Apollonio Rodio – Argonautiche IV 891-919 – Le Sirene

trad. isometra di Daniele Ventre

νῆα δ᾽ ἐυκραὴς ἄνεμος φέρεν. αἶψα δὲ νῆσον
καλήν, Ἀνθεμόεσσαν ἐσέδρακον, ἔνθα λίγειαι
Σειρῆνες σίνοντ᾽ Ἀχελωίδες ἡδείῃσιν
θέλγουσαι μολπῇσιν, ὅτις παρὰ πεῖσμα βάλοιτο.
τὰς μὲν ἄρ᾽ εὐειδὴς Ἀχελωίῳ εὐνηθεῖσα
γείνατο Τερψιχόρη, Μουσέων μία, καί ποτε Δηοῦς
θυγατέρ᾽ ἰφθίμην ἀδμῆτ᾽ ἔτι πορσαίνεσκον
ἄμμιγα μελπόμεναι, τότε δ᾽ ἄλλο μὲν οἰωνοῖσιν,
ἄλλο δὲ παρθενικῇς ἐναλίγκιαι ἔσκον ἰδέσθαι.
αἰεὶ δ᾽ εὐόρμου δεδοκημέναι ἐκ περιωπῆς
ἦ θαμὰ δὴ πολέων μελιηδέα νόστον ἕλοντο,
τηκεδόνι φθινύθουσαι, ἀπηλεγέως δ᾽ ἄρα καὶ τοῖς
ἵεσαν ἐκ στομάτων ὄπα λείριον. οἱ δ᾽ ἀπὸ νηὸς
ἤδη πείσματ᾽ ἔμελλον ἐπ᾽ ἠιόνεσσι βαλέσθαι,
εἰ μὴ ἄρ᾽ Οἰάγροιο πάις Θρηίκιος Ὀρφεὺς
Βιστονίην ἐνὶ χερσὶν ἑαῖς φόρμιγγα τανύσσας
κραιπνὸν ἐυτροχάλοιο μέλος κανάχησεν ἀοιδῆς,
ὄφρ᾽ ἄμυδις κλονέοντος ἐπιβρομέωνται ἀκουαὶ
κρεγμῷ, παρθενικὴν δ᾽ ἐνοπὴν ἐβιήσατο φόρμιγξ.
νῆα δ᾽ ὁμοῦ ζέφυρός τε καὶ ἠχῆεν φέρε κῦμα
πρυμνόθεν ὀρνύμενον, ταὶ δ᾽ ἄκριτον ἵεσαν αὐδήν.
ἀλλὰ καὶ ὧς Τελέοντος ἐὺς πάις, οἶος ἑταίρων
προφθάμενος, ξεστοῖο κατὰ ζυγοῦ ἔνθορε πόντῳ
Βούτης, Σειρήνων λιγυρῇ ὀπὶ θυμὸν ἰανθείς,
νῆχε δὲ πορφυρέοιο δι᾽ οἴδματος, ὄφρ᾽ ἐπιβαίη,
σχέτλιος. ἦ τέ οἱ αἶψα καταυτόθι νόστον ἀπηύρων,
ἀλλά μιν οἰκτείρασα θεὰ Ἔρυκος μεδέουσα
Κύπρις ἔτ᾽ ἐν δίναις ἀνερέψατο, καί ῥ᾽ ἐσάωσεν
πρόφρων ἀντομένη Λιλυβηίδα ναιέμεν ἄκρην.

* * *

Stridulo vento portava la nave: avvistarono a un tratto
l’isola Bella-di-Fiori, mirabile, dove le figlie
dell’Acheloo, le sonore Sirene abitavano, ai canti
scaltri piegando chiunque gettasse una cima nei pressi.
Le partorì la graziosa Terpsícore, lei, una Musa,
che ad Acheloo s’era unita di letto, e si presero cura
della temibile e ancora illibata figlia di Deo,
sempre cantando all’unisono: ed erano allora, a vedersi,
simili in parte agli uccelli, in parte a fanciulle gentili,
stavano sempre sul lido di facile ormeggio in attesa,
spesso toglievano a molti il ritorno dolce di miele,
presili di struggimento. Effondevano dalle labbra
senza fatica la voce soave, e così dalla nave
erano pronti gli eroi a gettare a riva una cima:
ecco che Òrfeo di Tracia, il figlio di Èagro, in quella,
tesa come ebbe la cetra dei Bístoni con le sue mani,
fece trillare la svelta armonia d’un agile canto,
sì che le orecchie echeggiassero, al suo tumultuoso ritmare,
di quel tinnio: sulla voce di vergini vinse la cetra,
zefiro sorse da poppa e poi l’onda fervida d’echi:
prese la nave, e le vergini effusero vano gorgheggio.
Solo però fra i compagni il buon figlio di Teleonte,
Bute, saltò giù nel mare dal lucido scalmo balzando,
vinto in cuor suo dalla voce armoniosa delle Sirene,
fra il ribollire del flutto nuotò, per poterle accostare,
misero! Subito allora gli avrebbero tolto il ritorno:
ma impietosita di lui, quella dea che in Erice regna,
Cipride, lo sollevò fra i vortici, corse a salvarlo,
l’assisté amica, innalzandolo al vertice di Lilibeo.

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daniele ventre
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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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