detto trattato di stabilità), nonché stolida indifferenza a marce, movimenti, girotondi, istanze, ecc. Il che conduce, almeno la sottoscritta, a guardare le manovre pentastellate con curiosità.

  2. “Die Stimme der Vernunft ist schwach” ( o forse dimm? fioca) diceva il buon Kant…
    Quale “genitrice” mi sento avvilita, ormai da un pezzo, da questo anelito all’eterna infanzia.
    La mamma è bifronte: protegge e nasconde, oppure incoraggia e spinge. Talvolta nella “banalità del male”, ormai da operetta ( Bellissima, il film con la Magnani e infine Noemi Letizia…)
    Il padre comanda e punisce, ma anche instrada e sceglie. Non può più dichiararsi “padrone” e dice: “Ecco, figlio mio, vai dove ti dico e sarai libero!”

  3. Certo riflettere sul simbolico dei personaggi televisivi come Maria de Filippi e Beppe Grillo la dice lunga sul processo autistico, e di frammentazione, in atto. E svela contenuti che solo tra le righe esplodono in tutto il loro senso. Se non possiamo “trattare” coi disonesti, e non siamo qualunquisti in questo, cioè non crediamo che siano tutti disonesti in politica, dobbiamo però avere il coraggio di aprire il nostro orizzonte alle proposte dei soggetti credibili che ci stanno intorno, e non chiuderci nelle nostre 5 stelle. Le stelle sono tante, questo paese ha bisogno di una strategia in politica ed economia che riconosca le differenze e applichi la giustizia sociale senza mosche cocchiere di questo o quel tema caldo, ma con onestà e rispondenza più concreta ai dibattiti che si svolgono nella società, e non sul blog di Grillo.

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renata morresi
renata morresi
Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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